EMANUELA RAMON
LE LAME DELLA COMUNITÀ MONTANA DELLE PREALPI VENETE. TRADIZIONI,
USI, DESTINAZIONI E FINALITÀ.
Nel 1993 la Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
ha incaricato il Servizio Forestale Regionale di Treviso di eseguire
il censimento delle lame presenti nel suo territorio.
Già durante i preparativi per realizzare una scheda adatta alla
rilevazione di questi manufatti ci si è accorti che in bibliografia
non esisteva nulla di specifico relativo alle pozze d'alpeggio, se si
esclude una pubblicazione, edita a cura della Provincia di Treviso,
di Saccon A., e Innocente M. dal titolo "Fauna e ambiente nel Trevigiano"
che comprende anche un capitolo sulle lame, la qualità delle
loro acque e gli organismi che ci vivono.
Si è così cercato di individuare quegli elementi che più
di altri potevano caratterizzare le lame ai fini di un censimento, quindi
oltre alle notizie relative alle caratteristiche stazionali (posizione
topografica, condizioni di acceso e viabilità forestale) e a
quelle dimensionali, si è pensato di valutare il bacino e i canali
di approvvigionamento, i possibili usi per scopi monticatori, antincendio,
paesaggistici, ecc. ecc. E nata così la scheda riportata come
allegato che, pur non essendo esaustiva dell'argomento, è una
buona base di partenza per altri tipi di analisi e studi.
Il materiale trovato in quell'occasione era sufficiente per la realizzazione
del censimento ma non certo per scrivere un articolo su questi antichi
manufatti, così quando il Presidente della Comunità Montana
mi chiese se ero disponibile a buttare giù "un paio di paginette
sull'argomento" onestamente non sapevo se accettare o lasciar perdere,
anche se la cosa mi solleticava non poco, vista la difficoltà
di reperimento di materiale bibliografico.
EMANUELA RAMON. Dirige l'Ufficio Sistemazione Idraulico-Forestale presso
il Servizio Forestale Regionale di Treviso. Ha diretto l'équipe che
ha condotto l'indagine per il censimento delle "lame" di tutto
il territorio della Comunità Montana.
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È iniziata così una ricerca un po' più approfondita
sull'argomento che sicuramente continuerà anche dopo aver scritto
le famose "due paginette" essendo l'argomento vasto e pieno
di coinvolgimenti di materie diverse.
Ovviamente da cosa si inizia se non dall'etimologia dal termine lama:
nel Dizionario etimologico della lingua italiana di Manlio Cortellazzo
e Paolo Zolli, vol. 3/I-N, p. 647, si dà la definizione corrente:
"terreno basso che si trasforma in palude per il ristagno di acque"
e ancora "campagna paludosa" dal latino Lama (m), di origine
oscura, ma è termine raro anche se già usato dal poeta latino
Orazio. È probabile che il termine lungo i secoli sia sopravvissuto
a livello popolare, come dice anche l'Enciclopedia dantesca; in ogni caso
il termine è presente in molti dialetti.
Rilevante è l'osservazione che è ormai inconsistente l'ipotesi
di un'origine longobarda, nata da un equivoco in cui incorse Paolo Diacono
I, scambiando lama per il longobardo laba. Sempre Paolo Diacono nel commento
a Festo (De verborum significatione...) dice: "Lacuna id est aquae
collectio, quam alii lamam alii lustrum vocant" (traduzione: lacuna
cioè raccolta di acqua, che alcuni chiamano lama altri lustrum).
E termine usato anche nella Toponomastica del Veneto di G.B. Pellegrini:
"In ambiente lagunare e soprattutto paludoso sono assai comuni i
derivati del preromanico lama, attestato già da Dante come terreno
basso sul quale l'acqua s'impaluda, campagna allagata. In latino è
termine raro, usato da Orazio. Il Sella cita lamma 'ristagno d'acqua'.
Il Secco nel suo Toponimi del Veneto nord-orientale cita i nomi dei Comuni
di Lamon e Lamen in provincia di Belluno come derivanti dal termine preromanico
lama "luogo paludoso".
Usati da tempo immemorabile, questi piccoli specchi d'acqua
ricavati da depressioni quasi sempre circolari del terreno, sfruttando
soprattutto impluvi o modeste vallette vicine a sorgenti temporanee, sono
un elemento caratteristico del paesaggio montano veneto.
La pratica dell'alpeggio che un tempo vedeva popolare i pascoli da montagna
con centinaia di capi bovini ed ovini necessita di acqua, che non sempre
era ed è reperibile o per mancanza di sorgenti o per scarsità
di precipitazioni e soprattutto per natura del terreno.
Ecco allora che le tecniche di costruzione dovevano rispondere a delle
regole ben precise: dalla scelta del sito per posizione topografica e
per natura del terreno, alla possibilità di ricevere acqua dai
versanti sovrastanti. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare l'individuazione
del sito non prediligeva le posizioni in fondo alle vallecole per raccogliere
una maggior quantità di acqua, bensì si cercava una posizione
intermedia tra le vallecole e le linee di cresta (anche a seconda della
pendenza) per meglio utilizzare le acque meteoriche e non essere distrutte
dagli eventi meteorici più consistenti. Altra considerazione importante
da fare era naturalmente il calcolo del
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carico a cui veniva sottoposto il pascolo e alla disponibilità
di utilizzare il cotico erboso.
Non tutti gli agricoltori si ricordano come venivano costruite un tempo
le lame, ma qualche fortunato testimone previlegiato che ha avuto la fortuna
di ascoltare i racconti dei suoi vecchi così racconta di come si
costruivano queste indispensabili riserve d'acqua per il bestiame che
andava all' alpeggio.
Per prima cosa si facevano delle prove nel terreno per vedere se era argilloso
e nello stesso tempo si cercava di individuare la migliore posizione topografica
per il recupero dell'acqua che prima di trasferirsi in profondità
resta a disposizione nei primi strati del suolo e può essere captata,
raccolta e conservata.
Lo sbancamento del materiale veniva fatto a mano, con piccone e badile
e lo stesso veniva trasportato con barella, carriola o slitta sul ciglio
della posa e utilizzato come sostegno.
Arrivati alla profondità desiderata (che poteva variare da m. 1.00
a m. 1.50 circa) si costruiva a monte, se necessario, un muro di sostegno
con pietre a secco.
A questo punto era indispensabile creare una rete di approvvigionamento
dell'acqua costruendo canalette lunghe a volte anche 50, 100 metri.
Provveduto a realizzare la lama e le canalette si era giunti al momento
più delicato: creare un fondo impermeabile.
La tecnica era quella di distribuire del sale sul fondo. Pecore e mucche,
essendone molto ghiotte, arrivavano in gran numero e calpestavano ripetutamente
il fondo della lama fino a costiparlo bene.
La prova del nove era la tenuta del fondo dopo una pioggia, se teneva
era fatta altrimenti si facevano entrare ancora le bestie per calpestare
nuovamente in fondo,operazione che veniva poi ripetuta ogni primavera
all'inizio della montic azione.
Capitava che nella zona occupata dal pascolo non ci fosse argilla e allora
si cercava del terreno argilloso da riportare (almeno 20 - 30 cm) su tutta
la superficie dello scavo per poi procedere come descritto precedentemente.
Se poi dell'argilla non se ne trovava proprio si ricorreva alla formazione
del fondo riportando un folto strato di foglie di nocciolo o faggio che
venivano interrate e costipate sempre dal peso del bestiame. In assenza
di quest'ultimo si usavano lunghi bastoni, oppure un pezzo di tronco di
diametro di 20, 30 cm. con un manico in cima che serviva per battere il
fondo dopo aver bagnato bene il tutto.
Altro momento delicato era ed è la ripulitura del fondo che una
volta veniva fatto con badili dopo la demonticazione e quando il livello
dell'acqua era più basso, oppure con una tavola alta cm. 30 e lunga
m. 2.00. Nel mezzo veniva fissato un bastone lungo a mò di manico
e più persone tiravano quest'attrezzo come se fosse un enorme rastrello
senza denti. Ai giorni nostri nessuno si prende l'impegno di pulire manualmente
le pose d'alpeggio e si
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preferisce entrare con una piccola ruspa per pulire e compattare il fondo.
È fondamentale in quest'azione di ripulitura meccanica non asportare
lo strato impermeabile consolidatosi nel tempo per non perdere la funzionalità
della lama stessa. Un altro pericolo, soprattutto in questi ulti anni
di minori precipitazioni meteoriche, è quello che durante l'inverno
l'azione di gelo e di disgelo porti ad un sollevamento del fondo che,
non più protetto dall'acqua, si rompe. Anche in questo caso si
deve provvedere al ripristino dello strato impermeabile.
Il calcolo che determina il numero delle lame all'interno di un pascolo
èdirettamente proporzionato al carico del pascolo stesso. Occorre
che I'alpeggio non sia soggetto ad un carico di bestiame troppo intenso
(sovraccarico); se infatti il bestiame insiste numeroso o in continuazione
su un pascolo, si compromettono le possibilità di ricaccio di molte
specie fino ad arrivare ad una rottura del cotico erboso con la formazione
di sentierini e di abrasioni. Se poi tale azione distruttiva perdura nel
tempo, si possono manifestare fenomeni di erosione e infine di dissesto
idro-geologico. In questo contesto anche le lame ne risentono: vengono
utilizzate eccessivamente, la disponibilità di acqua cala velocemente
e la qualità della stessa peggiora enormemente.
Diventa pertanto indispensabile che il carico del bestiame sul pascolo
sia equilibrato in rapporto alla produzione di biomasse foraggere dell'area
pascolata. L'argomento è talmente importante che la Regione Veneto
-Giunta Regionale - Dipartimento Foreste ha ritenuto necessario normare
la materia con un "Disciplinare tecnico ed economico per l'utilizzazione
dei pascoli montani di proprietà di Comuni, Enti e Comunioni familiari"
che all'art. 4 detta i criteri per la determinazione del carico.
Come si può dedurre dal titolo questo disciplinare vale solo per
i pascoli montani di Enti pubblici, mentre sarebbe auspicabile un suo
allargamento anche ai pascoli privati.
Calcolato il possibile carico in base alla qualità del pascolo
e in base alle tabelle del succitato art. 4 del Disciplinare tecnico,
si deve tener conto che il fabbisogno giornaliero del personale di custodia,
del bestiame e del caseificio (laddove si lavora ancora il latte) si aggira
sulle Alpi intorno ai 50 litri per ogni capo grosso tra acqua piovana.raccolta
nelle lame e raccolta nelle cisterne. Si capisce quindi che l'approvvigionamento
idrico è di capitale importanza. Senza questa disponibilità
il bestiame, costretto a lunghi tragitti, perderebbe per strada gran parte
dei benefici.
Dove mancano sorgenti, stabilito il carico ela durata dell'alpeggio (da
50 ad 85 gg), si determina il volume dei serbatoi e, conosciuta l'entità
delle precipitazioni atmosferiche, si calcola la superficie di scolo,
in modo che i serbatoi e le lame possano essere riempiti in quel determinato
periodo.
Le lame e gli abbeveratoi dovrebbero essere collocati ad una distanza
non superiore ai km. 2 dalle principali plaghe di pascolo; oppure a non
più di m.
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200 di dislivello. Per gli ovini le distanze possono salire rispettivamente
a non più di km 3 e a m. 300.
Torniamo ora al censimento delle lame effettuato lo scorso anno sul territorio
della Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane.
Si diceva prima di come sia stato necessario "inventare" la
scheda di rilevamento perché in bibliografia non esisteva nulla
in merito all'argomento.
Ovvie erano le indicazioni sulla data di rilevamento, il numero progressivo,
il Comune, la località, la quota e le coordinate IGM per poter
ritrovare con precisione la lama rilevata, ovvie anche le indicazioni
sulle dimensioni; il resto era tutto da definire.
Bisognava individuare almeno in maniera approssimativa la superficie del
bacino scolante per poter avere un idea sulla possibile quantità
di acqua intercettabile dalla lama in questione e soprattutto lo stato
di conservazione dei canali di approvvigionamento per poter quantificare
i lavori necessari per un eventuale ripristino degli stessi.
A questo punto si entra nella parte più difficile di tutto il censimento,
vista anche la mole di lavoro che attendeva i rilevatori nell'eseguire
i rilievi di campagna in un tempo piuttosto ristretto. Si dovevano cercare
delle caratteristiche veloci da individuare ma allo stesso tempo significative
per dare delle indicazioni sulle possibili utilizzazioni delle lame. Era
ancora possibile utilizzarle a scopo monticatorio se il pascolo di pertinenza
veniva ripristinato e potevano essere utilizzate a scopo antincendio,
oppure avevano solo una funzione naturalistico paesaggistica? Per rispondere
a queste domande logicamente bisognava conoscere quali caratteristiche
dovevano possedere le pose per essere utilizzate in un senso o nell'altro.
Nel caso dell'utilizzo monticatorio era necessario sapere se il pascolo
era ancora caricato e se lo stesso presentava particolari fenomeni di
degrado (presenza di erosioni superficiali, presenza di vegetazione infestante,
espansione naturale del limite del bosco, ecc. ecc.). Per quanto riguarda
l'utilizzo antincendio le considerazioni furono più complesse e
di seguito si riportano, sommariamente, le caratteristiche necessarie
perché una lama possa rientrare in questa categoria e quindi essere
utilizzata per l'approvvigionamento idrico degli elicotteri a fini antincendio.
Le sue dimensioni non sono molto importanti quanto invece la sua profondità,
che deve essere tale da consentire il riempimento della benna (che ha
una capacità di 800 lit e un'altezza di 100 cm) anche dopo un certo
numero di carichi; deve quindi contenere acqua per almeno una profondità
non inferiore a met. 1,20 - 1,50 al momento del prelievo.
L'area di carico deve essere priva di materiali che possano sollevarsi
all'arrivo dell'elicottero come ad esempio lamiere, teli di nylon, pannelli
di compensato, stracci, ecc. ed inoltre deve essere priva di polvere per
garantire sufficienti condizioni di visibilità durante il carico.
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TI corridoio di avvicinamento è preferibile che si sviluppi in
maniera tale da consentire l'ingresso e l'uscita sia in salita che in
discesa ed è indispensabile che sia completamente privo di ostacoli
alla navigazione quali: fili a sbalzo, linee elettriche e telefoniche
e antenne che risultano scarsamente visibili in volo.
La presenza di alberi è limitante in funzione della loro altezza
e della pendenza del terreno e condiziona i tempi di intervento.
Qualora la profondità dell'invaso non consenta il carico diretto,
ma la capacità dello stesso risulti idonea all'impiego dell'elicottero
(oppure in presenza di ghiaccio sulla superficie) è possibile il
montaggio di una vasca portatile alimentata da motopompa.
Da ciò si comprende che solo poche lame sono posizionate in aree
idonee e all'utilizzo dell'elicottero anche se magari le dimensioni e
la quantità d'acqua presente nella lama stessa sarebbero sufficienti
per un suo uso a scopo antincendio.
Molto più difficile è stato indicare la natura paesaggistico
naturalistica della posa, scaturendo questa classificazione da delle considerazioni
di natura prettamente soggettiva.
Anche il rilevamento di tracce di animali o di animali stessi all'interno
dello specchio d'acqua ha presentato delle difficoltà sia per il
tempo troppo ristretto delle rilevazioni (bisognava aver fatto più
rilievi in epoche diverse) sia per la non omogenea preparazione dei rilevatori
(il rilevatore doveva essere sempre lo stesso per poter contare su dati
più uniformi).
Infatti per la rilevazione delle possibili popolazioni animali e vegetali
riscontrabili il rilevatore abbisogna di conoscenze specifiche.
Grazie alla riserva d'acqua più o meno perenne che
normalmente le lame conservano durante tutto l'anno, le stesse sono luoghi
di approdo per diverse specie animali che vengono per dissetarsi e per
fare il bagno, e dove gli anfibi si riproducono in condizioni ideali per
condurre a buon termine la fase di larva. Già a priori si può
stabilire che una zona umida diventa un habitat sufficientemente ospitale
per gli insetti e gli invertebrati acquatici quando supera i 25 mq di
superficie e per gli anfibi e i rettili acquatici quando supera i l00mq.
Tra i mammiferi il capriolo è il visitatore più assiduo,
ma anche la volpe la fama e la martora non disdegnano di abbeverarsi a
queste riserve idriche. Sul versante trevigiano del Grappa nel maggio
del 1988, proprio grazie a delle impronte rilevate in prossimità
di una lama, si è avuta la prova della prima apparizione del cinghiale.
La presenza degli uccelli è invece poco influenzata dalla presenza
delle lame mentre è strettamente collegata la presenza delle pose
con la presenza degli Anfibi. Per notizie più approfondite su Tritoni
(crestato ed alpino), Rana verde, Ululone dal ventre giallo, Rospo comune
e Rana temporaria si rimanda a specifiche pubblicazioni sugli Anfibi.
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Conclusioni.
Partiti con l'idea di un censimento veloce e facile, i rilevatori si sono
trovati ad affrontare non poche difficoltà. La prima in assoluto
il numero molto elevato di manufatti presenti sul territorio; ben 378
le misurazioni eseguite con la consapevolezza di aver tralasciato sicuramente
delle lame. A seguito delle rilevazioni evidenti sono emerse le differenze
di conservazione a seconda della presenza di pascoli ancora monticati
o di malghe abbandonate.
Comuni come Segusino, Valdobbiadene, Vittorio Veneto e Fregona, dove la
monticazione viene effettuata ancora, anche se in misura minore che in
passato, possiedono il maggior numero di lame meglio conservate. C'è
da ricordare che dal 1984 al 1993 nei territori della Comunità
Montana, compresi i Comuni di Segusino e Valdobbiadene, si è passati
da 711 vacche da latte monticate a 420, da 106 vitelli sotto l'anno a
41, come risulta dai prospetti di carico e scarico delle malghe agli atti
del Servizio Forestale Regionale di Treviso.
Dal censimento risulta così che quasi la metà delle lame
rilevate hanno ancora o possono avere importanza ai fini della monticazione,
solo un numero molto limitato (circa una cinquantina) possono avere una
funzione antincendio mentre la quasi totalità può essere
considerata meritevole dal punto di vista naturalistico - paesaggistico
e faunistico.
Si è così giunti alla determinazione della assoluta necessità
di approfondire le metodologie d'intervento con studi preliminari specifici,
che valutino l'opportunità o meno di intervenire in quelle pose
che hanno raggiunto un equilibrio biologico. Infatti intervenire per la
pulizia dei fondi nel periodo di riproduzione degli Anfibi sarebbe un
grave errore soprattutto sapendo che si può operare senza danno
in periodi diversi.
Analoga considerazione va fatta per le specie vegetali presenti che in
alcuni casi sono veramente delle singolarità quale la Plantago
acquatica riscontrata in una lama del Comune di Segusino.
Si ribadisce quindi quanto già detto in precedenza: questo lavoro,
che risulta essere il primo del genere almeno nel territorio veneto, può
solo essere un punto di partenza. Si può fare di più e meglio
se questo censimento non viene considerato fine a se stesso bensì
uno stimolo ad approfondire l'argomento, ma spetta alla Comunità
Montana decidere il futuro di questi manufatti in base ai piani di sviluppo
previsti anche dal Progetto Montagna.
Scheda rilievo lame nella Comunità Montana delle
Prealpi Trevigiane
Data 05 .07.93 N° progressivo: 377
Comune: Cordignano Località: lama del Zei
Coordinate IGM 1:25.000: 33TUL001509500 Quota: mt. 370 s.l.m.
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Note: interessante sotto l'aspetto naturalistico. Da prevedere un moderato
intervento di ripulitura dai rovi e costruzione di canalette di sgrondo.
Utilizzazione: recente: passata: si
Superficie max invaso (SMI): circa mq. 380 = diametro mt. 22.
Superficie acqua esistente (V): circa mq. 254 = diametro mt. 18
Profondità max invaso (PML): mt. 1,70
Profondità acqua esistente (PV): mt. 0.20
Superficie bacino scolante (approssimativo): ha. 0,5 e da strada
Stato del fondo: fangoso con canneto nella parte centrale
Condizione dei canali di approvvigionamento: da fare scoline sulla strada
Distanza dal bosco: 200 ml.
Distanza da strade o piste: adiacente raggiungibile con mezzi meccanici.
Utilizzo come fonte di approvvigionamento per elicotteri Lama: no. Linea
di alta tensione sopra la lama.
Stato di degrado del pascolo: zone limitrofe coltivate a vigneto
Presenza di tracce animali: no.
Presenza di anfibi: si.
Presenza di vegetazione spondale: salici e canneto centrale
Priorità rispetto alle tipologie:
monticatoria: no. antincendio: no.
naturalistico - paesaggistico: si, naturalistico faunistaca: si.
Il rilevatore: Il Direttore dei lavori:
BIBLIOGRAFIA
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Agostini, 1973
Angle Giordano, Habitat , ed. WWF e CFS 1992
Bouchner M., Impariamo a conoscere le tracce, Ist. Geog. De Agostini '83.
Pellegrini Giovan Battista, Toponomastica - Veneto ,ed. CLESP 1987
Saccon A. - Innocente M., Fauna e ambiente nel Trevigiano, Prov. di TV
'90.
Secco Gianluigi, Toponimi Veneto nordorientale, Ed. CLESP.
Tassinari Giuseppe, Manuale dell'agronomo, Ed. Reda 1979.
Talamucci Paolo, Agricoltura montana e alpi coltura, Ed. Clusf 1975.
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indice generale
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