FRANCO POSOCCO
PAESAGGIO E TRADIZIONE URBANA
NELLA "SINISTRA PIAVE"
Il territorio di mezzo
La morfologia naturale, è ben noto, condiziona lungo
il corso della storia la sequenza delle colonizzazioni umane, influenzando
la nascita delle città, la configurazione dei paesaggi, cioè
in gran sintesi l'intero assetto del territorio.
Ma tale vicenda, tutt'altro che lineare, non è priva di complessità,
contraddizioni e conflitti, i cui esiti si compongono e si accumulano
nel deposito continuo di strati successivi, dei quali la forma odierna
è la risultante visibile.
Pur celato in tale geologia antropica, nessun segno materiale va perduto,
poiché esso, quand'anche obliterato o disperso, ha interagito con
altri successivi interventi, di cui ha condizionato la nascita e la configurazione.
In questa prospettiva, riguardante il processo genetico dell'insediamento
nel Nord-Est del nostro paese, appare evidente, quale supporto del modellamento
antropico, una sorta di geometria naturale formata essenzialmente dal
fascio di linee arcuate e pressoché concentriche, che si dispongono
a partire dalle Alpi orientali e comprendono le catene prealpine collinari,
nonché, più in basso, altri degradanti allineamenti goemorfologici,
quali la fascia delle risorgive, il bordo delle lagune (o delle bonifiche)
ed infine quello del litorale marittimo.
Questo insieme essenzialmente orografico si incrocia con un altro siste-
FRANCO POSOCCO. Architetto, già Segretario Regionale
per il Territorio, autore di numerosi interventi e pubblicazioni in tema
di urbanistica e di politica del territorio, con particolare riferimento
al Veneto.
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ma, formato dal ventaglio dei fiumi, che scendono dai rilievi e convergono,
secondo un disegno tendenzialmente polare, verso il golfo adriatico.
Il territorio veneto, riguardato attraverso lo schema strutturale dianzi
descritto, appare ideograficamente suddiviso in porzioni ritagliate dalle
due famiglie di connotati altimetrici ed idrografici, cui si è
fatto riferimento; in tal senso si può affermare che topografia
e storia hanno continuamente interagito, dando luogo ad una sequenza insediativa,
che è in ogni momento la risultante di una goe grafia volontaria.
I grandi fiumi, a quanto è dato sapere, separano infatti le zone
di influenza gallica ed etrusca da quelle abitate dai veneti, così
come le Alpi costituiscono per lungo tempo un limes per le tribù
del Nord; allo stesso modo gli estuari consentono la penetrazione dei
popoli marittimi (fenici, greci, etc.) ed i valichi la formazione di itinerari
mercantili verso l'interno del continente, mentre le isole fluviali, le
anse, le alture, le chiuse, favoriscono il sorgere delle città
e dei castelli.
Anche le risorgive ebbero qui un peso importante, se si pensa che il console
Postumio costruì l'omonima via sui terreni asciutti posti appena
a monte della linea, che collega i fontanazzi.
Sulle infide acque lagunari, che un tempo circondavano l'intero arco adriatico
dal Po all'Isonzo, per diversi secoli era stabilito il confine fra l'impero
d'Oriente e quello d'Occidente.
In tale sempre mobile contesto, pur nell'invarianza geografica, è
possibile riconoscere l'identità strutturale di un territorio dimezzo,
come è quello compreso fra il Piave ed il Livenza, che le più
recenti vicende hanno reso subalterno ad altri sistemi urbani e che tuttavia
presenta, anche dal punto di vista culturale ed ambientale, caratteri
propri e particolari specificità nelle tipologie insediative e
nella tradizione paesaggistica.
Proprio il paesaggio sembra essere ancor' oggi il protagonista espressivo
e l'immagine sintetica di un'area, in cui la dimensione urbana, pur talvolta
illustre, si presenta tuttavia modesta e disaggregata, tanto che l'insediamento
appare come un sistema a maglia coordinata, più che un organismo
gerarchicamente polarizzato.
Il paesaggio antico seguiva la trama delle fascie concentriche prima accennate:
al cordone dei litorali e delle paleodune marittime seguiva la cintura
peri adriatica delle lagune e degli stagni, su cui si affacciava la grande
selva fetontea: un bosco di latifoglie, che copriva interamente la pianura
e di cui esistono alcuni brevi lacerti a Cessalto, a Basalghelle, a Gaiarine,
a Cavalier, nonchè numerosi toponimi (Busco, Salvatronda, Roncadelle,
Cimadolmo, Roverbasso, Codognè, Salgareda, etc...
Zone prative si alternavano alla foresta: non solo quelle determinate
dal disboscamento paleoveneto, ma anche quelle, che si stendevano nelle
zone umide di esondazione dei fiumi, fra cui val la pena di menzionare
per la loro suggestione i Pra dei Gai, le cui motte fungevano da osservatorio
astronomi6
co in epoca preromana.
La selva si diradava verso le grave e le terre alte del Campardo, per
poi cambiare gradatamente essenza sulle colline e sulle montagne, ove
iniziavano le conifere e si infittivano gli insediamenti primitivi.
La pianura opitergina e quella cenedese furono interessata da diversi
progetti di centuriazione agraria di epoca romana, ancora leggibili nella
razionalità della trama poderale e nella disposizione degli insediamenti,
soprattutto nelle zone più asciutte ed in quelle, che si sono sottratte
alla divagazione fluviale; lo ricordano i toponimi di Campo di pietra,
Levada, Bigonzo, etc.
Dal punto di vista strutturale il territorio, di cui si parla, data la
sua forma approssimativamente rettangolare, appare caratterizzato da un
asse di simmetria: quello che partendo dal mare, là dove i bizantini
avevano fondato la città di Heraclia-Cittanova, percorre l'incerto
crinale, che separa i due fiumi nel territorio di Oderzo, per poi salire
verso S. Vendemiano, intersecare la morena di Colle Umberto e penetrare
nella valle Lapisina, addentrandosi nella media valle del Piave.
Il valico del Fadalto rappresenta infatti una delle principali porte alpine,
quella che attraverso l'itinerario di Alemagna, fin dall' epoca paleoveneta
collegava il mare con il bacino danubiano; lo testimoniano le stazioni
preistoriche cenedesi e la stessa nodalità di Oderzo, che si caratterizza
come luogo di mercato e di incrocio fra l'accessibilità acquea
e quella terrestre, se è vera l'ipotesi geomorfologica, che il
Piave, sempre divagante, fosse più vicino alla città in
epoca preistorica e passasse, in età ancora più remote,
per il lago di S. Croce e la valle del Meschio.
Poco sappiamo dell'organizzazione amministrativa preromana, se non che
era tribale e policentrica; il potere latino dovette tenerne conto, se
si considera l'articolazione dei municipia ed il fatto, che la circoscrizione
opitergina certamente comprendeva il territorio a montibus usque ad mare
a Plavi usque adLiquentiam, che in antico contraddistingueva quella diocesi
di Ceneda, erede della cattedra episcopale di Oderzo, quando la città
fu completamente rovinata (667 d.C.).
L'assetto politico determinatosi durante il ducato longobardo e la contea
franca, che sembra aver attribuito a Ceneda il territorio fra i due fiumi,
così come assegnava a Treviso la zona dal Piave al Muson e a Concordia
Portogruaro quella dal Livenza al Tagliamento, si consolida in epoca feudale
con la signoria dei da Camino.
Proprio nel medioevo tale dinastia riorganizza il sistema di città
e di fortificazioni relativo a questo territorio, associando il castello
di Camino presso Oderzo con le imponenti mura di Serravalle e dando luogo
ad uno stato di passo, che si estendeva dalle lagune marittime fino allo
spartiacque di Cimabanche (castello di Podestagno), per controllare un
itinerario trans alpino, che utilizzava gli approdi interni di Motta,
Portobuffolè e Torre
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di Mosto, nonchè quelli esterni di Caorle e Sacile.
Insidiato ad Est dal Patriarcato di Aquileia, ad Ovest da Treviso e a
SudOvest da Venezia questo principato ebbe vita breve e tuttavia nel corso
di due secoli, caratterizzati da alterne vicende, fu in grado di procedere,
col concorso di altre dinastie alleate: i Porcia, i Collalto, i Colfosco,
nonchè della contea vescovile di Ceneda e Tarzo all'incastellamento
del territorio ed alla sua organizzazione insediativa e infrastrutturale.
Il territorio opitergino si era a Sud ristretto a quella, che è
ancor oggi la parte trevigiana; il bradisismo infatti aveva esteso le
lagune e cancellato le città costiere (Equilium, Heraclia, Cittanova),
tanto che solo Caorle si era salvata, perchè protetta dal cordone
delle dune litoranee.
Il primo allineamento urbano si dispose quindi lungo la "Callalta"
(Motta, Oderzo), mentre da Treviso partiva l'itinerario "ongaresco",
che univa i castelli in riva al Piave (ad es. Rai di S. Polo), con quelli
liventini (ad es. Francenigo, Cordignano, etc.), nonchè il monastero
di Tempio di Ormelle con quelli di Orsago e di S. Odorico sul Tagliamento.
Se il Piave era in tale contesto essenzialmente un vasto letto di divagazione
torrentizia, invece il Livenza era sede di attività produttive,
di mulini, di commerci ed era attraversato da ponti stabili, su cui si
costituirono paesi e città.
L'insediamento
In ogni organismo metropolitano la densità insediativa
tende a diradarsi con il crescere della distanza dal nocciolo centrale;
è così anche nel Veneto, dove la maggiore compattezza degli
abitati si può riconoscere nell'area che comprende Venezia-Mestre,
Padova e Treviso e dove la contiguità dei manufatti quasi si dissolve
nei prolungamenti urbani e nelle direttrici di relazione, che innervano
i territori più esterni.
La "Sinistra Piave" sotto tale profilo sembra presentare una
struttura urbana più gracile rispetto a quella dell'adiacente area
trevigiana, non solo perchè quest'ultima è parte integrante
della metropoli centro-veneta, ma anche per lo stacco, che il fiume determina
nell'assetto insediativo, non meno che in quello funzionale.
Se consideriamo città quelle che hanno una storia più antica
per l'epoca di fondazione, per la presenza costante di poteri civili o
ecclesiastici, per la dotazione di cinte murarie, che rinserrano un compatto
centro storico di epoca medievale, allora dobbiamo riconoscere che solo
Vittorio Veneto (Ceneda e Serravalle), Conegliano, Oderzo, Portobuffolè
e Motta di Livenza possiedono almeno uno dei requisiti predetti, mentre
altri abitati, pur cospicui per dimensioni e funzioni, sembrano piuttosto
fungere da aggregati
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centrali di complesse unità insediative disposte dentro alle valli,
sulle pendici, lungo gli itinerari viari e fluviali o costituire l'estensione
di un luogo forte, un castello, un ponte od un'altra struttura di rilievo
territoriale.
Si tratta quindi di città incomplete: nessuna in grado di essere
l'indiscusso capoluogo, che infatti è posto altrove; Vittorio Veneto
innanzitutto sembra non aver ancora concluso il processo di aggregazione
avviato nel 1866 con la fusione tra Ceneda e Serravalle, Oderzo non dimostra
di essersi mai più ripresa dalla tremenda distruzione operata dal
longobardo Grimoaldo, mentre Portobuffolè e Motta, tramontata la
funzione portuale, pur diversamente tra loro, paiono essere regredite
ad una dimensione locale.
Neppure Conegliano, che tuttavia è di recente emersa sulle altre
nei ruoli produttivi e commerciali, sembra aver conseguito quel livello
di eccellenza e rarità dei servizi e delle dotazioni, che consentono
ad una città si svolgere quella egemonia territoriale ancora oggi
assegnata ai capoluoghi provinciali circostanti.
Ma al di là di queste difficoltà nella progressione dello
sviluppo, che del resto caratterizzano usualmente la competizione urbana,
proprio le città predette ed i sistemi insediativi, che ne derivano,
sembrano manifestare una grande ricchezza di espressioni cittadine e di
tradizioni civili.
Serravalle e Ceneda innanzitutto, nella loro alterità strutturale
e formale, sembrano indirizzate verso una associazione per complementarietà,
che realizza un sistema duale, ove la compatta città di montagna,
il borgo laico ed industriale, che munisce la valle e si erge verticalmente
sulle quinte della stretta, si compone con le articolazioni del sistema
insediativo cenedese, che distribuisce le strutture della contea vescovile
e dell'organizzazione agraria sulle colline e le terrazze, che delimitano
il vasto spazio aperto verso la morena e la pianura retrostante.
Le attività produttive della paleoindustria poste lungo l'asta
del Meschio e la rigorosa maglia insediativa del Centro sembrano costituire
il nuovo sistema di relazioni fra i borghi preesistenti ed il paesaggio.
All'eleganza delle strade porticate, delle piazze e delle acque di Serravalle
sembra fare da contrappunto l'armonia delle figurazioni paesaggistiche
cenedesi con i castelli sui colli, le chiese e le ville disposte in un
contesto di masse arboree, orti e giardini.
Se Vittorio è una città articolata, invece Conegliano appare,
anche figurativamente, rinserrata attorno al polo centrale del Castello,
vero asse di simmetria, da cui si dipartono le linee concentriche del
nucleo storico e, oltre il "Refosso", dell'abitato più
recente; il colle è una vera acropoli, che lo Jappelli decorò
con un tempio neoclassico: la villa Gera, prospettante sulla pianura.
I parchi, i vigneti, le ville, l'acqua del Monticano di compongono ancora
in un organismo assai coerente, la cui figurazione è strutturalmente
formata dalla visuale ottica, che unisce la Stazione al Castello e che
interseca nella
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piazza del Municipio la porticata curva del Salizà (la via XX Settembre).
Anche a Conegliano vi sono due città; a quella antica, che costituisce
il nocciolo centrale e l'onore del territorio, si associa la periferia,
che la cinge intorno; qui la città moderna non è interna,
come a Vittorio, poichè essa forma una cintura, che si estende
lungo gli assi dell'organismo radiale, dando luogo alla conurbazione.
In Oderzo le due città più che nello spazio si dispongono
nel tempo.
Vi è infatti una città antica e latente, distesa in pianta
sotto la superficie di quella odierna: è la Opitergium romana,
che riappare ogni qualvolta si esplora il sottosuolo e si tolgono gli
strati di più recente accumulazione.
Si possono allora scoprire mosaici e basolati, vie e porti, residenze
e templi, segnali di una grande stagione urbana irrimediabilmente lacerata.
Ma un'altra città, anch' essa virtuale, appare in alzato, quando
si restaurano le case del centro storico e si ritrovano gli indizi delle
preesistente medievali: facciate a fresco, come a Serravalle, a Treviso
e a Conegliano, archi acuti, brandelli di fortificazioni segnalano le
strutture del borgo murato, che approfittava forse di un'isola fluviale,
ove il passo era più agevole.
Anche Portobuffolè, come Sacile, Sesto al Reghena ed altri castelli
dell'agro opitergino e concordiese, è costruita su un'isola, in
questo caso riferita ad un vecchio corso del Livenza, poi raddrizzato
per motivi idraulici.
La diversione fluviale e l'abbattimento delle mura, assieme alla soppressione
della podestaria veneziana, qui non sostituita, come invece a Motta e
Oderzo, da magistrature mandamentali austriache o italiane, ha determinato
l'arresto dello sviluppo: Portobuffolè mostra intatto il suo piccolo
borgo, quasi del tutto privo, se si eccettua qualche opificio deturpante,
di espansioni moderne periferiche.
Come Oderzo e Portobuffolè, anche Motta di Livenza conserva la
sua matrice fluviale; sul grande spazio dell'ansaliventinaprospettano
gli scarsi resti del castello medievale, cui si è sostituita la
città d'epoca veneziana, che dalla piazza si estende con i suoi
palazzetti nella direzione del Santuario mariano; tuttavia la nobiltà
dell'impianto urbano alla Motta, come a Porto, è rivelata dalla
successione dei modi costruttivi negli edifici e nell'arredo urbano lungo
un intervallo culturale, che va dal gotico al neoclassico.
Si era prima accennato alla presenza nel territorio della Sinistra Piave
di numerosi sistemi insediativi extraurbani, veri organismi articolati,
che associano paesi e borgate in strutture gerarchiche, lungo le quali
si estende nel territorio la funzione ordinatrice svolta dalla città
e si organizza l'armatura infrastrutturale.
Anche in questo caso è la morfologia territoriale a suggerire le
modalità dell'aggregazione e la stessa configurazione spaziale
dell'abitato, il cui luogo centrale è solitamente individuato da
una piazza delimitata da edifici monumentali e prestigiosi (Valdobbiadene,
Pieve di Soligo, Cordignano, 5.
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Polo di Piave, Cessalto, etc.).
Un primo sistema, centrato in Valdobbiadene, si distende attorno alle
pendici del Cesen, dalla stretta di Fener alla sella di Combai; si tratta
di un insediamento lineare di grande effetto paesaggistico, sia per la
sequenza dei vigneti, che risalgono la montagna, sia per la prospettanza
verso il vasto solco scavato dal Piave in direzione del Montello e della
pianura.
La lunga altura montelliana, per quanto ubicata al di là del fiume,
sembra costituire il margine d'orizzonte per un altro sistema lineare:
quello del Quartier del Piave, posto ai piedi dei rilievi solighesi, da
Vidor a Refrontolo, che poi prosegue, divagando per le colline felettane,
in direzione di Conegliano; il grande arco collinare sottende il proprio
centro in Pieve di Soligo: insediamento referenziale per tutta l'organizzazione
insediativa circostante.
A monte di questi insiemi, lungo la linea di faglia, che stacca le Prealpi
dalle alture sottostanti, si stende un esile filamento urbano, da Miane
a Serravalle, passando per Follina, Cison di Valmarino e Revine-Lago:
uno dei più notevoli allineamenti di borghi antichi, castelli,
chiese, rustici disposti sulle ineguali pendici della montagna e delle
colline antistanti, in un paesaggio antico di laghi, boschi e colture.
Anche le pendici del monte Pizzoch ed il breve sistema di alture, che
si stende ai suoi piedi, sono sede di un complesso organismo insediativo,
che associa la linea dei paesi alti (Sonego, Fregona, Osigo, Montaner),
con i borghi collinari (Cappella Maggiore, Sarmede) e con quelli allineati
lungo il Meschio (Pinidello, Cordignano), fino ad incontrare gli abitati
di tappa posti lungo l'ongaresca (S. Fior, Godega di 5. Urbano, Orsago).
Ma nella pianura, dove più varia è l'associazione insediativa,
sembrano emergere le direttrici aggregative rivierasche: innanzitutto
quella che si svolge lungo il margine sinistro del Piave, che da Susegana,
porta a Tezze, Cimadolmo e quindi a S. Polo, Ormelle, Ponte di Piave,
per raggiungere, oltre Salgareda, il Sandonatese; essa collega i vari
guadi: quello di Nervesa, della Priula, del Palazzon, della Bocca Callalta
e di Noventa; si tratta di passi relativi ad un fiume non navigabile,
salvo con le zattere, spesso asciutto, ma sempre ampio e di alveo incerto.
Diversa è la linea dei paesi sulla sponda destra liventina; il
Livenza ed i suoi affluenti costituiscono infatti un sistema in gran parte
navigabile, ove la costanza del fondale e la stabilità delle sponde,
consentono agli abitati di avvicinarsi al fiume e di usarlo direttamente;
se il Piave respinge l'insediamento lontano dalle sue grave, il Livenza
invece: a Sacile, Francenigo, Portobuffolè, Motta e 5. Stino, è
caratterizzato dalla presenza di strutture urbane poste a cavaliere della
via d'acqua e con questa intimamente connesse.
Anche il modesto Piavon, del pari un tempo navigato, allinea i borghi
di Ceggia, Cessalto, Chiarano e Piavon, lungo una direttrice, che poi
prosegue,
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oltre Oderzo, verso Conegliano.
La rete descritta da questi sistemi, che si diffonde dalla montagna al
mare e dal Piave al Livenza, sembra costituire l'ordinamento insediativo
primario, cioè un'invariante strutturale, che ha nel tempo consentito
alle diverse città, nessuna tanto egemone da essere totalizzante,
di estendere la propria influenza e il peculiare servizio al resto del
territorio.
Il paesaggio
L'unità formale e strutturale di questo ambiente
è tuttavia rappresentata nella Sinistra Piave dalla figurazione
paesaggistica, che costituisce un connettivo, ove acquistano significato
espressivo, sia le presenze della natura antropizzata, sia quelle costituite
dalle preesistenze urbanistiche ed architettoniche, che nel tempo si sono
andate accumulando.
È dunque il panorama, nel senso letterale del termine, la vera
manifestazione linguistica di questa terra, uno spazio formalmente definito,
compreso tra i monti e il mare e tra i due fiumi, che conterminano per
gran parte la metà orientale della provincia di Treviso.
La sezione ideale, che risale dal mare alla montagna, consente di seguire
lungo il gradiente altimetrico innanzitutto il progressivo paesaggio da
un ambiente marittimo costiero alla bassa pianura, che si distende nel
suo entroterra: quella, assai prossima alla laguna, formata dalla Piave
vecchia, prima delle diversioni veneziane e quella del Livenza, che del
pari divagava nelle valli e nelle paludi retrostanti il porto di Caorle.
Si tratta di un contesto ormai irriconoscibile, non solo nei vasti spazi
della bonifica, che ora sostituisce gli specchi d'acqua, ma anche nel
litorale, ove un allineamento di dune, boschi e zone umide è ora
omologato dalla triste palazzata balneare.
Ma già nel Sandonatese superiore, attorno alla via Triestina, erede
della consolare Annia, quindi a Torre di Mosto, a Ceggia, a 5. Stino ed
ancor più nel basso agro opitergino: a Cessalto, Chiarano, Campobernardo,
la trama dei canali e dei fossi perde la rigida geometria del tracciato
idraulico, impresso più a sud dalla bonifica ed anche la maglia
dell' appoderamento si fa più minuta ed articolata, mentre si riconoscono
i relitti delle siepi, dei filari e dei boschetti, che un tempo determinavano
la spazialità e costituivano I' arredo della campagna ed ora vengono
progressivamente cancellati per dar luogo alla meccanizzazione generalizzata
delle monocolture.
La complessità ed organicità della trama rurale aumenta
ancora nelle zone di risorgiva, a Fontanelle, Lutrano, Bibano, Vazzola,
5. Polo, poichè la ricca idrografia contamina il reticolo poderale,
che viene interrotto da brevi stagni, masse vegetali e comunque da presenze
di natura.
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La differenza tra il paesaggio agrario recente, vero deserto
verde, e quello antico, che caratterizza ancora le zone opitergine salvatesi
dagli interventi di ammodernamento agrario, si nota anche nella fittezza
degli insediamenti, che è crescente man mano che si sale verso
il bordo collinare e nella presenza di ville, abbazie, barchesse ed altre
strutture storiche, in genere preesistenze delle diverse organizzazioni
insediative e produttive, che si sono succedute su questa terra e che
ne punteggiano l'ordinamento spaziale.
Il tempo e gli uomini hanno infatti ridotto a puri toponimi il bosco planiziale
di Busco, la torre bizantina di Fine, la zona umida di Tremeacque, la
strada romana di Campo di Pietra, mentre la prima guerra mondiale ha distrutto
ogni edificazione precedente lungo il bordo del Piave, da Fener a Cortellazzo.
E tuttavia appare ancora leggibile l'assetto agrario, che l'imprenditoria
aristocratica veneziana aveva impresso a vaste aree rurali attorno alla
longheniana villa Lippomano ai Gai di 5. Vendemiano, alla villa Marcello
di Fontanelle, alla villa Papadopoli di 5. Polo di Piave, alla villa Giustinian
di Portobuffolè, alla palladiana villa Zeno al Donegal di Cessalto,
alla villa Toderini di Codognè, ove il riassetto produttivo sembra
tener conto dell'ordine centurale romano e di alcune sistemazioni monastiche
effettuate nei loro beni dalle diverse abbazie (Busco, Orsago) ed istituzioni
ecclesiastiche presenti nella zona.
Ma avvicinandosi al bordo collinare o entrando nelle brevi valli del Meschio,
del Monticano e del Soligo il paesaggio rurale sembra mutare profondamente
non solo per la presenza delle grave, dei campardi, delle masiere e di
una idrografia superficiale più povera, ma anche perchè
l'assetto agrario, assai antico, si è definito all'interno dei
numerosi feudi castellani, secondo una molteplicità di colture
e di destinazioni ignote alle più estensive aree della bassa pianura.
Le abbazie benedettine di 5. Bona di Vidor e di Sanavalle (Follina), con
le loro opere di sistemazione integrale, hanno determinato l'assetto del
Quartier del Piave e della Vallata, non meno dei Collalto, dei Brandolini,
dei da Lezze, dei Balbi Valier, dei Mocenigo, dei Lucheschi, cui si devono
importanti sistemazioni agrarie nelle loro proprietà.
Ma il protagonista di questo paesaggio è certamente costituito
dalla collina e dall'assetto figurativo, che esso, sul fondale delle Prealpi,
ha assunto dalla stretta di Fener a Cordignano.
Si tratta di un ambiente complesso, che comprende, nelle più elevate
parti montane, zone culturalmente legate ai modi costruttivi feltrini
e bellunesi, come si può notare nei solivi di Segusino, Stramare,
Milies, nonchè nei borghi alti del Serravallese e della Vallata:
Fais, Maren, 5. Lorenzo di Montagna, Combai, Valmareno, Tovena, oche si
possono assimilare a quelli del pedemonte liventino, come gli abitati
posti lungo l'allineamento che, attorno al Cansiglio, va da Fregona a
Montaner e Rugolo e poi, lungo la
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strada patriarcale, prosegue per Villa di Villa e Caneva verso Polcenigo
e l'entroterra sacilese.
La montagna infatti legava un tempo popolazioni appartamenti a diversi
versanti, ma associate dall'uso dei pascoli, dall'allevamento del bestiame
e dalla coltura del bosco, per far legname o carbone.
Il sottostante arco di collina, che in ordinate catene successive si distende
da Valdobbiadene a Vittorio Veneto, nonchè attorno a Conegliano
ed alle morene del Meschio, compone un sistema di paesaggi tra i più
noti e celebrati, che ricorda ancora, laddove per brandelli si è
conservato, i fondali della Rinascenza veneta e la pittura dell'armonia.
E la vite l'elemento/carattere unificante di tale ambiente: a Col 5. Martino,
a 5. Pietro, a 5. Stefano, a Soligo, nel Felettano, a Vidor e Cappella
Maggiore, dove la minuta trama della coltivazione e la complessità
delle associazioni arboree dà luogo ad un giardino rurale; l'intrico
delle valli e l'emergenza di castelli, ville, chiese, rustici, borgate
e centri storici creano figurazioni coerenti a Solighetto, a Farra di
Soligo, a Collalto e 5. Salvatore di Susegana, a Colle Umberto, 5. Pietro
di Feletto e Collalbrigo, ove agricoltura e architettura sembrano associate
indissolubilmente ed appartenere l'una all'altra nella definizione dello
scenario formale e dei suoi caratteri figurativi.
Ma questa immagine antica si può ora percepire solo in alcune zone
marginali, in quei lacerti di paesaggio storico, ove si è mantenuto
l'uso e l'assetto di un tempo.
Ai piedi dei colli infatti, lungo la strada napoleonica, un tempo famosa
per l'imponente sequenza dei platani, dal Ponte della Priula a quello
della Muda, si snoda ininterrotto il paesaggio industriale contemporaneo,
con le sue dissonanze ed il suo informalismo.
La moderna periferia sembra assediare i centri storici, i colli ed i connotati
naturali più importanti, mentre la campagna è oggetto di
una disseminazione di residenze e di fabbriche, che molto più opportunamente
si sarebbero potute agglomerare in Lone compatte, evitando il consumo
di territorio e la contaminazione del paesaggio.
Anche le ghiaie del Piave sono oggetto di scavo incontrollato e la valle
dei laghi lapisini dell'ingombrante intrusione autostradale.
E tuttavia, guardando le foto d'inizio secolo, si può osservare
che i monti si vanno rimboschendo, che le colture pregiate migliorano
nelle zone a denominazione controllata, che molti monumenti, rustici,
barchesse, colmelli e ville vengono restaurati con amore e destinati a
funzioni attuali, tuttavia compatibili.
È quindi lecita la speranza di poter godere anche in futuro di
quei luoghi, che furono il fondale delle pitture di Giovanni Bellini,
Giambattista Cima, Tiziano Vecellio, e che ora sono l'accorato scenario
delle poesie di Andrea Zanzotto.
Queste pagine non sarebbero inutili se inducessero uno soltanto, tra quanti
sono dediti al fare, ad intendere insieme la misura di questo patrimonio
territoriale e a conservarne l'umanità.
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