Rassegna Bibliografica
MARIO ULLIANA. Almanacco di Giulio Clovio, Dario De Bastiani
Editore, Vittorio Veneto 1993, pagg. 348.
Era dall' ultimo libro di Guareschi che non mi divertivo tanto.
Dopo aver letto le prime pagine dell'Almanacco di Giulio Clovio affiora
spontaneo sulle labbra del lettore un sorriso che, in certi punti e grazie
all'ironia più pungente dello scrittore, sfocia in aperta risata.
Godibilissime certe espressioni dialettali che, fulminee, inquadrano un
personaggio, indicano un modo di essere (fantastico quel santificetur)
interpretano un squarcio di vita quotidiana.
Graffiante e, per certi versi, presaga la satira del "politichese",
quel mondo astruso e lontano che i "non addetti ai lavori" trovano
sempre incomprensibile, ma sul quale, opportunamente illuminati, si divertono
moltissimo.
Chi di noi non ha mai fatto le stesse considerazioni dell'autore sull'eterno
problema delle acque minerali, sulla circonvallazione, sul degrado della
città o sulla passione sospetta dei tecnici comunali per gli edifici
color rosa mutanda?
Giulio Clovio alias Mario Ulliana si fa interprete dei problemi e degli
interrogativi della cittadinanza, delle loro rimostranze e perplessità
e le presenta via, via ora ai personaggi del passato, ora a quelli del
presente e nel proporli li riveste di umorismo e sottile ironia, ingredienti
scarsissimi nei libri dei nostri giorni.
Almanacco non è solo divertente, è scritto bene, scorrevolissimo
ed è, in alcune parti, delicatamente poetico, vedi la descrizione
di Tito Spagnol.
Ogni racconto è una miniatura e il libro un caleidoscopio di situazioni
e personaggi che si muovono sullo sfondo della città.
Da ogni riga traspare l'amore dell'autore per la sua Vittorio Veneto.
Forse, a mio giudizio, un unico neo: considero un appesantimento le spiegazioni
poste prima di ogni racconto.
Inutili per i vittoriesi che, con veli o senza veli, riconoscono lo stesso
i loro concittadini; altrettanto inutili per gli altri che trovano il
loro divertimento nelle descrizioni e nella maestria del proporre le situazioni,
pur non conoscendone i protagonisti.
Bravo Clovio! a quando il prossimo?
Loredana Imperio
CAROLYN J. MACKAY, Il dialetto Veneto di Segusino e Chipilo, Grafiche Antiga,
Comuda 1993.
Nel 1882 da Segusino partirono circa cinquecento abitanti
alla ricerca di fortuna in Messico e per fondare un paese, Chipilo.
A distanza di tanti anni, gli eredi di questa colonia italiana hanno conservato
ancora il dialetto e le tradizioni del comune di origine. E sono a tutt'oggi
in più di duemila.
Ed allora perchè non dare alle stampe quel loro lessico che ormai
ha forti contaminazioni con lo spagnolo e che tenderà piano piano
ad estinguersi con il tempo? L'iniziativa, partita da un gruppo di imprenditori
di Segusino, è stata accolta da Carolyn Mac Kay, nativa di Detroit
e docente presso la Ball State University a Muncie, Indiana.
E ne è uscito questo prezioso volume il quale cerca di assolvere
a tre obiettivi fondamentali:
i - documentare il dialetto in termini generali;
2 - conservare la terminologia d'uso della vita quotidiana delle ultime
generazioni;
3 - evidenziare le varietà e le divergenze più significative
nell'uso del dialetto veneto a Chipilo ed a Segusino.
E così oltre alle nozioni grammaticali, dall'indagine è
uscito in appendice anche un vocabolario veneto-spagnolo-italiano, utile
per entrambe le comunità.
E stato uno sforzo notevole sia nella raccolta che nella rielaborazione
dei dati provenienti dai questionari raccolti in loco a Chipilo e Segusino.
Scrive nella prefazione l'autrice:
"Il presente lavoro deve essere considerato come "intento"
preliminare ad una futura e più aggiornata compilazione di un lessico".
Fra quattro anni è prevista l'edizione del testo anche in spagnolo,
certamente con tutti gli aggiornamenti del caso.
Giancarlo Follador
CLAUDIO BEVILACQUA,
Fra Francesco Dal Bosco da Valdobbiadene, detto ilCastagnaro (1564-1 640)
e la Pratica dell' infermiero, Stabilimento tipografico Kuhar, Trieste 1992,
pp. 352.
Claudio Bevilacqua, medico e storico della medicina, direttore della Rivista
"Il Lanternino", trimestrale di storia della medicina e studi
sociali, edita a Trieste, autore di numerosissime pubblicazioni e saggi
sul tema, questa volta ha scelto la
Pedemontana per le sue ricerche. Infatti ha riesumato un manuale di medicina
dato alle stampe in una prima edizione a Verona nel i664 (ultima a Venezia
nel i702) il cui autore è un certo Francesco Dal Bosco detto il Castagnaro,
nato nel 1564 da Benedetto Bertuolo e da madonna Franceschina, a Guia di
Valdobbiadene.
Oltre l'edizione critica del testo, il Bevilacqua cerca di ricostruire la
vita di questo personaggio, frate dal 21 ottobre 1588 dell 'Ordine dei Frati
Minori Cappuccini, morto a Venezia nel i640 dopo una vita spesa come aiutante
di speziaria ed infermeria, divenendo poi provetto infermiere speziale.
I cronisti parlano di lui come un frate di "specchiate virtù
francescane, tanto da eccellere nello spirito di orazione, nella mortificazione
e nell'umiltà, amando essere disprezzato".
E così fra la preghiera, il lavoro e lo studio, fra Francesco licenzia
il suo libro "La Prattica dell'Infermiero. Nella quale con osservazioni
fondate nell'uso di moltissimi anni s'indottrina l'assistente e caritativo
infermiere per ben conoscere e, ne' casi repentini, applicar li rimedi proportionati
a' mali dei suo infermi".
Il testo, reso di scorrevole lettura
da parte del Bevilacqua, merita di essere letto non solo per l'aspetto folcloristico,
come a prima vista può apparire, ma per consocere la pratica della
medicina nel XVII secolo. Interessante è pure l'indice delle cose
notabili. Si spazia dai medicamenti ai rimedi, al sano vivere, alle intemperie
atmosferiche e loro cause.
Giancarlo Follador
A. SACCON e M. INNOCENTI, Fauna e ambiente del Trevigiano, Provincia di
Treviso, 1990.
M. INNOCENTI e A. SACCON,
Gli impianti di aucupio nella Marca trevigiana, Provincia di Treviso,
1990.
Due pubblicazioni che fanno davvero onore agli Autori e
a chi le ha volute e commissionate - l'Amministrazione provinciale, Assessorato
alla caccia - sia per il contenuto che per la veste tipografica, dignitosa
e allettante. Gli autori sono due professori-ricercatori trevigiani, esperti
e appassionati di Scienze Naturali, che hanno dedicato una decina d'anni
ad una indagine minuziosa e assai dettagliata sulle due tematiche indicate
dai titoli.
Nel primo volume (228 pagine) viene preso in esame il territorio
della Provincia, suddiviso in tre zone (pianura, collina e montagna, fiumi)
con approfondimenti specifici relativi alla vita nelle lame montane e
nelle acque delle cave in pianura. Viene così descritta l'evoluzione
cui sono andati incontro i parametri ambientali della Marca ed esaminate
alcune cause che hanno contribuito ad alterare, talvolta in modo irreversibile,
l'aspetto e le funzioni che il territorio aveva fino a qualche decennio
fa appena.
La semplice esposizione dei dati e delle osservazioni è già
di per sè assai eloquente. Appare evidente poi l'elevata complessità
dei fenomeni, in cui interagiscono fattori molteplici e non sempre identificabili;
essa è tale da rendere difficoltoso non solo prevedere la futura
evoluzione dei sistemi biologici, ma spesso anche riconoscere il meccanismo
d'azione dei fattori stessi. Emergono così chiaramente, e senza
indulgere a sterili ecologismi, le esigenze di una giusta difesa dell'ambiente,
della flora e della fauna, la necessità di un corretto svolgimento
delle attività agricola e venatoria, la segnalazione di particolari
località da salvaguardare. Preziose le indicazioni operative che
vengono suggerite e delle quali gli amministratori pubblici dovrebbero
fare tesoro.
"E necessario in ogni caso che la protezione non venga concepita
soltanto come delimitazione di zone interdette e sorvegliate. La vigilanza
da sola non può certamente risolvere il problema. Questo va affrontato
e risolto mediante il contributo di tutte le categorie interessate. È
soprattutto chi opera direttamente in territorio agricolo e forestale,
utilizzandolo come fonte di reddito, chi lo percorre e ne conosce ambiente,
flora e fauna, l'agricoltore, l'escursionista, il cacciatore, che devono
concordemente assicurare la salvaguardia. E non si consideri scontato
il richiamo a una più estesa opera educativa".
Il secondo volume (156 pagine) costituisce un censimento
di tutti i "roccoli" e le "bresciane" di cui si ha
notizia, anche di quelli dei quali rimane solo il ricordo. Si tratta di
202 schede distribuite per comune in ordine alfabetico; gli impianti di
cattura accertati, però, risultano 227.
Un lavoro di ricerca meticolosa, che abbonda nella documentazione, con
foto e disegni, riportando per ogni impianto, oltre alla località
e ai caratteri morfologici e topografici, notizie relative alla struttura,
alla vegetazione e all'uso.
Il lavoro costituisce un omaggio
alla cultura popolare di un tempo, una finestra aperta su un aspetto della
nostra storia.
Espressioni della necessità di sopravvivenza ma anche di arte popolare,
quei pochi roccoli rimasti possono essere ritenuti dei veri "monumenti
arborei". Si "roccolava" certamente per passione e con
non poco disagio, ma specialmente per integrare il magro compenso che
davano le colture agricole in epoche di scarsi apporti proteici alla dieta,
oppure per ricavare denaro dalla vendita dei volatili.
Di qui l'auspicio che qualcuno degli impianti più meritevoli dal
punto di vista paesaggistico, per forma e disposizione, vetustà
e pregio degli alberi, valore storico e felice inserimento nell'ambiente,
venga adeguatamente conservato e tutelato.
Antonio De Nardi
GIORGIO MIES, Arte del '700 nel Veneto Orientale, Edizione a cura della
Cassa Rurale ed Artigiana delle Prealpi, Pordenone, 1992, pp. 144.
Incredibilmente ricca di opere è ancor oggi la provincia
italiana, e quella veneta in particolare. Chiese,case e palazzi custodiscono
ancora spesso neppure tanto gelosamente pitture, sculture, intagli, oreficerie,
segni del nobile passato di una terra che la memoria collettiva a torto
quasi sempre identifica solo nel suo capoluogo.
Un patrimonio artistico di prim'ordine, tolto in questi ultimi anni dall'oblio
da una schiera di giovani studiosi che lo hanno indagato con amore, tenacia
e competenza, recuperando opere di noti o meno noti artisti degne di entrare
in quel variegato mondo di esperienze culturali che è il motivo
della grandezza dell'arte veneta.
Giorgio Mies si è dedicato allo studio dell'arte del territorio
situato tra Piave e Livenza e i risultati sono stati entusiasmanti: pittori
di gran nome accanto ai minori locali, opere spesso di alta qualità
rintracciate non solo nei luoghi deputati dell'arte, ma anche nelle più
sperdute località.
Dopo un primo saggio su "L'arte del '500 nel Vittoriese" (1987),dopo
un volume di carattere complessivo, "Santi nell'arte fra Piave e
Livenza" (1989), dopo il catalogo delle opere di Francesco da Milano
(1983) e la monografia su Egidio Dall'Oglio (1984), ecco un volume sulle
pitture (e sulle sculture) dei secoli XVII e XVIII, nel quale si maturano
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sioni già avanzate nei tanti saggi apparsi in questi ultimi anni
sulle riviste locali e si portano a compimento le indagini effettuate
nell'ultimo decennio sull'arte del territorio.
Scoperte, ritrovamenti, attribuzioni, conferme rendono quanto mai interessante
ed avvincente la lettura dell'opera: nella quale non solo si tratta del
De Lorenzi o di Agostino Ridolfi, pittori tutto sommato piacevoli ma pur
sempre provinciali, o di Antonio Lazzarini, del Dall' Oglio o del Novelli,
che ebbero qualche peso nell'evoluzione dell'arte veneta; ma anche di
Antonio Bellucci, Sebastiano Ricci e Gaspare Diziani che furono artisti
di prima grandezza.
Molte le notizie di prima mano (talvolta con attribuzioni che valgono
come proposte di lavoro) ma il pregio maggiore del libro è costituito
dall'aver recuperato il tessuto culturale del Veneto Orientale proposto
al largo pubblico e riconsegnato alla storia.
Giuseppe Bergamini
GUARISE P. SERAFINO o.f.m. conventuali, Ancora tra noi trevigiani. S. Antonio
di Padova a S.
Pietro, S. Stefano, Gaia, Bigolino, 5. Giovanni e Valdobbiadene
Pieve, Quaderno III, Lito Tipografia Bertato, Padova 1994, pp. 156.
Padre Serafino Guarise è già noto per alcune
pubblicazioni relative a temi della famiglia. Da anni si sta occupando
della storia del convento Madonna di Lourdes in San Pietro di Barbozza
e del culto antoniano nel territorio. In progetto ci sono ben il volumi
dai più svariati temi. Uno studio ambizioso. Poi si vedrà.
Attualmente esce con il terzo quaderno dedicato al culto di 5. Antonio
attraverso l'iconografia dei capitelli.
È un'opera pregevole da un lato, perché, per la prima volta,
abbiamo la schedatura completa delle edicole, sacelli, oratori dedicati
a questo santo.
L'autore ha preferito affrontare il materiale in modo discorsivo, lasciando
da parte gli ultimi studi in merito a questo tema.
Ultimo lavoro in zona è quello di Martino Durighello nei quattro
volumi della storia di Alano di Piave.
Salva è la documentazione, soprattutto quella orale, ben si sa
che è assai difficoltoso in questa materia trovare documenti scritti,
in quanto tutto è affidato alla pietà popolare.
Poco fortunate sono invece le
pagine dedicate alla figura di sant'Antonio; non meritavano di essere
inserite. Era sufficiente un rinvio bibliografico.
Guarise ha fatto uno sforzo e, ciò che ha raccolto, è segno
di passione per la storiografia antoniana, ma un libro di questo genere
avrebbe avuto bisogno di più scientificità nella schedatura.
Comunque, bella è l'idea, e tale rimane, anche perché è
il primo esempio nella Valdobbiadene di tentativo di affrontare questo
tema.
Giancarlo Follador
A.V., Venanzio Fortunato tra Italia e Francia, Provincia di Treviso, Grafiche
Zoppelli, Treviso 1993, pp. 276.
Il libro raccoglie gli atti del convegno internazionale
di studi tenutosi a Valdobbiadene e Treviso nel maggio del 1990, il quale
ha richiamato nella Marca i maggiori docenti delle Università italiane
ed europee in materia.
Le relazioni sono di Massimiliano
Pavan, Venanzio Fortunato tra
Venetia, Danubio e Gallia
Merovingia; Guido Rosada, Il via ggio di Venanzio Fortunato ad
Turones. il tratto da Ravenna ai
Breonum Loca e la strada per Sumontana Castella; Wolfang Czysz,Augusta
Vindehiucm nell' itinerario di Venanzio Fortunato; Ubaldo Pizzani, La
cultura in Italia e in Gallia nel sesto secolo; Marcc Reydellet, Tradition
et nouveauté dans les Carmina de Fortunat; Antonio V. Nazzaro,
Intertestuahità bibhico-patristica e classica in testi poetici
di Venanzio Fortunato; Francesco Della Corte, Venanzio Fortunato, il poeta
dei fiumi; Michel Rouche, Autocensure et diplomatie chez Fortunat a propos
de l'elegie sur Galeswinthe; Robert Favreau, Fortunat et l'epigraphi;
Salvatore Pricoco, Gli scritti agiografici in prosa di Venanzio Fortunato.
Inoltre le comunicazioni di Mauro Donnini ed Ivano Sartor, quest'ultimo
sul tema: Venanzio Fortunato nell'erudizione, nella tradizione e nel culto
in area veneta.
Comunicazione molto vicina a noi per aver sviluppato la ricerca su quanti
trevigiani e valdobbiadenesi, in particolare, hanno scritto sul santo.
E un testo, a dir il vero, per gli addetti ai lavori, ma stimolante per
la ricchissima bibliografia.
Non è mai apparso in libreria e neppure nel valdobbiadenese.
Giancarlo Follador
San Vito negli scritti di don Giovanni Turra a cura di MARIA ROSA
SERNAGLIA, Parrocchia di San Vito di Valdobbiadene, Grafiche Antiga, Cornuda
1994, pp. 216.
Spesso gli archivi parrocchiali riservano delle sorprese.
E il caso di quello di san Vito di Valdobbiadene nel quale da anni sono
conservati gli scritti storici di don Giovanni Turra.
Due grossi volumi manoscritti, redatti da questo prete che è stato
parroco dal 1908 al 1960. Una "summa summarum" difatti, episodi,
note inerenti alla chiesa, agli oratori, al paese.
Maria Rosa Sernaglia, procedendo ad una cernita sistematica del materiale,
ha costruito una storia fruibile, certe volte appetibile, pur nelle sue
lacune, cioè della mancanza di tanti dati relativi alla comunità.
Infatti il Turra, nel suo lavoro, ha dimenticato sistematicamente qualsiasi
cenno bibliografico, a parte il Bonifacio. Ha riportato tanti documenti
senza citarne la fonte, destando così dei sospetti sulla veridicità
dell'informazione.
Certamente, la parte migliore del libro è quella dedicata al diario
dell'invasione durante il primo conflitto mondiale. In quella occasione
il parroco è stato il diretto attore della storia.
Per il resto la curatrice doveva, in questo caso, fornire una edizione
critica o almeno avvalersi di qualche consiglio esterno, visto il suo
primo lavoro in questo settore. I consigli non sono mai troppi in questi
casi.
A questo punto per avere la storia del paese di san Vito c'è tanto
cammino da fare, soprattutto lavoro di archivio.
Per il momento è un inizio, ma sempre un inizio sulla linea della
vecchia storiografia anche se alla luce dei nuovi studi locali, superata.
Ma va comunque alla Sernaglia il merito di non aver lasciato ammuffire
nell'armadio questo documento, che è pur sempre affascinante.
Giancarlo Follador
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