La via di Lepido.
Secondo quanto riportato da Strabone, i consoli M.Emilio
Lepido e Gaio Flaminio avrebbero aperto, attorno al 187 a.C., due strade:
la prima da Roma ad Ariminum, la seconda da Rimini a Bononia(7); di qui
la strada sarebbe proseguita per Aquileia, sempre secondo il racconto
di Strabone, correndo 'alle radici delle Alpi, aggirando le paludi '(8).
61 come console M.Emilio Lepido era presente in forze nel
settore nord-orientale per rimediare alla impulsiva requisizione delle
armi ai Cenomani da parte del pretore Furio Crassipede nel 187(10), e
qualche anno dopo accorreva a Padova per sedare i tumulti interni del
175~174(11). L'apertura di una nuova via consolare prima del 181 a.C.,
cioè avanti la fondazione della colonia di Aquileia, non sembra
convincente a molti commentatori, e su questa considerazione si può
facilmente convenire. D'altra parte non ci dovrebbero essere dubbi che
per le operazioni di polizia nel settore alpino orientale, proprio all'inizio
del TI secolo a.C., i Romani dovevano usare una pista preesistente attraverso
i territori degli alleati Veneti. E' realistico anche ritenere che la
pista "aperta da Lepido" sia stata eventualmente consolidata
dai legionari in transito nei ripetuti interventi nel settore nord-orientale
e fatta passare più tardi come costruita de novo, per quel che
ne sapeva Strabone.
Dalle fonti storiche è difficile ricavare particolareggiate indicazioni sull 'itinerario seguito da Lepido, o dai suoi precursori, ma in via preliminare, se non si vuole stravolgere la chiara indicazione di Strabone 'alla radice delle Alpi, aggirando la paludi', appare molto improbabile l'utilizzazione ed il consolidamento da parte del console di una preesistente pista paleoveneta in prossimità del litorale, come viene proposto dal Bosio(12). A parte la labilità e la lenta percorribilità di un tale tragitto tra lagune, paludi, risorgive e numerosi corsi di fiumi a regime torrentizio, dal punto di vista strategico
62 sarebbe stato insensato il pattugliamento di una via molto
arretrata rispetto ai punti potenzialmente caldi sulle propaggini alpine.
Una tale tattica di retroguardia e rinunciataria, riferita ad un'epoca
di espansione del mondo romano, risulterebbe incomprensibile. Senza contare
che una tale modalità di inserimento di legionari attraverso la
bassa pianura, in un territorio tradizionalmente amico ed alleato, poteva
essere vista come ostile dagli autoctoni. Ovviamente agli inizi del secondo
secolo un tale progetto sarebbe apparso controproducente e politicamente
improponibile anche al senato romano(13), considerato il vigente patto
di alleanza fra i due popoli. Difatti l'amicitia con Roma venne rispettata
lealmente dai Veneti durante le due tranches di lotte contro i Galli,
concluse con la vittoria di Telamone del 225 e di Clastidio del 222(14),
e venne mantenuta persino nei momenti critici della seconda guerra punica(15),
finita nel 201. D'altro canto dal punto di vista tattico, per non ripetere
in qualche modo gli errori, per esempio quelli compiuti nel 232 dal tribuno
della plebe C.Flaminio Nepote - che Polibio ritenne avessero scatenato
la reazione gallica del 225(16) - eventuali interventi operativi nei territori
propriamente veneti potevano essere effettuati velocemente sia dalla linea
di costa tramite l'appoggio della potente flotta, sia via terra lungo
le normali piste commerciali, partendo dalla piazzaforte di Rimini. Questo
era il caposaldo romano della provincia Ariminum, come
63 veniva allora chiamata la Gallia Cisalpina(17), e di là
infatti sarebbero partite le operazioni di polizia dirette sia verso il
settore veneto-cenomane che verso quello carnico-istriano.
La via pionieristica "di Lepido", più efficace sotto tutti i punti di vista per le manovre dei consoli, e meno problematica dal punto di vista politico, doveva ricalcare gli antichi percorsi "franchi" sulla linea delle Prealpi. E qui calza perfettamente il ricordo della famosa via di Ercole, citata da Aristotele, lungo la quale i viandanti venivano considerati inviolabili(18), costellato come doveva essere l'itinerario da una lunga sequenza di santuari. In un'area marginale rispetto al mondo veneto-euganeo, in una zona di cerniera con quello composito veneto-alpino, la marcia lungo la via pedemontana poteva contare anche su punti di appoggio presso gli oppida e gli stabilimenti commerciali allo sbocco delle valli. Ovviamente l'inserimento romano attraverso i territori prealpini doveva essere supportato dal consenso della confederazione delle tribù venete di pianura e di quelle delle montagne,
64 patteggiato sulla base della politica del Senato che in
quel periodo privilegiava gli accordi di alleanza o di "protettorato"
con le popolazioni locali. Difatti, fin dal 218 circa, L.Leturio Filone
e C.Lutazio Catulo erano riusciti a guadagnare all'amicizia romana le
popolazioni che abitavano le valli alpine al di sopra di quelle dei Veneti
e degli Istri: lo storico bizantino Zonaras - dell'XI secolo, che però
riprende da Dione Cassio del TI sec.d.C.
- racconta che i due consoli 'andati avanti infin alle Alpi, senza combattere, tirarono molti dalla loro parte '(19) Erano evidentemente riusciti, nell'imminenza e in previsione della seconda guerra punica, a sottrarre alcuni popoli alpini alle lusinghe di Pilippo V di Macedonia, potente alleato di Cartagine, che aveva però preferito impegnarsi solo finanziariamente nella lotta contro Roma, e agire diplomaticamente come longa manus punica nel settore alpino e dinarico. Ti tracciato della via di Lepido, la cosiddetta "Aemilia Altinate", secondo Dall'Aglio, da Bononia toccava Este e faceva capo a Padova; Scarpa Bonazza ha invece l'impressione convincente che il percorso dovesse transitare lontano dai centri paleoveneti più importanti(20). Sembrando sicuramente prematuro un passaggio lungo la pista di Este e di Padova, il percorso da Bononia doveva puntare decisamente a Nord su Ostiglia, evitando anche le paludi attorno a Mantova, verso i territori dei Cenomani. Queste tribù galliche, da sempre alleate di Roma, si erano dimostrate infide attorno al 200-197, a partire dal Gallicus tumultus suscitato dal cartaginese Amilcare, ma erano state recuperate all'antica alleanza dall'intervento di C.Cornelio Cetego(21). Infine Lepido, che era personalmente intervenuto nel 187 per restituire ai Cenomani le armi requisite da F. Crassipede, potè sicuramente utilizzare nelle sue esplorazioni, e senza problemi diplomatici, un tratto viario verso il pedemonte "cenomane" fino ad intercettare una antica pista diretta ad Oriente. I "battistrada" di Lepido, muovendosi quindi verso Est lungo la pedemontana, dopo il Brenta (l'antico Medoacus) incontravano il centro paleoveneto di Montebelluna, punto focale dei traffici commerciali sia verso il feltrino, il bellunese e il Cadore, sia verso il cenedese
65 e le Alpi orientali, 'che nell'antichità venivano
dette Venete'(22). A Montebelluna, di cui non si conosce il nome antico(23),
la pista pedemontana incrociava l'attivissima commerciale "patavina",
che viene evidenziata, per la media età del ferro, dalla diffusione
delle ciste cordonate in bronzo e dai lebeti a due manici, rinvenuti nelle
necropoli, lungo una direttrice nel senso dei meridiani Padova - Montebelluna
- Valbelluna - Cadore(24). Nulla osta a ritenere che anche tale percorso,
come scorciatoia da Este - Padova a Montebelluna, venisse utilizzata da
Lepido e dalle legioni nei momenti di crisi acuta sul fronte gallico orientale,
dato il patto di amicizia o di protettorato coi Veneti; ma forse solo
dopo la composizione dei tumulti patavini del 175 diventava la via normale,
e senza tante formalità le truppe si potevano inserire più
velocemente sull'antica "pedemontana". Anche in questa ipotesi
viaria, il proconsole aveva cura di evitare le zone umide presso il litorale,
come affermava Strabone, e lo stesso storico-geografo greco riconosceva
il territorio altinate come paludoso(25). Da Montebelluna volgendo a Est,
il percorso poi superava facilmente il Piave nei pressi di Covolo (necropoli),
sulla riva destra, e di Vidor (presso Valdobbiadene) sulla sponda sinistra
del fiume. In alternativa si poteva passare il fiume a guado nella zona
di Colfosco vicino a Susegana, dove si sarebbero incrociate molto più
tardi la Claudia Augusta 'ab Altino' e la Opitergio-Tridento. La via "Aemilia
submontana" quindi, ben a monte della linea delle risorgive con percorso
tortuoso che seguiva 1 'orografia (stranamente finora non abbiamo documentazioni
paleovenete per il Quartier del Piave), forse lambiva Tarzo (piccola stipe)
e toccava Ceneda (necropoli ai Frati e santuario sul M.Altare), altro
importante nodo stradale verso il Cadore ed il Norico, al centro di una
vasta rete di luoghi di culto(26). Questi sembrano congegnali ad un'ampia
area di mercato,
66 per la presumibile confluenza o raggruppamento delle mandrie
durante la transumanza verso i pascoli estivi sulle Prealpi e nella Valbelluna,
con basi d'appoggio nei centri commerciali o minerari, rispettivamente
di Mel e Cavarzano (BL), massimamente attivi fino alla media età
del ferro(27). Da Ceneda la pista toccava Castel Roganzuolo (sacrario,
ed epigrafe funeraria di LAVSKOS) e correndo alla radice delle colline
(santuario ed insediamento di Villa di Villa presso Cordignano)(28) portava
al Livenza, che veniva scavalcato facilmente alle sorgenti presso Polcenigo
(necropoli di S .Giovanni)(29). E' importante far notare che solo in questa
zona, a circa metà del percorso in terra veneta, i contingenti
militari potevano ricevere rifornimenti in profondità, utilizzando
la navigabilità del fiume Liquentia fin quasi alle sorgenti(30).
Di qui, passando per Montereale Valcellina (necropoli, e arula al TEMA
vo)(31), la pista puntava sul Tagliamento dove si biforcava. Volgendo
a Nord, dirigeva verso i territori alpini, in seguito occupati dai Galli
Carni, e, attraverso il passo di M.Croce Carnico (santuario ed epigrafi),
raggiungeva i Norici (santuario con notevoli presenze paleovenete a Gùrina
nella valle del Gail); proseguendo dritto a Est, oltre le Alpes Venetae,
toccava i centri dei Taurisci e, a Sud-Est, quelli degli Histri e dei
Iapudes(32).
Il tratto pedemontano risulta frequentato fin dai tempi più remoti, sulla
67 base delle testimonianze archeologiche, e più che
mai efficiente in tutte le epoche di crisi. Il tratto fra Piave e Meduna,
facendo riferimento solo a partire dalla media età del ferro, viene
delineato passo-passo dalla diffusione di classi di reperti come la ceramica
cordonata con modanature sul bordo e le fibule Certosa. Dal TI secolo
a.C. sembra avere una frequentazione privilegiata per la comparsa di numerosi
torques a nodi, delle fibule Latène con decorazione plastic style
a spirali sull'arco, e infine dei piccoli oboli d'argento del Norico,
con la cosiddetta croce dei Tectosagi sul verso(33).
La via, così come risulta delineata dalla diffusione dei suddetti reperti, non viene segnalata in epoca romana da miliari, da 'itinerari' o da indicazioni toponomastiche; però la presenza di circolante romano repubblicano al santuario sul M.Altare sopra Ceneda, assi unciali, un semisse e denari d'argento - la moneta legionaria - con altri assi a testa di Giano raccolti in numerosi depositi "sacri" del Cenedese, assieme a dracme venetiche, suggeriscono una prima frequentazione romana dell'itinerario pedemontano a partire proprio dal TI secolo a.C. Ciò avvenne in concomitanza con la conclusione delle pluridecennali lotte sostenute contro i Galli nella Padania occidentale, e alle prime avvisaglie di infiltrazioni celtiche anche nel settore orientale delle Alpi. In quelle occasioni l'antica commerciale pedemontana si presentava immediatamente disponibile alla politica romana di prevenzione e di contenimento delle manovre dei Celti e delle altre popolazioni alpine sul fronte veneto. La "via di Lepido", la 'submontana', sarebbe stata quindi l'asse portante dell' intromissione romana in questo settore. 33) Citazione in ARNOSTI, 1993a, e foto 7-8. (per i Friuli ampia docum. in BUORA M., 1994, Le monete celtiche del Friuli: la documentazione archeologica, in Numismatica e Archeologia del celtismo padano, Atti del Conv.Intern., AO, pp.7-2l). Tra i piccoli argentei del M.Altare, con lo stesso peso, anche un obolo di MASSALIA (simile in MOLLO MEZZENA R., 1994, 11 celtismo in Va/le d'Aosta, in Numismatica e Archeologia del Celtismo padano, AO, p16!, fig. 23 e-f). Un denario di Rubrio Dosseno risulta tagliato per adeguarlo alla ca~atura di un obolo. Le palline d'argento sul M.Altare del peso degli oboli fanno pensare a un loro conio anche in loco. <<< indice generale |