CARMELO SORGE -VITTORINO PIANCA
IL POEMETTO "DE THERMIS CENETENSIBUS" DI GIOVANNI STEFANI
Giovanni Stefani di Nicolò, nato a Belluno
sul finire del XVI secolo e morto a Venezia fra il 1653 ed il 1656, fu
illustre medico della sua epoca e nella sua professione percorse una brillante
carriera che lo portò a diventare Priore del Collegio dei Medici di Venezia
nel 1646. Esercitò la medicina dapprima a Cividale di Belluno da dove
passò a Ceneda intorno al 1620. Qui ebbe a trascorrere alcuni degli anni
più difficili per la cittadina veneta. Nel 1629 la zona, ed anche Ceneda,
fu teatro di scorrerie ad opera delle truppe tedesche che, al comando
del conte Rambaldo di Collalto, trasferirono in Italia, nella guerra per
la contesa del Ducato di Mantova, le atrocità fino ad allora perpetrate
in Germania. Proprio questa guerra e la peste che segui sono note ai più
dalla rievocazione del Manzoni nei "Promessi Sposi". La peste, portata
nel Veneto dalla soldataglia mercenaria tedesca: "giunse anche in Ceneda,
a Serravalle non arrivò" (1) proprio perché veniva dalle truppe padrone
delle campagne e non direttamente dal Nord attraverso il passo del Fadalto.
Nel Mondini si possono leggere alcune pagine sull'impegno delle autorità
civili e sanitarie per fermare e circoscrivere la malattia. In quest'opera
dovette distiguersi anche lo Stefani perche gli fu concessa proprio in
questo periodo la cittadinanza cenedese e l'iscrizione al Collegio dei
nobili di Ceneda. Come medico doveva già aver incontrato e studiato la
malattia perché nel 1624 aveva pubblicato a Venezia l'opuscolo: "Summa
precautionis ratio pestifera contagionis, ac primum de contagiosa aeris
natura". Del contagio a Ceneda lasciò testimonianza nell'opuscolo: "Historia
febrium Cenetensium anni 1629". E' il 1630 l'anno più grave della peste
a Ceneda, ma la pestilenza si manifestò proprio dal 1629 al 1631. Lo Stefani
fu dunque scienziato e colto umanista, ma nei secoli che seguirono fu
piuttosto questo suo secondo bagaglio culturale a riportarlo alla memoria
dei posteri.
CARMELO SORGE, ordinario di lettere
classiche nei Licei, attualmente insegna presso il Liceo-Ginnasio "M.
Flaminio" di Vittorio Veneto. Ha curato pubblicazioni di lettere classiche
fra cui anche l'edizione del "Dizionario illustrato Latino-italiano" di
Felix Gaffiot.
VITTORINO PIANCA, laureato in lettere presso l'Università di Padova, è
direttore della Biblioteca Civica di Vittorio Veneto e del Sistema Bibliotecario
del Vittoriese.
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Della sua prevalente formazione umanistica infatti non si avvalsero,
ma piuttosto ne soffrirono, le sue opere e gli scritti di medicina che
sono permeati da un'impostazione empiristica sostanzialmente prescientifica
più attenta all'eloquenza (magari in buon latino, vedi: "Consiliorun
medicorum X decades")che alla verità scientifica. Così troviamo ad esempio
un trattato: "Coenologia sive de vertiginis dialogus" in cui egli tratta
della vertigine cercando di dimostrarne la natura "philosophicis rationibus".
costruendole dei presupposti filosofici. Oppure secondo la moda del
tempo, timorosa dell'Inquisizione, tratta dell' "Hippocratica Theologia"
tentando di dimostrare "quantum eius doctrina Christianis congrua! dogmatibus"
(quanto si accordi con i dogmi cristiani) vezzo questo d'altronde neppur
oggi smesso da altri scrittori. Oltre alle "Consiliorum medicorum X
decades" anche in "Symmixis, seu miscellanea Physicarum Jatricarumque
Questionum" l'accento viene posto più sull'aspetto letterario che scientifico:
"Singulis, qui cultiore litteratura non indelectantur, apprime utili".
In fondo fu lo Stefani per il suo tempo più un buon divulgatore che
uno scienziato medico nel senso più moderno dell'accezione. Di questo
parere era senz'altro anche Albert Haller che, a conclusione dell'elenco
bibliografico delle opere dello Stefani così scriveva: "Vir minime ingenio
destitutus, satis bonus poeta, inutiles tamen libros scripsit, theorias
meras et paraphrasticos commentarios in Hippocratis legem" (2). Forse,
il limite più che nell'uomo era nel suo tempo che tanto lontano pareva
ormai all'Haller del secolo dei lumi (1771). Resta senz'altro valida
e tutt'ora piacevole la produzione letteraria dello Stefani di cui il
carme latino che qui si presenta è un buon esempio: "Elegantissimo carme"
lo definiva Jacopo Bernardi nel secolo scorso (3). Stampato per la prima
volta a Venezia presso Marcantonio Brogiollo assieme ad altre opere
(4), citato dall'Autore stesso in una memoria a stampa su foglio volante
intitolata: "De Thermis Cenetensibus ad aedem Divi Gothardi". (5): "De
quo fonte, quoniam alibi egimus, et carmine lusimus, vires utendique
modum mythica dialecto indicantes, non est cur in praesentia longum
faciamus" (6) firmato, poiché si trattava di una relazione sulle proprietà
terapeutiche delle acque minerali di Salsa "Joannis Stephani Jatrophysici
Veneti consulta fides". Nel 1795 Domenico Vincenti scrivendo al dottor
Carlo Monari di Ceneda per avere notizie circa le acque minerali del
Posto lo riesuma traendolo dall'edizione delle Opere edita da Giunti
nel 1653. Pubblicato dunque nel 1635, questo carme è il prodotto della
giovinezza "aestuante" (7) dell'Autore ed ha come precursore un componimento
latino del poeta Cornelio Amalteo, dei primissimi anni del 1600, in
lode delle sorgenti del Castello Vescovile di Ceneda(8). Stilisticamente
appartiene a quella corrente classicista che ebbe, nella seconda metà
del Cinquecento, nello Scaligero il suo massimo esponente, teorizzatore
della superiorità dell'arte sulla natura e propugnatore della perfezione
tecnica formale. Geograficamente più vicini a noi ed allo Stefani vissero
però anche i tre fratelli Amaltei di Oderzo: Girolamo, Giambatista e
Cornelio. Dal 1636 al 1558 Girolamo (1523-1574) fu proprio medico condotto
a Ceneda prima e a Serravalle poi, Giambatista fu amico del Giraldi,
dello Speroni e del Tasso. Ma è proprio con Cornelio (1530-1623) che
stilisticamente trova maggior affinità lo Stefani anche se tutti e tre
i poeti opitergini non si discostano dai moduli tematici e stilistici
della corrente classicista. Più composto ed equilibrato Girolamo; tassesco
Giambatista; Cornelio annunciava già il Seicento, pur arricchendo poeticamente
il mondo pastorale e mitologico entro il cui ambito già poetarono i
fratelli. Ed è proprio a questo mondo mitologico e pastorale che ci
riporta il tema e l'atmosfera del presente carme: un mondo popolato
di fauni e ninfe, divine presenze
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mitiche e graziosi concettismi che già suonano a preludio del prezioso
mondo secentista. Come non vedere l'affinità culturale e l'identità
dell'ambito ispiratore fra il satiro Mesco e la ninfa Livenza del componimento
omonimo di Cornelio? Meschio insidiava la verginità della ninfa che
piuttosto di cedergli ottenne dagli dei di essere trasformata in fiume.
Al prodigio ravvedutosi Meschio tanto pianse la propria colpa e la perdita
dell'amata che egli pure trasformato in fiume ottenne di congiungersi
costantemente "nella cangiata vergine fuggiasca" Livenza (9). Resta
comunque indubbio che più misurato e più elegante, anche se con sapor
d'accademia, resta ancora il componimento dello Stefani a cui si deve
ancora un altro poemetto latino: "Tobia", una ricostruzione della vita
del noto personaggio biblico in otto odi alcaiche, sempre sull'orme
classiciste al punto di pigliarsi la beccata del solito Haller: "Bonus
certe, poeta, etsi in eo carmine Diespiter non deberet dici" (10). Eh
si", in una rievocazione biblica "Giove Padre" invece che Javhè stona
effettivamente un poco. Nella presentazione all'edizione Giuntina, come
si usava soprattutto nel Seicento quando quasi sempre una famosa personalità
di turno tesseva le lodi dell'autore, Maurizio Tiescho, medico, scriveva
che nelle opere raccolte: "invenies etiam. Pegasi rivulum in Latio fluere
..." riferendosi all'aspetto letterario della produzione dell'Autore,
ma poi alla grande concludeva "Hippocratis forsan quaeris, Speculumque
Galeni? In promptu, Lector, Stephanus, ecce tibi." (11).
Vittorino Pianca
NOTE
1) Mondini, Giovanni Battista, Istoria della Città di Ceneda (p. 167)
manoscritto esistente presso la Biblioteca Civica e la Biblioteca del
Seminario Vescovile di Vittorio Veneto.
2) "Uomo nient'affatto privo d'ingegno, proprio buon poeta, tuttavia scrisse
dei libri inutili, delle teorie pure e semplici e dei commenti parafrastici
sulla "Legge" d'Ippocrate. A. Haller. Bibliotheca ... (. 534)
3) J, Bernardi, La civica aula cenedese ... (p. 296)
4) cfr. D. Vincenti, Raccolta di Opuscoli... (p. 51). Le altre opere cui
qui si accenna sono probabilmente le : "Consiliorum Medicorum X decades".
5) Il 17 maggio 1796 Carlo Antonio Monari, medico cenedese, scrive al
Vincenti: "Ho ritrovato un solo monumento dello Stefani circa le acque
medesime in carta volante a stampa... (D. Vincenti, Op. cit., p. 53).
6) "Sulla quale sorgente, poiché ne abbiamo altrove trattato, e con un
poemetto ci siamo divertiti, indicandone le proprietà, il modo di usarne
e le mitiche origini, non è il caso di dilungarci in questa sede..."
7)Vedi: Libri tres Carminum.
8)Amalteo C., Elegia latina, tradotta da Artico F., Venezia A. Frassine,
1829.
9)cfr. Has inter corylos haec florea rura, in Versi editi ed inediti di
Girolamo, Giambattista, Cornelio, Fratelli Amaltei, Venezia, Tip. di Alvisopoli,
1817 (p. 169). 10)A. Haller, Op., cit., (p. 533).
11)"Troverai anche un ruscello di Pegaso scorrere nel Lazio ..." (Poesie
in latino); "Cerchi forse uno specchio di Ippocrate e di Galeno? Lettore
ecco proprio lo Stefani qui davanti a te". (J. Stefani, Opera Universa).
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JOANNIS STEPHANI DE THERMIS CENETENSIBUS
AD MICHAELEM ANGELUM ROTAM
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