GIORGIO ZOCCOLETTO
LA PODESTERIA DI CENEDA E TARZO 1769 - 1797. 1.*
Dal vescovo da Ponte al vescovo Gradenigo
Nella seduta del 16 luglio 1768 il senato veneto apprese
la notizia della morte, avvenuta qualche giorno prima, del vescovo di
Ceneda Lorenzo da Ponte e l'avvenimento riportò all'attenzione
di quella massima assemblea legislativa la rilevanza giuridica della vertenza
relativa alla sovranità temporale del vescovato cenedese, vertenza
agitata nel corso di molti secoli e mai giunta a composizione. Dopo un
formale tributo ai meriti personali del prelato defunto, i senatori decisero
di affidare l'esame della situazione alla deputazione estraordinaria adpias
causas, magistratura deputata a trattare le materie ecclesiastiche. Venne
affermato il principio che l'autorizzazione all'ingresso per il nuovo
vescovo dovesse restare subordinata alla revisione di tutto l'argomento,
in ottemperanza alle disposizioni emanate il 20 settembre del 1767 dal
maggior consiglio: allora si era infatti stabilito di togliere alle istituzioni
ecclesiastiche ogni competenza in campo civile.
* Vengono qui riassunti i primi risultati di una raccolta
sistematica di documenti relativi all'amministrazione dei territori di
Cenedae di Tarzo dalla soppressione del potere temporale dei vescovi alla
caduta della repubblica veneta. La ricerca è svolta presso l'Archivio
di Stato di Venezia e la massa enorme dei documenti ivi raccolti supplisce
alle carte custodite negli archivi locali.
GIORGIO ZOCCOLETTO. Storico ricercatore soprattutto in
tema di storia di Venezia e del Veneto. Autore di numerosi saggi, pubblicazioni,
interventi, anche relativi alla storia della Sinistra Piave e del Vittoriese.
53
Si originò così un' operazione politica sviluppatasi principalmente
in due fasi: si trattò anzitutto di separare le competenze laiche
da quelle religiose proprie dei vescovi, di rivedere poi gli statuti comunali
delle comunità di Ceneda e di Tarzo, territori sottoposti all'
amministrazione vescovile, con la scelta di una diversa forma istituzionale
da assegnare ad entrambe le comunità. Se la morte del vescovo da
Ponte costituì il punto iniziale per un radicale cambiamento, quello
finale di tutta l'operazione fu rappresentato dall'insediamento nel marzo
del 1772 del primo podestà veneziano. La separazione fra le due
fasi è rappresentata dall' autorizzazione all' ingresso in diocesi
del nuovo vescovo Giovanni Agostino Gradenigo.
Finalmente, con l'impianto della amministrazione podestarile iniziò
una fase delle vicende amministrative dei due territori che si concluse
con la caduta della repubblica veneta nel 1797.
La posizione interlocutoria assunta dal senato coni! decreto del 16 luglio
giustificò il comportamento dell'agente vescovile Gio.Batta Eugerio,
che aveva negato sia al capitolo dei canonici che al consiglio della comunità
di Ceneda la consegna delle chiavi del castello di San Martino, residenza
dei vescovi e simbolo del loro potere. Diversamente si comportò
il cancelliere temporale Giovanni Maria Valle, che aveva preferito invece
consegnare ai canonici le carte e le chiavi del suo ufficio. Entrambi
però s'erano cautelati dichiarando davanti al notaio Simone Fusari
le motivazioni dei loro discordanti comportamenti.
Qualche giorno dopo l'emanazione del decreto senatorio, il canonico Nicolò
Piazzoni presentò al governo veneziano una supplica del capitolo
della cattedrale, chiedendo che al vicario vescovile in sede vacante,
l'arcidiacono Giovanni di Panigai, fossero riconosciuti, oltre ai poteri
religiosi, anche i poteri temporali già esercitati dal vescovo.
A Venezia giunse pure un'istanza espressa dal consiglio della comunità
di Ceneda perchè fosse ripreso in esame, dopo tanti anni, il testo
dello statuto municipale, quasi a voler cogliere l'opportunità
della mancanza del vescovo per recuperare maggiore autonomia. Per le due
richieste fu sollecitato il parere dell'ufficio dei consultori injure,
come pure della stessa deputazione adpias causas.
L'ufficio dei consultori esplorò gli argomenti in due distinte
relazioni: la prima, impostata su argomentazioni di diritto canonico e
firmata dal consultore fra' Enrico servita, espresse parere favorevole
per riconoscere al vicario capitolare anche l'esercizio dei poteri temporali,
con la riaffermazione però della supremazia statale; la seconda,
impostata su argomentazioni di diritto pubblico e firmata dal consultore
Nicolò Caramondani, dopo aver analizzato la storia delle passate
vertenze ed aver confermato i diritti di Venezia, consigliò di
inviare a Ceneda un amministratore laico, lasciando al vicario capitolare
le sole competenze nell' ambito religioso.
Entrambi i risultati confluirono in una scrittura della deputazione adpias
54
causas, che si orientò verso la soluzione di accordare da una parte
ai canonici la sola giurisdizione religiosa e di nominare dall' altra
un amministratore laico per la giurisdizione temporale, seppure in via
provvisoria. Per una soluzione definitiva, la deputazione chiese, ed ottenne
dal senato, di essere autorizzata ad esaminare tutti gli atti necessari
per rivedere i contenuti dell'antica questione, in ottemperanza a quanto
già stabilito nel 1767 dal maggior consiglio.
Il senato adottò la linea suggerita dalla deputazione ed al governo
temporale di Ceneda venne nominato, con il titolo di vice gerente, il
giurista serravallese Giovanni Gaiotti, apprezzato amministratore nelle
gestioni pubbliche.
Dalla decisione presa e dell'indirizzo politico che si andava delineando
si informò l'ambasciatore veneziano a Roma Nicolò Erizzo,
che avrebbe dovuto riferire sull' atteggiamento assunto in proposito dalla
curia romana. Regnava allora papa Clemente XIII, il nobile veneziano Carlo
Rezzonico. L'ambiente curiale dimostrò di non voler far risorgere
gli attriti del passato e di voler salvaguardare i soli interessi spirituali
della diocesi. Infatti la scelta del nuovo vescovo cadde su Giovanni Agostino
Gradenigo, ordinario di Chioggia e persona di gran moderazione, e nell'atto
di nomina si cercò di evitare ogni elemento di polemica, riconoscendo
anzi indirettamente i diritti sovrani di Venezia su Ceneda.
La posizione della curia romana era condizionata anche dal vuoto effettivo
del potere papale spiegabile con la circostanza che Clemente XIII era
agonizzante. Infatti il papa morirà il successivo 2 febbraio 1769,
proprio nella fase cruciale dei mutamenti. Le more del conclave consentiranno
poi l'elezione del successore Clemente XIV solo il 19maggio, lasciando
così la curia nell'indecisione per diversi mesi.
In obbedienza al decreto del 16 luglio, la deputazione ad pias causas
incaricò il vice gerente Gaiotti (che aveva intanto preso in consegna
il castello e la cancelleria) di estendere una relazione sui vari aspetti
della situazione locale. Egli fornì un' ampia risposta articolata
in undici punti. Prese in esame la storia, l'organizzazione e l'economia
della contea di Tarzo. Espose gli aspetti fiscali specifici della contea
di Ceneda. Trattò il particolare argomento della commercializzazione
del sale. Riguardò i termini della condotta degli ebrei. Descrisse
minutamente la struttura esterna ed interna sia della loggia comunale
che del castello. Riportò l'elenco delle rendite del vescovado.
Descrisse il funzionamento della cancelleria civile e di quella ecclesiastica.
Elencò i beni comunali, i boschi, le acque, i molini e gli opifici
delle due contee. Parlò dei benefici affidati a private persone.
Trattò del collegio notarile. Allegò infine le relazioni
sui regolamenti e funzionamenti delle varie associazioni laiche d'ispirazione
religiosa operanti nel territorio.
Frattanto anche la comunità di Tarzo sollecitò l'approvazione
del proprio statuto comunale: il documento infatti, autorizzato già
dai vescovi, non era
55
ancora mai stato sottoposto al parere del governo veneziano. Successivamente
la comunità di Ceneda, tramite il deputato Pietro Graziani, si
appellò ancora una volta al governo veneziano per denunciare gli
abusi introdotti dai vescovi nella amministrazione pubblica, specialmente
sui contratti con gli ebrei, sulla formazione dell'ordine del giorno nelle
sedute del consiglio e sul divieto delle appellazioni in ultima istanza
ai tribunali di Venezia. All'iniziativa della comunità si oppose
immediatamente la nazione ebrea della città, richiedendo di essere
ascoltata per quanto la riguardava.
Per rispondere ad entrambe le suppliche, la deputazione interpellò
nuovamente il vice gerente, che fornì una seconda relazione sugli
argomenti in controversia. Con l'occasione il Gaiotti segnalò di
aver scoperto che il vescovo da Ponte aveva lasciato una cassa sigillata
di documenti destinata al successore. La deputazione si fece immediatamente
autorizzare dal senato per operarne il sequestro e, per dare subito un
segno tangibile del cambiamento istituzionale che si andava progettando,
ordinò al Gaiotti di collocare un leone di San Marco sull'arco
d'ingresso del castello. Giunta la cassa a Venezia, prima di effettuarne
l'apertura, i deputati si cautelarono richiedendone l'autorizzazione,
che fu loro concessa dal senato in data 28 febbraio
1769.
Sempre in obbedienza alle disposizioni impartite con il decreto del 16
luglio, la situazione di Ceneda venne ancor più dettagliatamente
esaminata in due esposizioni da un altro consultore in jure, il conte
Trifon Wrachier, giurista ottimo conoscitore delle vicende cenedesi.
La prima relazione si articolò in quattro punti: analisi della
natura giuridica e delle competenze giurisdizionali delle contee, classificazione
dei documenti che costituivano i fondamenti del potere dei vescovi, classificazione
dei documenti che costituivano i fondamenti delle rivendicazioni veneziane
e proposta di possibili soluzioni. Questo primo consulto si concluse con
il suggerimento di risolvere la faccenda in modo cauto: di concedere cioè
al nuovo vescovo gli stessi poteri già esercitati in passato, sollecitando
da lui, per il momento, una generica dimostrazione di sudditanza. Non
sarebbero quindi sorte contese di natura patrimoniale, anzi la repubblica
avrebbe forse ottenuto, in concambio, dalla santa sede il risolutivo diritto
di giuspatronato della diocesi.
La seconda relazione riguardò principalmente il testo dello statuto
di Ceneda, testo che giaceva ancora non approvato fin dal 1736. Il conte
Wrachier propose una bozza del nuovo statuto con esclusione dal vecchio
testo delle parti pregiudicanti il diritto veneto e l'inserimento nella
riedizione di altre parti affermative ditale diritto.
Si sviluppava intanto la vicenda della cassa dei documenti riservati.
All'atto dell'apertura davanti ai notai, la chiave, conservata in una
scatola a parte, risultò incompatibile con la serratura. Si provvide
quindi allo scasso del contenitore ed all' interno i notai trovarono una
gran massa di documenti:
56
Francesco Querini, notaio della deputazione ad pias causas,
inventariò sessantadue contenitori, alcuni dei quali erano chiusi
da sigilli. I titoli esterni qualificavano quelle carte come le più
gelose dell'amministrazione del vescovado.
Eseguito un sommario controllo, tutto il contenuto venne nuovamente richiuso
e messo a disposizione del senato. In seguito fu autorizzato ed eseguito
un ulteriore controllo: il notaio Querini raccolse i documenti in trenta
cartelle, o processi, secondo le varie materie.
Sia dal primo che dal secondo inventano restarono esclusi alcuni plichi
avvolti in più sigilli e che pertanto sembravano relativi a questioni
particolarmente spinose. Le informazioni offerte dai documenti riservati
e gli elementi raccolti trovarono infine il riepilogo in una scrittura
della deputazione adpias causas, presentata al senato in data 9 dicembre
1769.
La relazione era organizzata in tre punti principali: giustificazione
di carattere storico dei diritti di Venezia su Ceneda e Tarzo, definizione
della natura dei diritti del vescovado, esame della situazione attuale
del territorio sotto gli aspetti civili, amministrativi ed economici.
La deputazione riassunse il suo parere nella proposta di avocare allo
stato la giurisdizione laica.
La magistratura era allora retta da un triunvirato composto dai nobili
Zan Antonio da Riva, Andrea Querini ed Alvise Vallaresso, esponenti del
gruppo patrizio che rivendicava con fermezza allo stato tanti diritti
lasciati per troppo tempo nella trascuratezza. Sinteticamente la tesi
fondamentale dei deputati fu espressa in questo assunto: gli argomenti
favorevoli al vescovado o alla repubblica veneta erano indubbiamente controversi
e discutibili per entrambe le parti, però la sovranità di
Venezia su Ceneda e Tarzo poggiava sull'indiscusso principio di diritto
internazionale che una cosa è di proprietà di chi la prende
con le armi. La conquista dei territori fu compiuta dalle armi venete
per ben tre volte: nel 1336 vincendo gli scaligeri, nel 1418 vincendo
il re Sigismondo ed infine, in maniera rimasta definitiva, nel 1509 vincendo
l'imperatore Massimiliano.
Il senato accettò le affermazioni della deputazione in data 14
dicembre 1769, seppure con qualche titubanza: contro 103 voti favorevoli,
15 furono i contrari e ben 35 i non sinceri, ossia non sufficientemente
convinti. L'incertezza dei senatori era resa ancor più evidente
dalla forma adottata nella votazione: la seduta infatti avvenne expulsis
papalistis, cioè con l'allontanamento dall'aula di tutti coloro
che avessero avuti rapporti ed interessi con l'ambiente ecclesiastico.
Togliere il potere temporale ai vescovi di Ceneda assunse comunque il
valore di legge e dal decreto derivò una molteplicità di
incarichi rivolti a tutte le magistrature finanziarie ed amministrative,
che furono interessate alla definizione ed all'impianto della più
idonea forma di governo da assegnarsi alla nuova entità territoriale.
Fatto conseguente al decreto fu anche l'autorizzazione all'ingresso del
57
nuovo vescovo. Le formalità della nomina e le condizioni
del possesso vennero analizzate dal revisore ai brevi pontifici Natale
delle Laste. In concomitanza, il vice gerente Gaiotti ebbe l'ordine di
far abradere e cancellare dalla loggia e dal castello i più evidenti
segni del passato potere ecclesiastico, di modo che in data 30 dicembre
venne dato il permesso a Giovanni Agostino Gradenigo di andare a risiedere
nel castello di San Martino.
I plichi sigillati della cassa erano stati intanto visionati e catalogati
dal notaio Querini e ne era stata riscontrata la delicatezza per le vicende
processuali documentate, non tutte riguardanti però questioni patrimoniali,
ma relative per lo più a crimini e scandali commessi da persone
religiose.
|