GIORGIO ARNOSTI
REPERTI VOTIVI E SANTUARI DEI PALEO VENETI NELL'ALTO CENEDESE.
La via del Norico.
Nelle zone prealpine dell'Alto Cenedese sono numerose
le testimonianze dei Paleoveneti e le localizzazioni dei reperti raccolti
documentano una intensa frequentazione. La concentrazione dei siti nell'ambito
più ristretto dell'anfiteatro morenico vittoriese sembra dettata
da una logica insediativa lungo direttrici commerciali, anche a largo
raggio, documentate fin dalla preistoria, e per l'età del ferro
ci sono numerosi reperti o dati che implicano molteplici scambi culturali
da parte delle popolazioni locali, sia col mondo alpino che con quello
padano. A riprova che percorsi ben collaudati nel corso di centinaia di
anni attraversavano il nostro territorio, indichiamo, in base alla diffusione
dei torques a nodi verso la fine dell'età del ferro (fig. 1) (1),
due importantissime linee di flusso: la prima in senso SUD-NORD, una via
direttissima di penetrazione nell'arco alpino fino alle valli del Norico,
sul percorso Ceneda-Mel-Cavarzano BL)-Cadore-Lothen BZ), che veniva già
indicata dai più antichi torques di derivazione hallstattiana,
con terminazione a riccio e con decorazione a spina-pesce, presenti sia
a Ceneda che a Lothen(2) l'altra in senso EST-OVEST, lungo la pedemontana
a nord della linea delle risorgive, sul tragitto Tagliamento-Vivaro-Polcenigo-CenedaMontebelluna-Brenta(3).
Questi percorsi, da e per il Norico, venivano ribaditi dalla diffusione
degli oboli d'argento con la croce dei 'Tectosages', dalla valle della
Drava e del Gail, fino al santuario del Monte Altare sopra Ceneda (cartina
1).
GIORGIO ARNOSTI, studi classici e laurea in Scienze Politiche.
Insegnante. E curatore o autore di numerose pubblicazioni del Gruppo Archeologico
del Cenedese.
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Cartina 1 -
Diffusione dei Torques a nord ed a riccio, e delle monete del norico
Cartina 2 - Santuari e stipi votive nel cenedese
Fig.1 - Ceneda:
torques a nord ed a riccio (Museo del Cenedese) (dis.G.Longo)
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Ceneda, situata proprio alla confluenza di queste direttrici di traffico,
allo sbocco sulla pianura ed in prossimità dei passaggi sui fiumi
Piave e Livenza, sembra il centro paleoveneto più importante del
territorio. La presenza della necropoli paleoveneta in località
ai Frati (4), con reperti che documentano una continuità di deposizioni
dal VII fino al I sec.a.C., indica l'esistenza in Ceneda di un consistente
insediamento con caratteristiche proto urbane, e forse uno dei centri
più importanti dei Paleoveneti.
I volumi di traffico peri! cenedese sono difficilmente calcolabili, ma
non a caso, verso la fine dell'età del ferro, troviamo la zona
fittamente costellata di luoghi di culto o di "santuari" anche
se in qualche caso dovremmo più propriamente parlare di "stipe
votiva" o di deposito sacro). Tali sacrari sono stati localizzati
alle pendici del Col Castelir a Villa di Villa, a Castel Roganzuolo, sulle
testate collinari di Scomigo presso il torrente Cervada, forse ad Orsago,
nella zona di risorgive di Pra' della Stalla, e sulla cima del Monte Altare
(cartina 2).
DEPOSITI SACRI E STIPI VOTIVE:
Villa di Villa.
Un importantissimo complesso paleoveneto è il santuario
di Villa di Villa dove viene documentata una continuità di uso
cultuale quanto meno dal IV sec.a.C. fino al IV sec.d.C. La zona sacra,
attorno a quota 150, alle pendici sud-occidentali del Col Castellir m.353),
si presenta oggi come un intrico di alberi, arbusti e rovi ma ci sono
anche olivi secolari), fra grandi massi dispersi sul terreno in forte
pendenza, a ridosso di un anfiteatro roccioso a picco, su cui si aprono
due grotte in fase senile.
E' già stato scritto diffusamente delle caratteristiche di questo
santuario, del nume tutelare e dei reperti votivi che vi sono stati raccolti(5).
Ricordiamo per comodità alcune classi di oggetti votivi del deposito
sacro, fra questi le numerose figurette in bronzo di guerrieri ignudi
e dalla virilità molto pronunciata (foto 1); ci sono quindi laminette
rettangolari o triangolari bronzeecon la raffigurazione a bulino di un
braccio od una gamba, o di altre parti del corpo di cui gli antichi supplici
avevano implorato o ne avevano ottenuta la guarigione.
Il gruppo più appariscente di ex-voto comprende lamine quadrangolari
con teorie di bovidi in sequenza, impressi a sbalzo con punzoni, e con
l'effigie della divinità al centro. Questa viene rappresentata
in posizione eretta o molleggiata, con un atteggiamento e attributi che
sembrano di tipo pastorale, almeno nelle lamine con figurazioni molto
stilizzate. In gran parte però, le figure sono naturalistiche e
si possono distinguere le corte vesti che sembrano di pelliccia) trattenute
in vita da cinture, i caratteristici stivaletti
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Foto 1 - Villa
di Villa: bronzetti itifallici di guerriere (foto G.Arnosti)
Fig.2, n.1,2.
- Castel Roganzuolo: bronzetti votivi ( dis.G.Longo)
Foto 2 - Villa
di Villa: lamina con bovidi e divinità con "leontèa"
(Museo del Cenedese)
Foto 3 - Villa
di Villa: lamina ritagliata "a castello" (Museo del Cenedese)
Fig.5 - Villa
di Villa: lamina a pelle di bue con guerrieri (Museo del Cenedese) ( dis.G.Longo)
Fig.6 -
Villa di Villa: lamina lamina con divinità a bovidi
(Museo del Cenedese) ( dis.G.Longo)
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venetici con i bordi rivoltati, ed una specie di berretto frigio, il "pileus",
sul capo foto 2); in qualche caso sembrano portare un elmo di tipo greco-etrusco
con pennacchio. A volte il dio regge sulla sinistra una specie di cornucopia
o un tirso, ed una pelle di animale pendente, mentre con la destra porge
un vasetto od un 'rhyton' a forma di testa d'ariete ?). In una lamina
molto deteriorata, la divinità indossa una veste a pieghe in tre
balze, regge con la destra un attributo a forma di scudo appoggiato al
terreno e con la sinistra la lancia (?) fig.6); questa identica figurazione,
ma molto più nitida, compare riprodotta in sequenza su un' altra
laminetta votiva.
Le lamine geometriche ritagliate, e con i ritagli ripiegati, sembrano
rappresentare una struttura fortificata con mura e torri merlate che cingono
due colli foto 3). Talvolta alcune sono impreziosite da contorni di punti
e cuppelle. Queste lamine cosiddette "a castello", sono state
identificate anche come stilizzazione di gioghi(6), oppure come riproduzione
in miniatura di un ponte munito, a due fornici, su due rami di un fiume(7).
Ci sono esempi di lamine a castello ricavate da lamine del tipo detto
a "pelle di bue", vedi più avanti, evidentemente riciclate:
in un caso la lamina ritagliata è stata decorata con punzonature
sparse di bovidi e di cavalli.
Quasi tutte le lamine poi, figurate o geometriche, presentano uno o due
fori nella parte superiore, a volte conservano un appiccagnolo a fettuccia
ripiegata, ad indicare come quelle dovessero essere inchiodate o appese
cfr.Tibullo 2, 5, 59: ".vota vagi pastoris in arbore.."), e
per un certo tempo esposte nel luogo sacro. Sono stati raccolti anche
alcuni tozzi chiodi in bronzo fusi a stampo a doppia matrice, quasi sicuramente
di utilizzo rituale a parte quelli in ferro piegati e ribattuti riferibili
alle strutture lignee del santuario): nessuna somiglianza però
con i lunghi chiodi stilizzati ed inscritti della stipe Baratela di Este(8).
Tralasciando i reperti ceramici, i vetri, i materiali in ferro ed in genere
quelli ritenuti di uso comune, ricordiamo che il santuario ha avuto una
continuità di frequentazione anche in epoca romana, come documentato
dai molti reperti ceramici o bronzei ed in particolare dalle monete da
Augusto a Costantino Magno.
Monte Altare.
Questo "monte", che ricorda l'uso latino di chiamare
'montes' anche i colli, era noto in bibliografia perché vi erano
state raccolte numerose monete romane e situle in bronzo, come annotava
il Vital tra gli a1tri(9). La cima del colle mt.450) è caratterizzata
da megaliti in conglomerato, fratturati secondo forme geometriche, che
mantengono gli allineamenti delle conformazione geologica quasi verticale
degli strati, e che creano una ambientazione suggestiva.
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Il Gruppo Archeologico del Cenedese, con la supervisione della Soprintendenza
Archeologica, nelle due campagne di scavi del 1989, si era riproposto
di indagare la cima, le immediate pendici del colle, ed in particolare
la frana, caratterizzate da un consistente numero di oggetti votivi superficiali,
con lo scopo di individuare la provenienza dei reperti e di localizzare
possibilmente il sito del sacrario paleoveneto-romano.
I risultati sono stati moderatamente soddisfacenti e gli scavi, se non
hanno dato indicazioni sulle strutture del santuario, hanno però
portato al recupero, in una situazione di frana odi accumulo disordinato,
di significativi ed inediti reperti, ancora in corso di studio. Fra gli
altri sono stati raccolti bronzetti a figura maschile ignuda foto 4),
e lamine in bronzo ritagliate a 'castello' del tutto simili a quelle recuperate
a Villa di Villa foto 5). Un altro tipo di reperti notevoli, e che per
ora non trovano confronti in altri siti del Veneto, sono le placchette
bronzee di forma rettangolare o circolare con incisioni all' apparenza
di numeri romani ed identificate provvisoriamente come 'sorte s' foto
6). Vi sono state raccolte anche moltissime monete del Norico, cosiddette
dei 'Volcae Tectosages'(10), che risultano per ora quasi sconosciute in
ambito paleoveneto foto 7 e 8): sono documentate in numero consistente
nella estrema stazione paleoveneta-celtica di Gurina in Austria; qualche
esemplare a Lagole di Cadore, a Moggio Udinese ed a Casteiraimondo presso
Forgaria in Friuli.
Anche sul M.Altare sono stati recuperati fittili paleoveneti e romani,
e monete che indicano continuità di frequentazione fino ad epoca
tardo-romana.
Castel Roganzuolo.
Di questo luogo di culto collinare mt. 119) al centro dell'anfiteatro
vittoriese non si conosce molto, nemmeno la precisa localizzazione del
deposito sacro. La notizia del rinvenimento di reperti votivi risale al
XIX secolo(11): nel 1888 vennero raccolte monete ed una decina di bronzetti
a figura maschile ignuda del tipo comune in ambito paleoveneto. La località
è anche nota per l'iscrizione paleoveneta sulla lapide funeraria
di LAVSKOS KUGES(12), trovata a sud della chiesa, ora al Museo Archeologico
di Venezia un calco è esposto al Museo del Cenedese). Attorno agli
anni '70 vennero raccolte presso il campanile due figurette bronzee, una
maschile ed una ritoccata a rappresentare caratteristiche della femminilità
(fig.2, n. 1,2.) ,ora conservate presso il Seminario Vescovile di Vittorio
Veneto(13). In una area ristretta a Sud della chiesa sono stati raccolti
reperti ceramici del IV periodo atestino, fittili e monete tardo-romane.
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Foto 4 - M.Altare:
figurine di guerrieri (a sx, a matrice singola; a dx, a doppia matrice
con sbavature da fusione)
Foto 5 - M.Altare:
lamine "a castello" stilizzate.
Foto 6 - M.Altare:
"sortes"
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Scomigo.
Da un sito su testata di bassa collina (quota 90) presso
Scomigo, provengono alcune bellissime lamine in bronzo con figurazioni
a punzone di guerrieri in semplice o doppia sequenza orizzontale, con
armamento di tipo greco-etrusco, con scudi circolari ed elmi con 'lòphos'
(fig.3, n.1,2.)(14). Anche qui sono stati raccolti alcuni bronzetti a
tutto tondo a figura di guerrieri foto 9). Fra gli altri materiali raccolti
sul sito ricordiamo tessere di mosaico, fittili e monete romane datate
fino al IV secolo d.C. Le lamine ed alcuni bronzetti sono depositati al
Museo Liventino di S.Giovanni del Tempio presso Sacile, altri reperti
presso il GAC. Di questo sito si racconta che il terreno ad uso agrario
sia stato bonificato dalle lamine in bronzo con un rastrello, e che i
materiali raccolti siano stati venduti a fonditori (?) o gettati inopinatamente
nel torrente Cervada che scorre nei pressi.
Riferisce il Mommsen che in un campo tra Ceneda e Conegliano venne trovata
nel XIX secolo una patera bronzea di discrete dimensioni con l'iscrizione:
Q. CARMINIVS/OPTATVS/LARIBVS (15). Non venne meglio precisata la località
del ritrovamento, ma la patera con l'iscrizione votiva ai Lan sembra verosimilmente
raccolta nell'ambito di un 'compitum', un piccolo sacrario agreste: dai
dati fin qui riferiti è difficile determinare se l'ex-voto sia
da riferire al deposito votivo di Castel Roganzuolo, piuttosto che a quello
di Scomigo, cioè dei due siti che si fronteggiano a vista sui due
lati dell' avvallamento del Cervada. Dato però il contesto romano
più pronunciato del deposito di Scomigo, propenderemmo per attribuire
la patera a questa località.
Pra' della Stalla.
In questa località (quota 26) in comune di Orsago,
già nota per il ritrovamento della edicola funeraria dei TERENTII
nel 1949, ora al Museo Civico di Treviso(16), e per l'esistenza di reperti
riferibili, a strutture di villa rustica di epoca romana, sono state rinvenute
diverse lamine in bronzo di tipo votivo, alcune con figurazioni di bovidi
tratte a punzone simili a quelle raccolte al santuario di Villa di Villa
fig.4, n. 1,2). Al centro di una di queste lamine si può riconoscere
una figura abbigliata con veste a pieghe, con berretto tipo 'pileus',
e con la "leontèa" pendente dal braccio sinistro. Questa
figurazione di divinità con la pelle d'animale, attributo di Ercole,
risulta impressa col medesimo punzone utilizzato per una lamina da Villa
di Villa. Qualche altra laminetta sottile presenta bulinature a disegno
geometrico, ma non definibile. Fra i reperti che potrebbero anche rientrare
fra quelli di uso votivo, ci sono assi ridotti repubblicani a testa di
Giano e prua di galera,
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Foto 7 e 8
- Monte Altare: monete del Norico, dritto e rovescio
Foto 9-10.
A destra: Scomigo, guerriero votivo (sul braccio dx scanalatura per l'innesto
di una lancia) figura a sinsitra: Ricostruzione di bronzetto votivo, con
lncia frammentaria.
Fig.3, n.1,2
- Scomigo: lamine votive con guerrieri (dis.G.Longo)
fig.4, 1,2.
- Orsago, Prà della stalla: lamine con bovidi e divinità
(Museo del Cenedese) (dis.G.Longo)
spezzati a metà, delle fibule di tipo Aucissa, un brandello di
iscrizione latina su placchetta in bronzo, un piccolo manico di situla
frammentario, ed un consistente frammento di situla in bronzo, molto simile
ad una da Mel BL).
Tarzo.
Nel Berti-Boccazzi del 1959, a pag.9, si legge del ritrovamento
a Tarzo, nell'antica rocca, di fibule ed altri oggetti di epoca preromana(17).
Secondo notizie orali del M.o Pradella di Tarzo, idoletti itifallici provenienti
dalla zona "figuravano" fra gli oggetti del Museo del Cenedese,
ed il medesimo racconta di una "gorgone" in bronzo, assieme
a "priapi" di piccole dimensioni trovati anni addietro nella
zona collinare a Nord-Est di Tarzo, presso l'antico castello quota 300),
in località Introvigne.
DIFFUSIONE DEI REPERTI VOTIVI.
Bronzetti itifallici.
Le figurette in bronzo maschili itifalliche, ritrovate nell'alto
cenedese sono del tipo molto comune nel Veneto nella tarda età
del ferro, e vengono considerate come immagini dedicatorie o votive. Raffigurano
un personaggio maschile ignudo, probabilmente un guerriero, col sesso
molto pronunciato, con le gambe leggermente divaricate, il braccio destro
sollevato come per reggere una lancia in posizione di attesa, a volte
una spada in posizione di assalto, quello sinistro invece piegato al gomito
verso il basso come per reggere uno scudo.
Questi bronzetti, di circa 4-6 cm. d'altezza, talvolta recano un abbozzo
di copricapo appuntito a volte schiacciato; altri hanno sul capo degli
intagli quasi a stilizzare ciocche di capelli; uno reca traccia di una
corta tunichetta, altri ancora presentano bardature incrociate sul petto.
Sono fusi a stampo in matrice a doppia valva, raramente in matrice singola,
e la fusione risulta a tutto tondo, o lenticolare, oppure a sezione piano-convessa,
come è il caso di alcuni esemplari dal M.Altare (foto 4). Le statuette
venivano in genere rifinite e ritoccate con lime o sgorbie. Talvolta il
bronzetto non presenta segni di rifinitura e risulta grezzo e con le sbavature
della fusione, come appena uscito dallo stampo. Alla figuretta venivano
quindi saldati a stagno la lancia o la spada, lo scudo, ed una basetta
per l'appoggio (foto 10). Nessun bronzetto è stato finora raccolto
con questi attributi ancora applicati; restano solo tracce di saldatura
sugli arti e, tra i reperti, un buon numero di piccole aste o ritagli
bronzei a forma triangolare allungata, forse lancette, ma più verosimilmente
spade per la posizione della
70
stagnatura, nonché alcune laminelle rettangolari e quadrate, come
di scudo, con tracce di stagno nella parte centrale.
Questa tipologia di figurette maschili è molto diffusa nel cenedese
e con un numero consistente di esemplari: quasi un centinaio provengono
dal santuario di Villa di Villa; una ventina dal M.Altare; una dozzina
risultano ritrovate a Castel Roganzuolo e poche altre a Scomigo. Più
sopra si diceva di alcune provenienti da Tarzo.
Altri sporadici rinvenimenti di bronzetti sono documentati in Ceneda:
interessante annotare la presenza di almeno uno di questi alla necropoli
paleoveneta in località ai Frati. Così di una tomba paleoveneta
scoperta nel 1850, annotava Carlo Graziani nel suo manoscritto Memorie
storiche di Vittorio, all' App.III:
"una urna in rame dalla necropoli del nuovo teatro in cui con un
dio penato, <cerchieli> di <lisca>, fibule e grani d'ambra,
vi stavano bastoncelli di legno, coperti di saggiato oricalco, spezzati,
che già avevano il distintivo dei Il viri o Consoli municipali,
mentre lo dice pure l'Orazio: pro fascibus utebantur bacellis".
E nella copia del suddetto manoscritto fatta dal Troyer, all'App.III,
si legge:
"..e ciò fa ricordare la urna in rame al teatro scoperta e
da me scrive il Graziani) vuotata, ove vi era la scure di ferro, e vi
erano bastoncelli di ottone... Ivi un idolo ed altri numuscoli, ed un
secchietto, orecchino ...) fibula ed un anello"(18).
Un bronzetto con una gamba spezzata venne raccolto fra i materiali di
scavo delle fondazioni del Seminario Vescovile nel dopoguerra, e scaricati
a S.Giacomo di Veglia, ora presso privati. Più recentemente un
altro, dalle solite forme stilizzate e dalla testa ad ogiva, è
stato trovato ai Masotti in Via Marte!, dietro l'attuale cimitero, e donato
al G.A.C., per il Museo del Cenedese, dai fratelli Salvador. Si ha notizia
di almeno un altro idoletto sempre dello stesso tipo, rinvenuto negli
sbancamenti del Villaggio Paradiso di Olarigo a Serravalle, anche questo
presso privati.
E' interessante ora far notare che molte figurette di Villa di Villa,
del M.Altare, di Scomigo e di Lagole, sembrano prodotte con le stesse
matrici, non solo, ma a volte i colpi di lima della sbozzatura sembrano
eseguiti dalla mano(dello stesso lavorante.
Bronzetti femminili.
Fra i reperti di Castel Roganzuolo, un bronzetto di tipo
maschile risulta adattato con pochi colpi di lima a rappresentare una
figura femminile (fig.2, n.1); si pensava genericamente ad un falso per
la mancanza in ambito paleoveneto di questa tipologia, ma proprio sul
M.Altare veniva raccolta la
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metà inferiore di una figuretta in bronzo, prodotta con le solite
matrici, ma lavorata a lima e sgorbia a rappresentare caratteristiche
femminili, con la rima vulvare ben evidente foto il). Molto interessanti
questi reperti per la loro unicità, ma principalmente poiché
rivelano uno degli aspetti della personalità del nume tutelare,
quale patrono della femminilità e della salute.
Foto 11 -
M.Altare: bronzetto femminile
Foto 12 - M.Altare: lamine a "castello"; una
con punzonatura a "mezza lune".
Foto 13 - Dracme paleovenete. Dx da Villa di Villa: dritto.
A sx dal M.Altare: verso.
Lamine a castello.
Quando il Battaglia(19) scriveva delle caratteristiche dei
santuari paleoveneti, constatava che molti luoghi sacri avevano un tipo
di oggetti votivi peculiari, come ad esempio gli spilli ritorti di Pervalle,
le corna di cervo in scritte di Magrè, i chiodi con iscrizione
alla stipe Baratela, i dischi figurati di Montebelluna, i manici di simpulo
con dedica a Lagole, ecc. Al santuario di Villa di Villa risultavano tipiche
le lamine geometriche ritagliate con forma 'a castello'. Si diceva altrove
della originalità di queste lamine, ritenute uniche in ambito paleoveneto,
ma il ritrovarle anche sul M.Altare èstata una notevole sorpresa.
Al momento si è pensato ad oggetti di spoglio trasportati da Villa
di Villa, ma la assoluta mancanza di lamine figurate ha fatto subito scartare
quest'ipotesi. Le lamine a castello del M.Altare assomigliano molto a
quelle di Villa di Villa tutti i tipi vi sono documentati), ma compaiono
anche forme molto stilizzate o asimmetriche (foto 5); le più elaborate
hanno punzonature originali e di difficile interpretazione. (i riferiamo
alle impressioni a semiluna col crescente verso l'alto foto 12), a volte
verso il basso. Altre presentano grossi globetti singoli punzonati in
corrispondenza delle "torri" laterali. In un caso una serie
di archetti ravvicinati ed impressi compaiono sul lato inferiore della
lamina. Il doppio ritaglio trapezoidale sotto le "torri" laterali
delle lamine di Villa di Villa, si presenta a volte singolo e di forma
quadrangolare nel santuario cenedese. Sia a Villa di Villa che al M.Altare
il profilo ad arco viene formato, su qualche reperto, con la completa
asportazione del ritaglio, e proprio in questi casi 1' ipotesi di 'giogo'
miniaturistico risulterebbe più evidente. Le lamine ritagliate
sommariamente e quelle asimmetriche del M.Altare sembrano di esecuzione
affrettata, e riferibili ad un' epoca più tarda, in cui si era
perso il ricordo del significato originario dell 'ex-voto.
Lamine figurate con divinità.
Anche le lamine figurate hanno avuto una certa diffusione:
a Villa di Villa ed a Pra' della Stalla è presente un'identica
figurazione di divinità con 'leontissa' foto 2 e fig.4, n.1).
Una prima ipotesi considera probabile l'esistenza a Pra' della Stalla
di un piccolo sacrario paleoveneto, connesso con un modesto santuario
campe
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stre, localizzato in prossimità di una polla d'acqua sorgiva; sarebbe
poi stato sconvolto dalla bonifica e dalla sistemazione agraria del territorio,
e quindi dall' impianto di una fattoria in epoca romana, per la quale
non ci sono dubbi. Non si esclude in questo caso che un 'compitum', o
santuario agreste, si sia sovrapposto in epoca romana al 'fanum' paleoveneto.
Questa ipotesi meriterebbe di essere verificata, non solo per spiegare
la presenza di reperti di uso votivo nell' area di una villa rustica,
ma perché le coincidenze con il sito di Scomigo non sono da sottovalutare.
Una seconda ipotesi suggerisce ovviamente la possibilità che il
santuario di Villa di Villa sia stato depredato ed i materiali riciclati,
in un'epoca quale la tardo romana in cui il materiale bronzeo, anche se
frammentato, rivestiva notevole valore e costituiva un normale mezzo di
scambio, al posto del "solido", la moneta aurea. Ma, anche in
questo caso, 1' ipotesi viene messa in difficoltà dalla mancanza
a Pra' della Stalla di laminette del tipo 'a castello'. A meno che un
primo spoglio del santuario non sia avvenuto in un periodo precedente
la deposizione delle lamine geometriche, per le quali non abbiamo purtroppo
alcun riferimento cronologico.
Lamine a "pelle di bue".
Le lamine di forma quadrangolare ma con gli angoli acuti,
con una nervatura e con una sequenza di cuppelle lungo i bordi, sembrano
raffigurare una pelle distesa ad asciugare; dovrebbero essere fra gli
ex-voto più antichi dei sacrari del cenedese e sono state raccolte
a Villa di Villa, a Scomigo, ed al M.Altare. Trovano puntuali riscontri
formali nelle placche di Lagole di Calalzo e di Gurina, ma queste ultime
presentano delle iscrizioni, addirittura con la medesima formula dedicatoria.
Non si capisce a questo punto come mai lo stesso tipo di reperti votivi,
dello stesso ambito culturale, probabilmente usciti dalle stesse botteghe,
presentino iscrizioni a Lagole ed a Gurina, e risultino anepigrafi nei
santuari locali.
Una conferma comunque dell'esistenza nei vari luoghi sacri del cenedese
di una circolazione di oggetti votivi usciti dalla medesima officina,
ci viene da Scomigo e da Villa di Villa: alcune lamine a pelle di bue
presentano identiche raffigurazioni di guerrieri con scudo rotondo, elmo
crestato e lancia, eseguite con lo stesso punzone fig.3 e fig.5).
Pure per Scomigo ci sono delle perplessità sull'esistenza o meno
di un luogo di culto con connotati paleoveneti, poiché anche qui
ci troviamo in presenza di reperti, tra cui ceramica di uso domestico,
monete e soprattutto tessere di mosaico, riferibili ad una villa rustica
(?) romana. Per l'ipotesi di un piccolo sacrario paleoveneto a Scomigo
giocherebbe comunque a favore la concomitante presenza di bronzetti maschili
itifallici della solita ben nota tipologia.
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Monete paleovenete.
Alcune dracme paleovenete d'argento sono state raccolte
sia al santuario del M.Altare che a quello di Villa di Villa. Sono tutte
di conio diverso; rappresentano sul dritto la testa di Artemide o Reithia
volta a destra, e tutte mostrano sul verso il leone avanzante, ma a sinistra,
che è una variante poco frequente e forse di officina locale. Il
leone è molto stilizzato, con gli artigli pronunciati e ci sono
tracce della leggenda CC delle dracme di origine massaliota (foto 13).
Una di queste monete proveniente dal M.Altare reca ancora le tracce dello
stelo del chiodo in ferro col quale era stata infissa su un tronco d'albero
o sugli arredi del santuario.
RITI E CULTI:
Il tempio arcaico.
Fino ad epoca storica non esisteva fra i popoli europei
un tempio vero e proprio dedicato alla divinità, ma i luoghi di
culto erano individuati in una grotta o in un boschetto 'lucus', molto
spesso di querce o di olivi(20). Il santuario montano dedicato a Giove,
a Dodona in Epiro, ai tempi descritti da Omero, cioè verso la fine
del Il millennio a.C., consisteva in un bosco: qui i sacerdoti badavano
alle querce del dio e, su richiesta, traevano auspici dallo stormir delle
fronde (21). In tempi più recenti gli alberi sacri sono stati sostituiti
da ortostati in pietra, e poi dalle colonne del tempio.
Nell'età del ferro, tra i santuari italici vengono ricordati il
'lucus Jovis indigetis', il bosco 'ferentino' dei Latini, e la selva 'feronia'
sacra ai Liguri. Gli Etruschi, fino a tempi storici, si riunivano una
volta all'anno, presso 'VELZNA' Volsini), nel bosco sacro di Voltumna,
una divinità dalla doppia personalità. Anche presso i Celti
i luoghi di culto più antichi, 'NEMETON', non erano altro che boschi
sacri, o recinti con boschetti nei pressi di sorgenti(22).
Quanto ai santuari paleoveneti arcaici, un passo di Strabone V, 1,9) narra
di boschi sacri dei Veneti, dedicati a divinità identificate come
Artemide ed Era - in cui tra l'altro gli animali erano mansueti ed i lupi
convivevano con i cervi - PELL.-PROS.,II,p.224.). Una conferma ci viene
dall'iscrizione venetica 'ENTOLLOUKI TERMON ...' Pa 14) su un cippo trovato
presso Padova, che delimitava i confini di un 'lucus', il bosco sacro.
Anche la presenza di acqua o di sorgenti sulfuree era un denominatore
comune nei luoghi di culto dei Paleoveneti, e la libagione con acqua salutare
risultava molto diffusa, come ci viene indicato dalla presenza di vasetti
potori a S.Pietro Montagnon e di simpuli a Lagole, per fare qualche esempio.
Questo rito della libagione viene frequentemente raffigurato su situle
e su lamine
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votive o funerarie(23), assieme a insoliti rituali, oltre a feste, processioni,
gare sportive, giochi, ma anche mercati ben documentati. Niente di strano
che i mercanti approfittassero delle feste per vendere(24) tutta una serie
di oggetti votivi, che poi i fedeli appendevano agli alberi, lanciavano
nelle sorgenti o lungo i pendii nei siti collinari, o depositavano nelle
fosse sacre questo rito sopravvive ancora oggi, quando gettiamo una moneta
alla fontana di Trevi, o nel pozzo di S.Giustina a Padova). Tali pratiche
erano molto diffuse tra i Paleoveneti, ed il 'DONOM' alla divinità
'AISUM', il 'votum' in cambio di una grazia 'do ut des'), era fondamentale
nel rapporto con la divinità: '... DONOM DONASTO AISUM' Ca 14),
si legge in lingua venetica sui manici di simpulo a Lagole di Cadore,
ed al santuario di Gurina Gt 1-2); non meno esplicita è la dedica
latina sul manico di situla da Villa di Villa: '... votum solvit libens
merito'.
I recinti sacri poi erano custoditi da sacerdoti o sacerdotesse che praticavano
la mantica, l'aruspicina, traendo presagi dalle viscere delle vittime,
'auspicia' dal volo degli uccelli o dallo stormire delle fronde. Difatti
gli dei comunicavano con i mortali, inviavano i loro ordini, palesavano
il futuro o ciò che sarebbe avvenuto se non si fosse fatto qualcosa
per evitarlo, attraverso tutta una serie di manifestazioni in codice,
che solo auguri, sibille, oracoli, sacerdoti, profeti ed indovini riuscivano
a decifrare, e per tutto ciò occupavano un posto preminente come
tramite o 'pontifex', nella vita religiosa dell'antichità. Essi
rendevano manifesti i voleri 'responsa' della divinità, e suggerivano
il modo 'remedia' per evitare o parare l'ira del dio 'nuntiant eventura
nisi provideris (25), o per carpirne la benevolenza; e la 'espiatio' consisteva
in doni, sacrifici, processioni 'lustratio', e giochi. E sibille ed oracoli,
legati al culto di un dio profetico come Apollo numerose le dediche a
questo nume anche a Lagole di Cadore), erano spesso relegati su isole,
in luoghi impervi o grotte laPizia delfica, l'Oracolo del monte Ptoo,
la Sibilla cumana) o presso sorgenti termali: era famosissimo nel Veneto
preromano e romano l'oracolo di Gerione presso Padova, dove va a consulto
addirittura l'imperatore Tiberio, in viaggio verso l'Illirico, e ne riceve
il consiglio di gettare dadi d'oro nella 'fons Aponi' Abano), secondo
Svetonio(26).
Sul Monte Altare esiste un piccolo antro denominato "Buss dela Vècia",
e non sembri incredibile che il ricordo di un qualcosa di arcano, legato
alle antiche pratiche del santuario, possa essere arrivato fino ai nostri
giorni, tramandato dai racconti degli anziani. Non a caso fra i reperti
votivi del santuario paleoveneto-romano compaiono delle insolite placchette
bronzee con incisioni dalla parvenza di numeri latini che sono state identificate
provvisoriamente come 'sortes'; non si esclude, allo stato attuale delle
conoscenze, che possano anche avere un qualche significato oracolare.
Anche la demonizzazione della località, forse risalente alla prima
cristianizzazione, è documentata nel toponimo 'Collo Maledicto'
in un documento
76
confinano cenedese del 1398: '...)et a fontanella deorsum usque ad ruium
de Merille et a ruio de Merille sursum per plaiterium usque ad sommitatem
montis de Antares. Et a dicto monte de Antares usque ad Colum maledictum,
et a dicto Collo Maledicto usque ad sommitatem montis qui est inter Serravallum
et Cenetam (27)
Il santuario ed i numi tutelari.
I sacrari paleoveneti del cenedese cartina 2), come tutti
i santuari del Veneto della fine dell' età del ferro, sono stati
individuati dalla presenza di reperti votivi; mancano le strutture ed
i materiali sono stati tutti rinvenuti in situazioni di accumulo disordinato,
molto spesso di frana. La notevole quantità di frammenti di embrici
e tegole, di chiodi in ferro, sono quasi sicuramente da collegare con
una qualche struttura, forse lignea, che almeno in epoca romana si trovava
sul posto. A Villa di Villa durante il saggio di scavo del 1978 (28) sono
stati individuati ad una certa profondità, sul pianoro sovrastante
la "stipe", dei massi connessi con malta, di una struttura non
determinata, forse le fondazioni di un sacello, o l'abitazione degli addetti
al culto. Difatti i frammenti di anfore, di vasellame ed altri oggetti
di uso domestico trovati sul posto testimoniano anche di umili attività
quotidiane. Anche al M.Altare la presenza di frammenti di embrici, di
coppi, di cubetti fittili da pavimentazione, fa ritenere molto probabile!'
esistenza di un sacello o di una qualche struttura connessa col 'fanum',
almeno in epoca romana.
I numi tutelai delle genti paleovenete, almeno da quello che si desume
dalle iscrizioni, da notizie di antichi scrittori, da considerazioni sui
materiali venuti alla luce nei numerosi depositi-santuari sono divinità
in prevalenza femminili, dee della salute, della fecondità, divinità
ctoniche di un popolo di allevatori, agricoltori ma anche di guerrieri,
spessissimo legate al culto delle acque sopravvivono ancora ai nostri
giorni ricordi di divinità delle acque nelle LAGANE, le ninfe dai
piedi di capra del Cadore(29), o le ANGANE in Cansiglio cfr. De Nale).
Nelle epigrafi del santuario di Lagole di Cadore viene nominata 'TRUMUSIATE',
forse una dea trimorfa, poi trasformata dalla 'interpretatio' romana in
Apollo; è presente anche una 'LOUDERA', alla quale viene dedicata
una lamina pure a Gurina. Ad Este era venerata 'REITHIA', identificata
con Minerva, con Artemide, o con Giunone, citata da Livio, originario
di Padova. Con Diana viene identificata 'REIT, RIT' di Magrè in
ambiente retico-paleoveneto, cui venivano dedicate corna di cervo con
iscrizioni.
Purtroppo non ci sono molti elementi per determinare con sicurezza i numi
tutelari dei santuari del cenedese e le iscrizioni sono ranissime.
A Villa di Villa i reperti, pur con qualche differenziazione, confermerebbero
una omogeneità di culti e riti con il mondo paleoveneto: le statuette
77
itifalliche, le lamine bronzee figurate, ed una consistente
quantità di denti e ossa di animali, in genere maiali, pecore-capre,
o bovidi, residuo dei sacrifici. Non abbiamo tracce di sorgenti, forse
disturbate in anni recenti dalle gallerie per l'estrazione di carbonato
di calcio o dallo scavo del canale Cellina, ma la presenza di frammenti
di vasetti potoni in ceramica a pareti sottili fa supporre un rito collegato
con libagioni d'acqua salutare, comune in molti santuari. In base agli
ex-voto, possiamo riconoscere le medesime specializzazioni del 'DEIVO'
della stipe Baratela di Este, o di quello di Lagole di Cadore, a testimonianza
di una uniformità di credenze e riti nel Veneto antico.
Quanto all'identificazione del nume tutelare i dati sono molto limitati
e discordanti; difatti sulla base di alcuni attributi delle raffigurazioni
della divinità sulle lamine figurate, si è proposto di paragonare
il nume di Villa di Villa ad una "signora degli animali" o ad
un Ercole, per la leontissa pendente dal braccio sinistro(30) la figura
con vesti femminili a tre balze, con elmo, lancia sulla sinistra e scudo
appoggiato a destra farebbe pensare invece ad una identificazione con
Minerva (fig. 6).
Su una laminetta ricavata da un bordo di vaso in bronzo si può
leggere invece in chiari caratteri venetici sinistrorsi '...)O.S. VE.S.UTA.S.'
foto 14), forse una dedica a VESUTA sanante, e nell 'epigrafe latina su
un manico di situla compare VETUSA come nume tutelare del luogo:
'VETVS P FLAVIVS VETVSAE V.S.L.M.'.
Quanto al santuario del Monte Altare abbiamo una assoluta mancanza di
dediche o figurazioni. Conosciamo però alcune specializzazioni
del nume tutelare. Il M.Altare è noto da secoli per le sorgenti
di acque salso-bromoiodiche e sulfuree che sgorgano dalle pendici del
colle. Forse il culto del dio è in relazione con riti presso le
sorgenti, attive anche a poca distanza dalla sommità, e fra i reperti
recuperati in frana sono stati raccolti pochi ma significativi frammenti
di vasi potori. Sarebbe quindi una divinità della salute, ma anche
un nume protettore dei guerrieri e dell' insediamento umano, come suggerito
dai bronzetti maschili e dalle lamine a castello. In negativo non è
una divinità pastorale, di allevatori o di agricoltori: mancano
difatti lamine con figurazioni di bovini o reperti connessi in modo evidente
con agricoltura e pastorizia. Molto scarso il numero di ossa di animali
raccolte. Su alcune lamine a quadrangolo irregolare e rastremato verso
il basso c'è una strana punzonatura a doppio elemento decorativo
più marcato, di solito due cuppelle (foto 15), di significato ignoto,
ma che si ipotizza collegato ad una personalità doppia del nume
tutelare, non estraneo all'ambito paleoveneto, vedi anche a Villa di Villa
la doppia raffigurazione della divinità su alcune lamine. E' anche
un patrono dei mercanti per il gran numero di monete del Norico poche
quelle romane repubblicane). La presenza di uno stilo scrittonio in ferro
e le cosiddette 'sortes' possono suggerire anche una divinità oracolare.
In sintesi il nume del M.Altane appare con una personalità contraddittoria,
ma abbastanza specializzata, ed il santuario sembra prevalentemente connesso
con l'urbanizzazione di Ceneda.
Foto 14 -
Villa di Villa: epigrafe paleoveneta ' (...) OS VESVTAS'
Foto 14 -
M.Altare: lamina conpunzonatura gemella
* Le foto sono dell'autore.
NOTE
1) RIGFII G., La necropoli "celtica"
di S.Canziano del Carso, in "Atti Civ.Mus.di St. ed Arte di Trieste,
TS, 1982, p.l6. Cartina diffusione dei torques a nodi.
2) BATTAGLIA R.,l955, p.22, fig.17.
3) Questa stessa via verrà ricordata nel VI sec.d.C. da Venanzio
Fortunato nel suo De vita S.cti Martini,IV, vv.657 e 668:
'...1 submontana quidem castella per ardua tendens;/...' Per Cenetam
gradiens et amicos Duplavenenses,I...'
4) Cfr. Marson L.,l904, p.'7O, e Battaglia R.,l957, p.l132.
Cfr. anche ARNOSTI G., Ceneda nell'Età del Ferro, in "Il
Quindicinale", Vittorio V.to, a.V, n. 10, p4, del 24.5.86. Idem,
Il Cenedese e la romanizzazione, in "Il Quindicinale", Vittorio
V.to, a.V, n.l2, p13, del 21.6.86. Idem, Influenze culturali a Ceneda,
in "Il Quindicinale", Vittorio V.to, a.V, n.l4, p.4, del 19.7.86.
Idem, L'influsso dei Celti, in "Il Quindicinale", Vittorio
V.to, a.V, n.15, p.3, del 2.8.86. Idem, Il contributo delle fonti storiche,
in "Il Quindicinale", Vittorio V.to, a.V, n.17, p4, del 27.9.86.
Mancano dati per quanto riguarda l'area abitativa; ceramica paleoveneta
di uso domestico èstata raccolta tra il torrente Cervada e le
pendici del colle di S.Rocco.
5)1 materiali del santuario sono stati recuperati dal Gruppo Archeologico
del Cenedese nelle campagne di scavi degli anni 1976-78, ed in quella
del 1991. Cfr. MAIOLI M.G., La Stipe Votiva, in 'Vittorio Veneto', IV,
n.2, UD, 1978.
MAIOLI M.G.,La stipe votiva di Villa di Villa a Cordignano TV), in 'Archeologia
Veneta, VII, PD, 1984, pp.99-1 14.
MAIOLI M.G.,I materiali romani della stipe di Villa di Villa Treviso):
le ceramiche, in "Archeologia Veneta", X, PD, 1987, pagg.7l-86.
MAIOLI M.G.,La stipe di Villa di Villa a Cordignano TV), una ipotesi
di interpretazione, in "Aquileia Nostra", LVII, 1986, pagg.250-263.
Vedi anche: Arnosti G., Ultime notizie dall'archeologia locale, in "Il
Quindicinale", Vittorio V.to, a.IV, n.l1, p.6, del 1.6.85.
Idem, Salvare il santuario di Vetusa, in "Il Quindicinale",
Vittorio V.to, a.VI, n. 11, p.2, del
13.6.87.
6) MAIOLI,l986.
7) ARNOSTI G., Il nume tutelare della 'stipe' di Villa di Villa, in
'Il Flaminio' ,n.5, Vittorio V.to, 1990, p.3-l5.
8) La presenza di chiodi votivi richiama un rito probabilmente abbastanza
diffuso nell'antichità; per esempio nel santuario etrusco di
Norchia, i chiodi venivano usati per determinare lo scorrere del tempo:
cfr. von VACANO 0W., Gli Etruschi nel mondo antico, BO, 1977, p132.
9) Cfr. VITAL A., Tracce di romanità nel territorio di Conegliano,
in "Archivio Veneto", s.V, IX, 1931, p. l7,n.4: "Le situle
ritrovate sul Monte Altare e sulle colline di Costa di Vittorio ora
80
al museo dell'ing.Troyer, R.ispettore onorario ai monumenti) ... ".
Di queste situle non c'è più traccia in museo.
10) Sono oboli d'argento di tipo Magdalensberg, Eis, Gurina molto diffusi
nel Norico. Cfr.
PINK K.,Die keltischen Muenzen vom Magdalensberg, 'Carintia' 1148, Klagenfurt,
1958,
pp.l3O-l44. BANNERT H.- PICCOTTINI G., Die Fundmuenzen vom Magdalensberg,
Klagenfurt, 1972.
GORINI G., Moneta e territorio in età romana nel bellunese, in
'Archivio Storico di Belluno,
Feltre e Cadore, LXII, BL, p.1213, fig.n.5.
AMALDI CARPINTERI M.G., I reperti numismatici dal Colle di Castelraimondo,
in Il Colle
abbandonato di Castelraimondo,a cura di F.Piuzzi, UD, 1987, p.85.
11) BERTI-BOCCAZZI, 1959, p.5.
12) Cfr. PELLEGRINI-PROSDOCIMI, La lingua Venetica, PD, 1967.
13) Cfr. SARTORI B., Castel Roganzuolo, Vittorio Veneto, 1978.
14) Le lamine sono riprodotte da MORET A., I mitici popoli delle palafitte,
dei tumuli e dei
castellieri, UD, 1988.
15) Cfr. MOMMSEN, CIL, vol.V, p.lO67, n.8786: "In patera satis
magna superficie
superiore litteris punctatim exaratis et inversis, reperita in campo
inter Coneglianum et
Cenetam. Extat Mediolani apud Biondellium.". Vedi MORET A., Patrimonio
Culturale
Veneto Friulano, Tombe e iscrizioni romane nell'Antico Cenedese, Feletto
U., UD, 1983, p.
37.
16) GALLIAZZO V., I bronzi romani del Museo Civico di Treviso, Roma,
1979. Reperti
romani da questa località sono esposti al Museo del Cenedese,
altri sono in deposito presso
il Gruppo Archeologico del Cenedese: fra questi frammenti di embrici
e pesi da telaio, chiavi
in ferro, ceramica da fuoco e da mensa, monete imperiali.
17) Si veda anche L.MARSON, 1889, a pag.42.
18) Cfr. MORET A., 1983, p.84. Vedi anche MARSON L., Romanità..,
1904, p.'7O.
19) BATTAGLIA R., Riti e culti..,1955
20) BLOCH R., Prodigi e divinazione nel mondo antico, Roma, 1977, p.6O.
21) COON C.S., Storia dell'uomo, rist., MI,1970, p. 260.
22) Powell T.G.E., I Celti,FI,l974, p. 139; e cita Lucano.
23) AA.VV., Arte delle sjtule dal Po al Danubio, FI, 1961: Tavv. A,
C-F; da Vace, Sanzeno,
Bologna. FOGOLARI G.-PROSDOCIMI A.L., I Veneti Antichi, PD, 1988, fig.
119, p.93, da
Padova.
Citazioni sui Paleoveneti in: PELLEGRINI G.B.-PROSDOCIMI A.L., La lingua
venetica,
Il, PD, 1967.
24) von VACANO 0.W.,Gli Etruschi nel mondo antico, BO, 1977, p. 62.
25) CICERONE, De divinatione, I, 29; BLOCH R., Cit., 1977, p. 75.
26) CHEVALLIER R.,Un aspect de la personalite' de l'Hercule Alpin, in
Ce.S.D.I.R.,
vol.VII, 1975-76, MI, 1976, p.l37, n.5.
27) Da documenti prodotti nella lite confinaria fra Ceneda e Serravalle
del 1535, in TOMASI
G., Topografia antica di Serravalle e della Val Lapisina, Fiume Veneto
PN), 1989, p.75.
28) RIGONI M., Villa di Villa Cordignano-Treviso), in "Aquileia
Nostra", LI, 1980,
coll.400- 1.
29) BATTAGLIA, 1955, p16.
30) Vedi nota 7.
Attributi di Ercole sono stati rinvenuti anche al santuario di Lagole,
ed a Gurina un'iscrizione
testimonia un tempio dedicato al dio. Pellegrini-Prosdocimi, p.6l2.
Una dedica all'eroe è
documentata anche presso il Timavo. Il culto di Ercole è spesso
connesso con acque termali,
e lungo importanti percorsi commerciali. Bronzetti di Ercole ad Este
stipe Baratela), Altino,
Trieste stipe di Gretta), Lagole, Gurina.
81
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