I Galli nel Venetorum angulus.
A partire dal TI secolo, in concomitanza con le "esplorazioni"
di Lepido, si registravano le pressioni dei GALLI sui territori orientali
dei Veneti. Nel 186, dodicimila Transalpini 'senza atti di guerra o saccheggio',
secondo quanto scrive Livio, sarebbero penetrati nella zona per vie montuose
fino allora sconosciute' al mondo romano, ed avrebbero apprestato una
cittadella fortificata, un oppidum, a 12 milia dal luogo dove sarebbe
sorta la colonia di Aquileia Il fatto compiuto non fu accettato da Roma,
molto sensibile alle manovre di quei popoli e, memore del 'metus gallicus',
il Senato ponderò a lungo sul da farsi. Alla fine, nel 183, a scanso
di futuri pericoli nel settore orientale, il console M.Claudio Marcello
ebbe l'ordine di rispedire gli intrusi al di là delle Alpi e 1'
oppidum celtico, secondo Plinio, venne distrutto(35). L'operazione, che
era stata oculatamente organizzata, ebbe pieno successo: 34) 'Eodem anno Galli Transalpini transgressi
in Venetiam sinepopulatione aut bello haud 69 base di un accordo di protettorato, analogo a quelli che
Roma stipulava con molte città della Grecia in funzione antimacedone,
proprio in quegli anni. Ovviamente l'operazione nella Venezia orientale,
dal punto di vista romano, si inquadrava in una politica di difesa preventiva
in funzione anti-gallica, strategia già collaudata nei territori
degli Insubri quasi mezzo secolo prima.
In conclusione, la debellatio delle popolazioni del territorio orientale dei Veneti e la cacciata degli aggressori offriva spazio all'inserimento di una testa di ponte latina. Infatti, la presenza incombente dei Galli Carni sulle Alpi e degli Istri verso il mare, consigliavano l'inserimento nel Nord-Est di un forte scalo marittimo nelle acque interne, appoggiato a terra da un congruo presidio di coloni. Nel 183-181 Roma "patteggiò" coi Veneti la deduzione di Aquileia presso la foce del fiume Natiso, con un agro di 50 mila ettari~37~. La stessa necessità strategica che aveva fatto sorgere Aquileia, farà succedere nello stesso settore, dopo quasi due millenni, la fortezza veneziana di Palmanova. I Galli però non desistevano dal tentativo di inserirsi sul territorio e tre mila dei loro nel 179 chiedevano ospitalità e terre, ma il console Quinto Fulvio recapitava ancora un rifiuto da parte del senato(38). L'inserimento dei coloni latini non doveva essere stato molto tranquillo se, oltre al tentativo dei Galli, l'anno successivo, nel 178 si inviarono le truppe di A.Manlio Vulsone contro gli Istri, che avevano disturbato la fondazione della colonia(39). Si fa l'ipotesi che i continui transiti romani verso oriente di coloni e di truppe formalmente alleate, ma pur sempre accompagnate dai disagi di una hospitalitas onerosa e dai pericoli di ingerenza abbiano suscitato dei torbidi in quel di Padova, fomentati da un probabile partito filo-gallico, organizzato da quella dinastia di oriundi celti, gli "ANDETICI", i cui nomi compaiono in alcune epigrafi patavine(40). Come conseguenza, nel 175, M.Emilio Lepido veniva inviato nella zona a risolvere la crisi, che si chiudeva positivamente(41), 70 72 73 74 75 e probabilmente il console otteneva di imporre una definitiva
"servitù di passaggio" sulla scorciatoia Este - Padova
- Montebelluna.
Nel 171 veniva registrata la marcia dimostrativa di Caio Cassio Longino ancòra contro gli Istri; il console coglieva l'occasione del transito, verosimilmente lungo la pedemontana, per devastare anche le terre dei Carni sulle montagne (oltre a quelle dei Giapidi), e il loro alleato Cincibilo, regulo dei Galli transalpini, si doleva con il senato di Roma(42). Il continuo riferimento ad attività militari contro le tribù sulle Alpi indica che queste zone erano fonte di relativa preoccupazione, e che il percorso lungo la pedemontana doveva essere costantemente sottoposto ad intrusioni stagionali da parte di popoli alpini(43), difficilmente normalizzabili a meno di una massiccia operazione militare contro di loro. Se ne ricava anche che gli insediamenti veneti delle Prealpi erano in serie difficoltà nel contrastare la pressione dei popoli dell'arco alpino nord-orientale. Con questi presupposti è molto probabile che alcune tribù celtiche si siano inserite fino ai margini della pianura, come risulterebbe dalla documentazione archeologica, a minacciare direttamente i territori ed i transiti ad Est del Livenza. Verso la metà del TI sec.a.C. quando qualcosa cominciò a cambiare nel rapporto politico tra Veneti e Roma, o meglio sotto la spinta di eventi esterni, i consoli romani si apprestarono a rafforzare la loro presenza nel settore costruendo de novo una via più arretrata sui terreni della media pianura, la Postumia. La pista "submontana", cioè la via di Lepido, e gli sbocchi prealpini venivano declassati, e non solo poiché imprevedibilmente pericolosi per i traffici civili o molto onerosi da presidiare adeguatamente. Gli antefatti della costruzione della nuova strada si dovrebbero ricercare nella necessità di consolidare la presenza romana nel settore orientale e di rafforzare il presidio dello scalo marittimo aquileiese in un periodo di pericolose lotte contro Perseo di Macedonia. Questi era riuscito ad attirare dalla sua parte nuovi alleati nell 'Epiro e nell'Illirico (terza guerra macedonica, 171-168) e ormai minacciava da vicino le Alpi Orientali. Come rafforzamento dell'area, nel 169 furono aggiunti altri 25 mila ettari alla pertica di
76 44) LIVIO, XLIII, 17,1: 'postulantibus
Aquileiensium legatis, ut numerus colonorum augeretur..' (in DORIGO, p18,
n.22). L'inserimento venne affidato ai triumviri T.Cassio Lusco, P.Decio
Sabulo e M.Cornelio Cetego.
45) CESSI, 1957, p202: "Livio parla di principes, di seniores, di publicum consilium, lasciando intravvedere l'esistenza di organi, che ad un certo momento assurgono alla funzione di governo comune". Questa considerazione può essere estesa anche ai Veneti, se puri! brano di Livio riguardi i Cenomani di Brescia (in CAPOZZA M., 1987, La voce degli scrittori antichi, p16). <<< indice generale |