MARCO PERESANI(1)
RISULTATI PRELIMINARI DELLE RICERCHE(2)
ARCHEOLOGICHE E PALEOAMBIENTALI SUL CANSIGLIO.
INTRODUZIONE.
IL POPOLAMENTO DELLE ALPI ORIENTALI NELLA PREISTORIA ANTICA
Lo studio delle culture e del modo di vita delle comunità primitive
che avevano abitato l'arco alpino tra 200.000 e 6.500 anni fa si propone,
tra le altre finalità, di comprendere quali relazioni erano intercorse
tra l'Uomo e l'ambiente naturale o, in altri termini, di mettere in evidenza
gli aspetti relativi all'evoluzione dei processi di adattamento umano
agli ecosistemi montani. Dopo trent' annidi ricerche è possibile
osservare, ad esempio, come ad ognuna delle avanzate glaciali che avevano
investito gran parte dei territori alpini corrispondeva un ritiro altimetrico
e latitudinale delle fasce vegetazionali, in rapporto al quale i gruppi
umani avevano variato la loro mobilità territoriale, occupando
in diverso modo grotte e altre località all' aperto.
A partire da Homo erectus fino agli ultimi Neandertaliani europei, le
nuove acquisizioni sul piano culturale e comportamentale avevano consentito
la sopravvivenza negli ambienti montani, grazie all'adozione di strategie
1) 1 Dipartimento di Scienze Geologiche e Paleontologiche,
Università di Ferrara
2) Ricerche realizzate anche grazie alla collaborazione del Centro Ricerche
Corbanese (R.Favero), degli Amici del Museo di Belluno (C.Mondini e A.Villabruna),
del Gruppo Archeologico di Cordignano (S.Gai) e dei Sigg. E..Fuin e G.Testori
(supporto tecnico).
MARCO PERESANI. Geologo, è ricercatore in Scienze
Antropologiche presso l'Università di Ferrara. È coordinatore
delle ricerche in Cansiglio e dirige scavi in svariate località
delle Prealpi. I risultati della sua attività scientifica sono
stati pubblicati su riviste nazionali ed internazionali e sono stati presentati
a numerose riunioni scientifiche.
7
di adattamento, la cui documentazione è conservata in quelle poche
testimonianze archeologiche risparmiate dai fenomeni glaciali e periglaciali
del Pleistocene. Con il procedere dell'evoluzione umana si osserva un
affinamento ditali strategie (es. l'accensione dei fuochi, lo sviluppo
di sistemi di approvvigionamento e di circolazione di selci e manufatti,
la diversificazione delle risorse alimentari, lo sviluppo del sistema
insediativo), grazie alle quali Preneandertaliani e Neandertaliani avevano
potuto abitare l'Europa periglaciale.
Con la comparsa dell'Uomo anatomicamente moderno in Europa si assiste
a un drastico cambiamento culturale e comportamentale. Gli studi relativi
al Paleolitico superiore risultano più completi, non solo grazie
al maggior numero di giacimenti, ma anche per le accresciute possibilità
di applicazione del metodo di datazione del radiocarbonio, il cui limite
massimo di utilizzo si colloca proprio in corrispondenza della sostituzione
tra le due sottospecie, Homo sapiens neanderthalensis e Homo sapiens sapiens.
Tali cambiamenti avevano consentito a Homo sapiens sapiens di fronteggiare
in maniera più efficace le difficoltà relative alla sussistenza
primaria e all'approvvigionamento delle materie prime litiche, mostrando
svariate innovazioni tecnologiche che consentivano di realizzare supporti
litici laminari e strumenti in materie dure animali. La possibilità
di disporre di uno strumentario specializzato composto da oggetti destinati
alle attività venatorie (armature microlamellari e microlitiche),
appare del tutto innovativa nei confronti delle precedenti culture musteriane.
Grazie a questo insieme di conoscenze sulla cultura e sull'economia di
caccia-raccolta delle popolazioni preistoriche (che avevano uno stile
di vita prevalentemente nomade), è stato possibile delineare i
rapporti intercorsi tra i gruppi umani e il loro contesto ambientale e
ricostruire, talora, i loro movimenti su scala regionale, nonchè
le relazioni intercorse tra aree culturali contigue. Grazie a questi dati
si è riconosciuta l'influenza dell'ultimo massimo glaciale nel
frazionamento di regioni precedentemente unificate dal punto di vista
culturale e nell'isolare, attraverso la formazione di barriere naturali
come ad esempio le catene montuose glacializzate, popolazioni primitive
che per qualche migliaio di anni avevano conservato le proprie tradizioni
culturali e specifici comportamenti alimentari.
All'opposto, in coincidenza del ritiro delle calotte glaciali dai rilievi
montani, si assiste ad un intenso movimento di popolazioni verso i territori
precedentemente glacializzati. Tale processo sembra avere seguito le tappe
dell'evoluzione climatica del Tardiglaciale wùrmiano, tra circa
15.000 e 10.000 anni fa.
Per questo intervallo temporale i dati del versante meridionale delle
Alpi orientali risultano tra i più ricchi ed interessanti dell'arco
alpino. Essi derivano principalmente dalle indagini sistematiche effettuate
in numerosi siti all 'aperto ubicati a diverse quote nelle Prealpi Veneto-Friulane
e nel resto
8
della regione alpina, in particolare nell'area dolomitica.
Il processo di colonizzazione preistorica di questi territori è
testimoniato dal grande numero di insediamenti e da svariati dati di carattere
interdisciplinare. Le ricerche naturalistiche mostrano come lo sviluppo
di coperture forestali sui versanti montani era iniziato a partire dall
'Interstadio di Bolling (13.000-12.000 anni fa), per svilupparsi durante
1 'Alleròd (11.800-10.800 anni fa) ed arrestarsi nel corso del
Dryas Recente (10.800-10.200 anni fa). Con l'inizio dell' Olocene, e precisamente
nel Preboreale (10.200-9.000 anni fa), si hanno evidenze di una risalita
del limite superiore del bosco fino a quote intorno a 2.300-2.400 metri.
A tali modificazioni paleoambientali corrispondono più fasi di
frequentazione antropica che, a partire dal Dryas antico (15.000-13.000
anni fa), delineano una progressiva penetrazione dell'Epigravettiano (un
complesso di culture della fine del Paleolitico superiore) nel territorio
alpino, che diviene particolarmente marcata alla fine del Bòlling
e durante l'Alleròd. Nel Dryas recente, a causa di un brusco raffreddamento
climatico, sembra di osservare invece una regressione nel processo di
popolamento.
In questo periodo l'Uomo del Paleolitico superiore occupava siti residenziali
di fondovalle, spesso in ripari sotto roccia e, nella media montagna (1.000-1.500
m), campi stagionali orientati funzionalmente verso diverse attività
quali la produzione litica oppure la caccia nelle limitrofe praterie montane.
Oltre agli aspetti puramente economici e insediativi, è interessante
notare che dall'interstadio di Bòlling si registrano nelle industrie
epigravettiane alcune innovazioni tecniche e tipologiche legate alla diffusione
di forme particolari di strumenti, comuni ad altri ambiti culturali. Tale
fenomeno sembra marcare l'instaurarsi di un sistema di relazioni interregionali,
reso possibile evidentemente dalle mutate condizioni ambientali.
Il popolamento sarà destinato ad intensificarsi in età postglaciale,
e specialmente nel Sauveterriano (un complesso di culture della prima
parte del Mesolitico), i cui insediamenti risultano largamente più
numerosi di quelli castelnoviani (un complesso della seconda parte del
Mesolitico). Essi si ubicano sia in posizione di fondovalle, sia entro
la fascia altitudinale compresa tra 1.900 e 2.300 metri, con massima concentrazione
nell'area dolomitica. Gli insediamenti d'alta quota occupano posizioni
morfologiche ricorrenti: in vicinanza di zone umide, su crinali, selle
e terrazzi morfologici e in piccoli ripari alla base di massi erratici.
Nell'insieme, la posizione e le caratteristiche funzionali dei siti montani
e di fondovalle (in prevalenza campi residenziali e appostamenti di caccia),
consentivano lo sfruttamento delle risorse naturali di tutto il sistema
territoriale alpino, dai fondi delle vallate alle praterie alpine d'alta
quota. Il Mesolitico dell'area alpinopadana, se da un lato sviluppa ulteriormente
le innovazioni tecnologiche proprie della fase terminale dell'Epigravettiano,
dall'altro acquisisce nuovi elementi esclusivi della tradizione sauveterriana,
diffusi soprattutto nelle
9
regioni del Mediterraneo nord-occidentale. Esso può
ritenersi, pertanto, espressione del definitivo superamento delle barriere
glaciali, e del ristabilirsi di rapporti culturali ed economici con le
regioni dell'Europa occidentale. Rapporti che saranno ancora più
intensi ed evidenti con la diffusione delle culture neolitiche, quando
l'Uomo cacciatore-raccoglitore del Mesolitico aveva già avviato
il processo di abbandono dei territori montani.
Per quanto riguarda la fascia delle Prealpi, pur considerando che lo sviluppo
delle indagini ha consentito la messa a punto di un quadro paleoambientale
utile a collocare ed interpretare - anche se in termini piuttosto parziali
- le strategie insediative adottate dalle comunità paleomesolitiche,
va lamentata la frammentarietà del dato archeologico. Le ragioni
principali sono dovute non solo alle condizioni di fossilizzazione delle
testimonianze archeologiche, ma anche alla mancanza di un'adeguata ricerca
di superficie. In effetti, se si escludono alcune aree dove sono state
avviate prospezioni geoarcheologiche (Altopiano dei Sette Comuni; Altopiano
di Tonezza-Folgaria), vaste zone risultano tuttora inesplorate, oppure
segnalate per sporadici rinvenimenti casuali. Grazie alla loro posizione
geografica, alle caratteristiche morfologiche che le contraddistinguono
e per essere state sede di frequentazioni sia nel Tardiglaciale che nell
'Olocene antico, le Prealpi dispongono di una notevole potenzialità
scientifica, tale da consentire un'analisi approfondita dei diversi aspetti
connessi alla realtà archeologica e di confrontare comportamenti
tecno-economici e strategie insediative tra Epigravettiano e Mesolitico.
In questo quadro i dati paleoambientali e paletnologici provenienti dall
'Altopiano del Cansiglio rappresentano un nuovo contributo. Quest'area
montana, per la sua posizione dominante la Pianura Veneto-Friulana e per
il fatto che essa si pone all'estremità orientale di una più
vasta regione prealpina ricca di calcari selciferi, è stata scelta
come area-campione per lo studio del popolamento umano alla transizione
Tardiglaciale-Olocene antico. Il lavoro che segue presenta i risultati
preliminari delle ricerche avviate nel 1993 e tuttora in corso. Anche
se i dati appaiono significativi e qualificati grazie alla presenza di
consistenti testimonianze archeologiche, essi rappresentano tuttavia un
campione estremamente limitato, non statistico, dell'utilizzo del territorio.
LA RICERCA ARCHEOLOGICA E PALEOAMBIENTALE IN CANSIGLIO
L'obiettivo della ricerca è capire che cosa rappresentava il Cansiglio
per le popolazioni preistoriche che frequentavano questo altopiano ed
i rilievi circostanti per sfruttarne le risorse naturali. Per conseguire
tale scopo la ricerca scientifica ha dovuto avvalersi del contributo di
diversi specialisti come geologi, palinologi, paleobotanici, paletnologi,
traceologi (questi
10
ultimi riconoscono la funzione di uno strumento di selce
attraverso l'esame microscopico delle tracce d'uso conservate sul suo
margine), ai quali spetta l'arduo compito di raccogliere ogni informazione
possibile da qualsiasi elemento, archeologico o naturale, rinvenuto nel
corso degli scavi oppure durante le prospezioni sul territorio. La ricostruzione
dell'ambiente naturale al tempo delle frequentazioni preistoriche è
possibile in Cansiglio, dove l'impatto antropico è, se si escludono
alcuni interventi recenti, sempre stato contenuto.
LE EVIDENZE PALEOAMBIENTALI
La Geomorfologia e la Geologia del Quaternario ci possono fornire utili
indicazioni sull'origine delle morfologie del paesaggio attualmente visibili,
nonchè sulle variazioni dei processi di modellamento del rilievo
avvenuti nelle ultime decine di migliaia di anni. L'evoluzione morfologica
di questo massiccio calcareo è riconoscibile solo a tratti per
le fasi più antiche, mentre a partire dall 'ultima grande espansione
glaciale wurmiana, cioè intorno a 25-20.000 anni fa, i dati sono
più precisi e attestano l'attivazione di processi morfogenetici
glaciali e periglaciali. Tra i primi va considerata l'azione del ghiacciaio
alpino del Piave e dei ghiacciai del Monte Cavallo, i quali hanno interessato
l'altopiano solamente nel suo settore settentrionale, mentre tra i secondi,
la deposizione di loess (polveri di origine eolica) aveva investito l'altopiano
e soprattutto i versanti esposti a Sud; questa, inoltre, era associata
a fenomeni di soliflusso e di gelifrazione dei calcari. Gli eventi morfogenetici
di età recente consistono nella formazione di depositi colluviali
ed alluvionali, in un incremento dell'attività carsica, e nell'evoluzione
di suoli bruni e bruni lisciviati sulla piana.
I dati più interessanti per lo studio dell'evoluzione fisica e
botanica a partire dall'ultimo massimo glaciale fino all'Olocene antico
provengono dalla torbiera di Palughetto, che si trova sul margine NO dell'altopiano
a 1.040 m di altitude, in corrispondenza di un complesso di depositi abbandonati
dal ghiacciaio del Piave (fig. 1). Nell'ambito di una ricerca geoarcheologica
che mirava ad indagare un insediamento epigravettiano posto su uno dei
cordoni morenici che formano tale complesso, sono stati effettuati due
sondaggi stratigrafici (1994 e 1995) e, successivamente, uno scavo archeologico
(1997) in una zona della torbiera adiacente l'insediamento stesso.
I depositi del bacino lacustre e torboso mostrano una interessante successione
di ambienti. La serie stratigrafica si compone di una parte inferiore
prevalentemente inorganica (unità da T14 a Ti 1), di una intermedia
quasi esclusivamente torbosa (da T10÷T7), e di una superiore con
prevalenza di componenti inorganici (da T6÷T1) (figg. 2 e 3). L'unità
più antica (Tl4) è
11
Fig.
I - Panoramica della torbiera di Palu ghetto vista da SW. E' visibile
il cantiere dello scavo archeologico 1997 e, alle sue spalle, il cordone
morenico alla sommità del quale si trova l'insediamento epigravettiano
scavato nel 1993-1994.
Fig. 2 - La
successione stratigrafica de/bordo settentrionale del bacino di Palu ghetto
(sezione PL 1997). Sono visibili le porzioni prevalentemente inorganica
(in basso, unità da T14 a TI 1), organica (al centro, unità
da T10a T7) e la parte sommitale della serie stratigrafica (unità
da T6 a T4). Sulla sinistra della sezione affiora un tronco di lance (la
profondità della sezione è di 190 cm).
12
un pacco di ritmiti glacio-lacustri, coperto da uno strato (T13) di limi
grigio verdastri contenente minute particelle di sostanza organica. Verso
l'alto seguono argille grigio chiare (T12) apparentemente inorganiche,
alle quali si sovrappongono limi grigio verdastri (Tl 1) caratterizzati
da un'alternanza di lamine limose e di lamine più ricche in sostanza
organica; talora sono presenti pigne di pino mugo e lance (un campione
al tetto di quest'unità ha dato un'età radiocarbonica di
poco superiore a i2.000 anni fa).
La porzione intermedia è costituita da una torba umificata rossastra,
ricca di macroresti di lance (fig. 4), dominanti quelli di abete (fig.
5) e di betulla (TIO, risalente a circa 12,000 anni dal presente). Superiormente
(T9, di circa 500 anni più recente) si ha una torba a legni (conifere
e betulla), aghi e pigne di abete e lance, talora con livelli più
ricchi di muschi; la frazione legnosa costituisce un vero e proprio orizzonte
di radici, ceppi e fusti. L'unità T8 èuna torba a muschi,
datata intorno a 10.000 anni fa, con aghi di abete e lance abbondanti,
coperta da una torba a foglietti piano paralleli di cuticole di monocotiledoni.
La porzione superiore della serie marca evidenze di formazione di suoli
ripetute nel tempo. Alla base si trova un suolo forestale con reperti
archeologici (T6, datato a circa 9.500 anni dal presente), ricco di sostanza
organica e di resti vegetali parzialmente conservati, questi ultimi appartenenti
ad apparati radicali di lance o peccio, e di probabili rami di peccio.
Superiormente si trovano limi grigiastri (T5), e quattro unità
(T4-Tl) prevalentemente limose e organiche, che contenevano manufatti
di età storica (fig. 3).
LE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE
Le prospezioni archeologiche in Cansiglio sono tuttora in corso. Esse
hanno messo in evidenza un insieme di siti distribuiti in zone ben caratterizzate
dal punto di vista morfologico: la zona umida di Palughetto, le creste
che circondano l'altopiano, il Massiccio del Monte Cavallo, i settori
inferiori dei versanti circostanti il Piano del Cansiglio. Tuttavia solo
alcuni degli insediamenti scoperti risultano più consistenti e
meglio conservati, come ad esempio Palughetto e i siti posti ai margini
del Piano; su questi, di conseguenza, si stanno indirizzando gli sforzi
di questi ultimi anni.
Le risorse litiche dei gruppi umani in cansiglio: varietà e distribuzione
delle selci nelle Prealpi Bellunesi e Trevigiane
Lo studio delle selci impiegate per la fabbricazione di
strumenti o armi da caccia si prefigge di individuare l'area di provenienza
e di conoscere le ragioni della scelta ditale materia prima, le strategie
di approvvigionamento,
13
Fig.
3 - Rilievo della sezione dei depositi al margine NO della torbiera: 1-strada
forestale; 2-suolo attuale; 3-suolo sepolto; 4-limi argillosi grigi (unità
T5); 5-limi argillosi organici (unità T6); 6-torba a monocotiledoni
(unità T7); 7-torbe con macroresti botanici (pigne, tronchi, ecc;
unità da T8 a T10); 8- argille limose laminate prevalentemente
inorganiche (unità T1 1); 9-deposito glaciale. La freccia indica
la posizione della riserva di selci scoperta nel 1995.
Fig. 4- Torbiera di Palughetto.
Pigne di larice raccolte in un livello datato intorno a 12.000 anni fa.
Fig. 5- Torbiena di Palu ghetto.
Pigna di abete rosso raccolte in un livello datato intorno a 11.500 anni
fa.
14
nonchè gli spostamenti territoriali dei gruppi umani.
In quest'ottica, uno degli obiettivi della campagna di ricerche 1996 è
stato l'identificazione delle fonti primarie e secondarie delle selci
utilizzate in Cansiglio.
Le Prealpi Bellunesi furono una vasta area di approvvigionamento di selci
per le popolazioni preistoriche che abitavano i territori compresi tra
le Alpi e la Pianura Padana. In questa regione tali rocce sono disponibili
sotto una larga varietà di litotipi differenziati per colore, tessitura
ed omogeneità, contenuti in formazioni giurassiche e cretaciche
(fig. 6).
Ad una maggiore distanza dall 'altopiano si trovano le seguenti formazioni
carbonatiche.
- Formazione di Fonzaso, biocalcaeniti e calcai micritici del CallovianoOxfordiano,
che contengono molti letti fratturati di selce da grigia a bruno rossastra,
e di tessitura da fine a media, idonea alla scheggiatura.
- Formazione del Biancone, calcari micritici del Cretaceo inferiore, ricca
di noduli e letti di selci grigio scure e a tessitura fine, e di abbondanti
noduli e letti di selce nera, bruno-oliva o bruno scura, bene utilizzabile
per la produzione di lame e schegge.
- Formazione della Scaglia Rossa, calcari micritici del Turoniano-Eocene
inferiore, con letti e noduli di ottima selce compatta, di tessitura fine,
di colore bruno-rossastro.
Più vicine all'altopiano si trovano le formazioni seguenti:
- Calcare del Soccher, calcari micritici-biocalcaeniti del Cretaceo inferiore-superiore,
contenente blocchi e noduli di selce da grigio-rossastra scura a grigio-rossastra
con tessitura variabile tra grossolana e fine, poco utilizzati.
- Rosso di Col Indes, calcari marnosi del Santoniano superioreMaastrichtiano,
con frequenti lenti e noduli di selce rosso-scura che affiora nella parte
intermedia, e selce bruno-giallastra leggermente vaiegata nella parte
superiore. La qualità della selce è bassa a causa della
scarsa silicizzazione, della tessitura media e della densità di
fratture.
- Scaglia Grigia, calcari mamosi del Maastrichtiano, ricchi di noduli
e letti di buona selce grigio-blu, omogenea, abbondante, e di selce grigia
con variegature brune nella parte superiore della formazione.
- Scaglia Rossa, calcari marnosi del Maastrichtiano-Paleocene superiore,
con buona selce bruno-rossastra, presente solo nella parte inferiore della
formazione.
Sull'altopiano del Cansiglio affiorano le formazioni Rosso di Col Indes
e Scaglia Grigia. Quest'ultima contiene selce grigio scura e selce grigia
con variegature verdastre. Tuttavia, nonostante la sua tessitura fine
e la sua omogeneità, essa risulta inutilizzabile per la produzione
di lame, in quanto un fitto sistema di fratture rende impossibile la conservazione
di grandi blocchi, ma solo di blocchetti lunghi pari a circa 5 cm, idonei
alla produzione di lamelle o di piccole schegge (fig. 7).
15
Fig.
6- Carta geologica delle formazioni selcifere nelle Prealpi Venete orientali
(I - FormazionidiSoverzene e di lgne); 2-Formazioni di Fonzaso e de/Rosso
Ammonitico; 3 - Biancone; 4 - Calcare di Soccher; 5 - Scaglia Rossa; 6-
Rosso di Col Indes; 7 - Scaglia Grigia (da Bertola et al., 1997).
Fig. 7- La se/ce della Scaglia
Grigia in Cansiglio si trova sotto forma di un detrito a blocchetti come
questi, raccolti in vicinanza dell'insediamento di Casera Lissandri I.
16
Le più antiche frequentazioni umane in Cansiglio:
l'Uomo di Neandertal?
Nell'estate 1995 il Dott. Giulio di Anastasio raccoglieva
in località Cornesega Alta una scheggia di selce dai caratteri
arcaici, bene differenti da quelli della tecnologia laminare del Paleolitico
superiore. Si tratta di un manufatto Levallois (fig. 8) ottenuto, quindi,
mediante la tecnica di scheggiatuna più comunemente applicata dall
'Uomo di Neandertal e scomparsa con l'estinzione di questa forma umana
intorno a 35.000 anni fa. La scheggia presenta un ritocco semplice sul
margine destro ed era quindi stata trasformata
in raschiatoio. La sua importante scoperta attesta la presenza dei neandertaliani
sull altoptano e, come altri ritrovamenti delle Prealpi Venete, ètestimonianza
di frequentazioni dei territori montani avvenute prima dell'ultimo massimo
glaciale, quando presumibilmente 1 'ecosistema disponeva di sufficienti
risorse alimentari.
Fig.
8 - Scheggia levallois ritoccata in Cornesega alta dal geologo Giulio
Di Anastasio.
Le ultime frequentazioni paleolitiche: il sito di Palughetto
Il sito di Palughetto occupa due distinti settori: il
primo, indagato durante le campagne di scavo 1993-94, si trova sulla morena
che limita la torbiera sul suo lato di NO; il secondo dista pochi metri
dal primo ma cade all'interno della torbiera stessa; qui il materiale
archeologico riposava nell'unità T6 della successione torbosa.
Esso è stato raccolto durante i sondaggi stratigrafici 1994-95
e nel corso dello scavo 1997.
Palughetto presenta le caratteristiche più comuni agli insediamenti
montani all'aperto soggetti a pedogenesi, e quindi fortemente impoveriti
di alcuni dei principali elementi connessi alle attività antropiche.
Sono infatti assenti i resti organici, i resti faunistici, gli eventuali
manufatti ricavati su litologie carbonatiche, mentre altre evidenze (paleosuperfici
d'abitato, manufatti litici) risultano profondamente disperse. Tale depauperamento
èmaggiore nel primo settore, dove i manufatti di selce costituiscono
l'unica fonte di informazioni utile a formulare l'attribuzione crono-culturale
dell'insediamento e a comprenderne il significato funzionale. Nel secondo
settore il dato archeologico offre invece maggiori potenzialità
per uno studio paletnologico: presenza di una stratigrafia, conservazione
dei carboni vegetali e, naturalmente, dei manufatti di selce.
segue parte seconta
<<<
indice generale
|