Rassegna Bibliografica
1917-1918. Cara Pierina, dal Diario di CATERINA ARRIGONI.
A cura di Giancarlo Follador e Giorgio Iori. Banca Popolare "C. Piva",
Valdobbiadene, 1994, pp. 235.
In varie pubblicazioni nel corso degli anni abbiamo intitolato
il periodo che va dal 24ottobre 1917 al 24 ottobre/4 novembre 1918: "L'anno
di Vittorio Veneto". La definizione ha avuto fortuna ed ormai è
presente nei libri di storia (anche se chi la usa non può cogliere
il suo senso segreto: che vuol ricordare il raggiungimento vero e definitivo
da parte dei vittoriesi della loro interna unità, con l'assegnazione
irreversibile delle rivalità e delle lotte fra Ceneda e Serrav
alle alla modesta categoria delle liti di quartiere).
L'Anno di Vittorio Veneto: l'anno dell'invasione. Anno veramente terribile,
per la Sinistra Piave, per Vittorio e il Vittoriese, per la Valmarena
e il Valdobbiadenese.
L'anno del profugato, dei paesi abbandonati, saccheggiati e distrutti,
delle violenze,l'anno della fame e dei morti di fame.
Abbiamo, di quel tragico periodo, numerose testimonianze. Sono una quindicina
i diari che ci raccontano la storia dell'invasione della Sinistra Piave,
e di questi ben dieci hanno per teatro Vittorio. Il diario di un popolano,
Isidoro Tomasin, allora ragazzo, ma sveglio, e capace di memoria; quello
di un dirigente industriale, Francesco Sartori; quello di una casalinga,
Bianca Brustolon; poi i diari di alcuni sacerdoti: mons. Emilio Di Ceva,
mons. Camillo Fassetta, don Angelo Maschietto, don Apollonio Piazza; i
diari, particolarmente preziosi, di due autentici eroi, le medaglie d'oro
Alessandro Tandura e Camillo De Carlo.
Un posto particolare, in questo gruppo di racconti della vita quotidiana
vissuta a Vittorio Veneto nell'anno dell'invasione, spetta al diario di
Caterina Arrigoni: e ciò per la significatività della sua
testimonianza (Caterina vive e racconta anche la sua esperienza di profuga);
per l' ampiezza del racconto e per la lucida precisione anche dei dettagli;
per il garbo e la sensibilità con cui vi si descrivono i fatti;
per l'accurata eleganza dello stile (alla quale molto contribuisce l'impostazione
narrativa: il diario infatti è steso come una sequenza di lettere
quotidiane alla cognata Pierina, che si era trasferita a Como con le figlie
per sfuggire all'incognita dell'invasione, raggiungendo ivi il marito,
Domingo, fratello di Caterina).
Caterina Arrigoni nasce nel 1882 da Renato e Marianna Lucheschi, a Valdobbiadene.
Il padre, notaio, è"personaggio di spicco nella vita politica
e sociale di Valdobbiadene all'inizio del secolo" (cfr. Introduzione)
e uno dei personaggi di riferimento del paese al momento dell'invasione.
Quando questa avviene (il 10 novembre 1917) gli Arrigoni (il notaio, da
poco vedovo, e le due figlie, Caterina e Adelia) pensano di rimanere a
Valdobbiadene, ma il 4 dicembre il paese riceve l'ordine di sgombero.
Il 5 dicembre, su un camion carico di bagagli (tra cui alcune casse con
i più importanti documenti del notaio) e di altri profughi, la
famiglioia parte alla volta di Vittorio. Pensa di rifugiarsi presso i
parenti Lucheschi, a Serravalle o a Colle Umberto, ma a Serravalle il
Palazzo Lucheschi è ormai adibito a Comando delle truppe di occupazione,
e la villa di Colle Umberto - queste sono le notizie - è incendiata.
Decidono allora di sistemarsi a Cozzuolo, presso gli zii Pampanini (Maria
Arrigoni Pampanini è la sorella di Renato Arrigoni); e lì,
in quella grande casa in mezzo ai campi e alle colline vittoriesi, Caterina
vive l'atroce esperienza dell'invasione, immaginando di scrivere di essa
quotidianamente alla sua cara cognata Pierina. Pur abitando in periferia
e pur non muovendosi molto, Caterina ha una percezione assai precisa della
situazione. La sua vista è acuta, le sue orecchie attente, poco
le sfugge di quel che accade a Vittorio: della tragedia che visi vive,
soprattutto da parte dei poveri, degli affamati; delle violenze, delle
aberrazioni della guerra, dell'angoscia dei profughi; della crudeltà
ottusa degli occupanti; delle lacerazioni tra la stessa popolazione civile.
E bella e calda è l'emozione con cui descrive gli ultimi giorni,
il 29 e il 30 ottobre, e l'incontro con i liberatori: per lei, il segno
che la parentesi di Cozzuolo si sta chiudendo e la vita - la sua vera
vita sta per ricominciare a casa sua, a Valdobbiadene.
La molteplicità dei diari "vittoriesi" dell'anno dell'invasione
consente interessanti confronti: da cui emergono la precisione delle notizie
raccolte e documentate dalla Arrigoni, e la garbata eleganza della forma
espositiva, di cui si è detto.
Come succede in questi casi, il diario di Caterina Arrigoni - funzionale
solo all'interno del suo breve circuito familiare - rimane tra le carte
di famiglia. E di lì non si sarebbe mosso senza l'iniziativa di
Giancarlo Follador - studioso particolarmente attento ai fatti e alle
lettere del Valdobbiadenese - il quale, con la collaborazione di Giorgio
Ioni e col consenso della famiglia erede di quelle carte, ha raccolto
il corposo manoscritto e ne ha ricavato un testo dalle misure adatte alla
pubblicazione (circa due terzi dell'originale). Qui èintervenuta
la Banca Popolane "C. Piva" di Valdobbiadene che, proseguendo
la serie dei suoi interventi a favore delle lettere e della cultura, ha
finanziato la pubblicazione dell'opera. Ne è riuscito un volume,
a dir poco, sontuoso, nel quale la intelligente e puntuale opera dei curatori
(che tra l'altro hanno assicurato al testo uno splendido corredo di foto)
trova riscontro nell'impresa editoriale di grande prestigio. Un vivo apprezzamento
per gli autori e una lode incondizionata alla Banca Piva. E un auspicio:
che presto segua il compimento dell'iniziativa, con la pubblicazione integrale
del Diario e la sua diffusione attraverso i normali canali della distribuzione
libraria. A ciò, sappiamo, Follador e Iori sono pronti: non resta
che la Banca Piva dia ulteriore prova della sua intelligente generosità.
Aldo Toffoli
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