LUIGI SERA
TRANS-PONTEM: LORENZO DA PONTE: UN PONTE TRA EUROPA E AMERICA
Traduzione di Edoardo Casini
"Che farai in America, Lorenzo?"
T.J. Mathias
"Non può quel che vuole
Vorrà quel che può".
Don Alfonso in Così fan tutte
La straordinaria esperienza umana e letteraria di Lorenzo
Da Ponte, esperienza eminentemente trasversale e sfaccettata, è
già da tempo oggetto di studi che, benché numerosi, sono
spesso ripetitivi l'uno dell'altro.
Fatte poche eccezioni, fino a circa dieci anni fa, la figura e l'opera
di Lorenzo Da Ponte si sono piattamente identificate con la stesura dei
libretti di Mozart ed omologate, in modo riduttivo, allo spirito d'avventura
e al libertinismo del Settecento. L'ottimo lavoro di Sheila Hodges, Lorenzo
Da Ponte: la vita e il tempo del librettista di Mozart, pubblicato nel
1985 e i due convegni su Da Ponte tenutisi alla Columbia University (1988)
e a Vittorio Veneto (1989) hanno gettato sull'uomo di Ceneda una luce
nuova, più completa. Questi studi recenti da parte di studiosi
di campi diversi, dalla critica letteraria alla musicologia, dalla biografia
alla linguistica, mentre hanno colmato la conoscenza eccessivamente lacunosa
e, talvolta, superficiale di Lorenzo Da Ponte, hanno riconosciuto, attraverso
argomentazioni di grande dignità speculativa e scientifica, l'importanza
autonoma dell'opera di Da Ponte. Sembra che tutto ciò che si poteva
investigare sia stato fatto, ma, nella nostra epoca post-modema, l'ermeneutica
si offre come spia, effimera
LUIGI SERA della University of Pennsylvania di Philadelphia,
ha relazionato al Convegno Internazionale di New York (1988) ed a quello
di Vittorio Veneto (1989), sempre sul ruolo culturale di Da Ponte in America.
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e vacillante, di complessità testuali ed ontologiche che sono inesauribili.
In particolare il ruolo e la funzione di Lorenzo Da Ponte quale mediatore
dell'Europa e della sua cultura con la giovane nazione americana, lasciano
ancora spazio ad interpretazioni nuove. Questo scritto intende dimostrare
come Lorenzo Da Ponte abbia stabilito un legame importante tra l'Europa,
e l'Italia in particolare, da un lato e gli Stati Uniti dall'altro. "Poco
era quello ch'io aveva portato da Londra. Una cassettina di corde di violino,
alcuni classici italiani di poco prezzo, alcuni esemplari di un bellissimo
Virgilio, alcuni della Storia di Davila e da quaranta a cinquanta piastre
in contanti(1)" scrive Lorenzo Da Ponte nelle sue Memorie inventariando
ciò che aveva portato con sé nel viaggio verso l'America
da cui non sarebbe ritornato. In retrospettiva l'inventano si lascia leggere
come programma della vita di Da Ponte nel Nuovo Mondo, una vita all'insegna
della predilezione per la musica e la letteratura, materializzate come
merce di consumo medio per la società civile moderna. Corde di
violino e torni dei classici spiccano sul vascello Columbia comandato
da Abissay Haydn, 'arpionatore di balene', come metonimie degradate, come
simulacri platonici di una cultura che ha perso lo statuto dei valori
perenni e delle funzioni di emancipazione e progresso.
Il diciottesimo secolo era appena concluso. Era stato un secolo di "bellezze
magiche e radiose", di artisti straordinari, di ideologie fulgenti
e tonanti, ma anche di violenza e di tragedie collettive ed individuali,
di guerre e rivoluzione" (L. Villari)(2).
Era stato il secolo dell'Arcadia e del melodramma, di Goldoni e Mozart,
di Tiepolo e Hogarth, di Newton e Kant, dell'Enciclopedia e di Rousseau,
di economisti, giuristi, viaggiatori, della Massoneria, dei principi illuminati,
della Guerra dei Sette Anni, dell'Indipendenza americana e della Rivoluzione
Francese. Era stato il secolo della 'crise de la conscience européenne'
(P. Hazard), dell'inizio della diaspora italiana, dell'Italia fuori d'Italia"
(F. Venturi). Era stato il secolo di ciò che, nella consapevolezza
di molti contemporanei, fu sentito come modernità.
Quale fui! reale incontro che Lorenzo Da Ponte ebbe con l'America? Che
tipo di rapporto intrecciò con i luoghi dei Nuovo Mondo, che oscillavano
tra utopia e iper realtà, moderno ed arcaico, quei letterato che
aveva persona!-mente conosciuto gli ambienti sociali ed artistici più
raffinati - da Venezia vivace e splendida nel suo crepuscolo, alla elegante
Vienna degli Asburgo, alla Londra dinamica di Giorgio III - che aveva
lavorato in stretto contatto con Mozart ed altri importanti compositori
e che, ora cinquantaseienne, aveva sulle spalle una esperienza molteplice
di avventure e di situazioni alterne?
L'America in cui Da Ponte era sbarcato era un paese già consolidato
istituzionalmente ma ancora indeciso se optare per una economia a predominanza
agricola, come Thomas Jefferson raccomandava, o industriale, come
4
sarebbe accaduto in sintonia col programma di Alexander
Hamilton delineato nel famoso "Rapporto sulle manifatture".
Comunque, a quel tempo era sbiadita l'ideologia di una America, 'locus'
di semplicità naturale ed innocenza di costumi, nazione della palingenesi
per l'umanità futura.
Per tutto il secolo diciottesimo, una pletora di sogni ed utopie aveva
nutrito I' imaginaire europeo. Alla ricerca della felicità, una
aspirazione che la filosofia aveva legittimato, la coscienza europea scopriva
di aver divorziato da se stessa e di essersi frantumata.
Inventava "l'altrove", le età dell'oro e le Arcadie irrimediabilmente
perdute a causa degli effetti corruttori della civiltà, come si
diceva allora, o, come si dice spesso oggi, a causa degli effetti di guerre
e carestie continue, e della stanchezza di una organizzazione sociale
millenaria, ancora in gran parte feudale. L'idea apocalittica di un Mundus
novus o novissimus che avrebbe col tempo soppiantato il vecchio era riemersa
accanto al concetto gnostico di ab oriente lux interpretato come il simbolo
delle civiltà che seguono il corso del sole, che sorge ad oriente
e muove verso occidente. Anche in Italia molti pensatori, scrittori e
viaggiatori(3) avevano narrato di un'America abitata da forti uomini pacifici,
rispettosi dei loro pari, strenui difensori delle virtù civiche
e delle libertà repubblicane. La moda dell'America aveva anzi dato
forma precisa al "Pensilvano" che sarebbe stato dotato dell'innocenza
e della laboriosità degli Indiani e della saggezza e temperanza
dei Quaccheri. In queste figurazioni astoriche, Filadelfia, con la sua
etimologia, evocava la concretizzazione del progettò quacchero
di William Penn e della filosofia pragmatica di Benjamin Franklin.
A cavallo del secolo, comunque, la propaganda dell'utopia americana perse
il suo fascino perché la rivoluzione francese e la "liberazione"
napoleonica avevano mandato in frantumi gli ideali di eguaglianza e libertà.
La giovane nazione americana osservò da lontano l'astro nascente
di Napoleone e l'interminabile lotta tra Inghilterra e Francia. D'altro
canto, le guerre d'Europa, che impegnavano le forze navali delle nazioni
belligeranti, permettevano agli Stati Uniti di diventare la più
grande potenza marittima neutrale e di avviare proficui commerci soprattutto
sulle rotte del Pacifico.
Quando, nel 1805, Lorenzo Da Ponte arrivò, Filadelfia, con i 68.000
abitanti ed una crescita annuale del 5 per cento, era la città
più popolosa degli Stati Uniti. La città portava ancora
l'aureola patriottica e civile dell'ex capitale dove era stata emanata
la Dichiarazione di Indipendenza ed era stata promulgata la Costituzione.
Si trattava di una comunità urbana di commercianti e costruttori
di navi impegnati in attività marittime al massimo dello sviluppo.
Chiamata l'Atene d'America, era la sede della famosa Società Filosofica
d'America. Vantava una biblioteca pubblica, un museo d' arte, un museo
di storia naturale, librerie, alberghi, ristoranti teatri e circhi. Tra
il fiume Delaware e Logan Square, le case si allineavano le une accanto
alle altre con i caratteristici mattoni rossi e le recinzioni bianche.
Commercianti
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e artigiani abitavano sopra i loro empori ed negozi, e gente di ogni estrazione
sociale abitava quartieri completamente integrati. C'erano scuole private,
elementari e secondarie, per tutti i gruppi religiosi, e l'Università
di Pennsylvania. La città era sfuggita al flagello della schiavitù
ed ogni lavoro veniva retribuito. Il censimento del 1790 registrò
meno di 300 schiavi in tutta la Pennsylvania, e quello del 1820 elencò
3 schiavi a Filadelfia e 4 nei sobborghi. Circa 8.000 Afro-americani vivevano
in un ambiente privo di tensioni di razza(4).
Sebbene Da Ponte non conservasse un buon ricordo delle esperienze fattevi,
Filadelfia fu spesso un punto di riferimento per lui. Vi sbarcò
dopo una disagiata attraversata atlantica, vi aprì un negozio di
modista, viaggiò 72 volte avanti e indietro da Filadelfia a Sunbury
dove risiedeva e dove si trasferì nell'Agosto del 1818.
"... mia intenzione era di fermarmivi colla famiglia e poi spargervi
la lingua e letteratura del mio paese... M'accontai co' primi letterati...
co' direttori della pubblica libreria: e proposi loro l'acquisto di...
libri... Offersi alcuni libri... pe' quali s'avesse un saggio della sua
bella letteratura"(5).
Nonostante il forte sostegno di Zaccheo Collins, amministratore della
Old Library Company e membro preminente della Società Filosofica
d'America, Da Ponte non riuscì a realizzare i propri progetti.
Ne concluse" che in Filadelfia non si voleva o non si sapeva conoscerne
il pregio.. "(6). Nell'aprile 1819, su pressioni di Clement C. Moore,
Da Ponte ritornò stabilmente nella "nobile, popolosa e...
cara città di New York"(7), ponendo termine alle peregrinazioni
americane che l'avevano portato dall'insediamento iniziale a New York
(1805) a Elizabethtown, New Jersey (1805-07), New York (1807-11) e Sunbury
(1811-18). In questi anni si lanciò in varie imprese tra le quali
l'insegnamento, la vendita di libri, la gestione di drogherie e di un
emporio, il commercio di liquori e medicinali, il possesso e la coltivazione
della terra, la partecipazione in una società di distillati e perfino
un tentativo di trasporto per carro e carrozza. Nel dedicarsi a questa
varietà di imprese, egli rivelò l'indole quintessenziale
del diciottesimo secolo, che era stata resa dignitosa e centrale dalla
figura del marchandphilosophe.
Nelle Memorie, Da Ponte ritrae con particolari vivaci persone e luoghi
de! periodo trascorso a Sunbury, quando allarga la propria esperienza
americana oltre la sfera puramente urbana. Passò quasi otto anni
in quell'avamposto del Movimento Verso l'Ovest, che, nel giro di pochi
decenni, avrebbe colonizzato e trasformato l'immenso territorio che si
estendeva fino al Pacifico. Lorenzo, che a Gorizia era stato un arcade
col nome di LesbonicoPegasio, descrive i dintorni di Sunbury sulle rive
del fiume Susquehanna in termini ispirati per lui insoliti, forse reagendo
alla sensibilità romantica nascente che si manifestava negli scritti
contemporanei dei Transcendentalisti americani. Un esempio notevole naturalmente,
è la 'patetica fallacia', il sentimento di una natura infinita
come sfondo delle emozioni umane, che essa assorbe e
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riecheggia su tali modulazioni. R.W. Emerson e H. Thoreau
cantavano la natura. Più tardi, la Hudson River School ricorse
allo stile detto "luminaescente", per rappresentare la luce
che fora nubi e foreste, che crea effetti di atmosfere misteriose e di
eventi imminenti.
"... Si giunge al piede d'una montagna... I margini sono inghirlandati
di virgulti, cespugli ed alberi d'ogni sorte, tra quali pompeggia un'incredibile
quantità di lauri selvatici... Ruscelli, cascate d'acqua, collinette,
dirupi, massi marmorei e gruppi d'alberi multiformi si stendono in due
valli vastissime e profondissime...
Trovansi qua e là delle casucce, delle capanne di pastori.., e,
tra un'infinità di cervi, di cinghiali, di pernici, di fagiani
e d'ogni altra sorte di selvaggina, de' lupi, delle volpi, degli orsi
e de' serpenti a sonaglio, che, sebben raramente assaliscano il passeggiero,
aggiungono nulladimeno un certo orror dilettevole, una certa aura di solennità,
a quella maestosa solitudine"(8).
Si tratta di una "Sinfonia del Nuovo Mondo" composta da Lorenzo
Da Ponte piuttosto che da Antonin Dvorak, in onore di un paesaggio dimentico
della storia ed abitato fino a pochi decenni prima soltanto da Indiani,
simile ai luoghi descritti da J. Fenimore Cooper, conoscenza newjorchese
all'epoca in cui Da Ponte rivedeva e pubblicava la propria autobiografia.
Che cosa rivela lo stile di Da Ponte? Nelle Memorie usa una lingua che
rivela semplicità lessicale e sintattica, benchè inframezzata
da citazioni latine e forme idiomatiche toscane. "Io... scelsi uno
stile semplice, facile, naturale, senza affettazione, senza fioretti"(9).
Più che una lingua fossile resa tale da lunghi anni di residenza
in paesi stranieri, quella di Da Ponte ènotevole testimonianza
di una koinè linguistica per un pubblico nuovo e vasto di lettori,
una lingua che conserva le tracce della lingua franca del melodramma e
dell'opera.
L'analisi della struttura delle Memorie richiede una ricerca sugli influssi
e l'accertamento di alcune teorie.
Si potrebbe osservare che J.J. Rousseau, le cui opere Da Ponte lesse all'epoca
del suo insegnamento a Treviso, aveva detto con orgoglio, riflettendo
un'opinione diffusa, che la storia oscura della propria anima sarebbe
stata più interessante di quella dei re se soltanto avesse potuto
pensare di più e meglio di loro. Un cambiamento psicologico radicale
di tal fatta determinò un rimodellamento delle tecniche narrative
e una democratizzazione dell'argomento per cui tutti erano autorizzati
a parlare di se stessi. Il passaggio dall'autobiografia aristocratica
a quella borghese avvenne enfatizzando l'uomo comune e le sue qualità
che divennero qualcosa da mettere in mostra più che da nascondere.
Di conseguenza, l'autobiografia, mentre perdeva il suo carattere di esemplarità,
si rivelava contigua al romanzo. In particolare, nelle memorie veneziane
di Da Ponte, C. Goldoni, C. Gozzi, G. Casanova, il mutevole soggetto/carattere
che sostituì l'eroe epico viveva nella "immediatezza del presente",
8
come G. Poulet affermò con specifico riferimento
a Casanova, e si muoveva in un'epoca simile all"epoca dell'avventura"
che M. Bachtin scopre nel romanzo greco e barocco. L'autobiografia di
Da Ponte, che mostra una dimensione temporale regolata sulle vicende dell'autore,
riflette pure i topoi del melodramma con cui egli aveva una familiarità
retorica provata. Su questo punto, P. Brooks ha affermato, in modo del
tutto convincente, che il sorgere della immaginazione melodrammatica moderna
provoca un crollo ed un fallimento strutturali del divino, del sacro e
del soprannaturale delle letterature classiche, relegando il dramma cosmico
all'interno della normale esistenza quotidiana dell'individuo(10).
Più complessa è la soluzione, se una soluzione si deve trovare,
del rapporto auctor/agens, che per certi critici è senza importanza,
mentre per altri va configurato quale identità forte autore/personaggio,
così come P. Lejeune ha prospettato nello studio sul "pacte
autobiographique"(11).
Più che un "récit de carrière", narrazione
di una carriera, l'esistenza di Lorenzo Da Ponte, come riferita nelle
Memorie, si presenta come una carriera imposta, "una carriera subita"
(F. Fido). "Era... educato... alla maniera de' preti, sebbene inclinato
per genio e quasi fatto dalla natura a studi diversi"(12). Per necessità,
il mascheramento è una difesa. "Chi son io tu non saprai"
dice Don Giovanni/Da Ponte, indossando la maschera che gli permette il
cambio di identità e di anima per una fuga nella fantasia, mentre
invita chi l'osserva ad indagare e scoprire. L'uomo nato a Ceneda nel
1749 da una famiglia ebrea si trovò mutato il nome originario di
Emanuele Conegliano in quello di Lorenzo Da Ponte, nome del vescovo che
lo battezzò all'età di quattordici anni. "(Egli è]
l'uomo sine nomine.., professore sine exemplo... l'autoritratto è
costituzionalmente quello dell'uomo deprivato"(13).
I doxa (giudizi) di avventuriero e libertino, espressi in termini scandalistici
e riprovevoli, sono da tempo riduttivi e rendono opache le opere e le
esperienze globali di Da Ponte. Ciò risale all'epoca del De Sanctis
e di G. Carducci e venne codificato in modo particolarmente preconcetto
da F. Nicolini, che, mentre consacrava la fama letteraria di Da Ponte
con l'inclusione delle Memorie nella famosa collana Laterza Scrittori
d'Italia, scriveva "... c'erano [in lui] untuosità e ipocrisia
ebraico-pretesche"(14). A questo riguardo, recentemente si è
scritto molto appropriatamente: "Quello di Nicolini è il classico
pregiudizio di tipo moralistico, cui forse non sono estranee nemmeno connotazioni
di tipo razzistico... Uno studio più approfondito, e non prevenuto,
della biografia di Da Ponte porta oggi i più (tra gli studiosi)
a giudicare sproporzionata la definizione di avventuriero e parzialmente
accettabile quella di libertino, con prevalente sottolineatura, per quest'ultima,
dell'accezione politico-filosofica"(15).
"Un archetipo dell'emigrazione intellettuale italiana in America"
(P.M. Pasinetti), Da Ponte appartenne a quella diaspora, a quella emigrazione
8
scelta per ragioni intellettuali o morali quando gran parte
degli stati italiani era governata da monarchi dispotici o stranieri,
oppure e semplicemente per il desidero di visitare nuovi luoghi e mescolarsi
in nuove società, desiderio che si manifestò inizialmente
nel 1700.
Allora una miriade di scrittori italiani moltiplicò viaggi e contatti
sociali, esperienze e scritti attraverso tutta l'Europa ed anche oltre
Atlantico(16). Provenivano tutti da quella entità particolare che
era l'Italia prima della unificazione, una nazione-cultura che esisteva
da secoli prima di diventare una nazione-stato e che attraverso i propri
espatriati ed emigrati esprimeva una influenza culturale omogenea ne!
campo delle arti, dell'architettura, delle scienze e della giurisprudenza
di vari stati dell'Occidente.
Quando dopo le disastrose esperienze in Pennsylvania, Da Ponte si trasferì
nuovamente e definitivamente a New York nel 1819, la città era
nel pieno della tumultuosa espansione che in pochi anni l'avrebbe trasformata
in un centro d'attrazione finanziario e culturale. Perso il provincialismo,
New York guadava apertamente alla cultura e alle arti europee con intenti
intelligentemente finalizzati all'acquisto "I miei piedi ricalcavano
le pietre a me care di questa avventurata città"(17).
Dopo il ritorno a New York, fino alla morte nel 1838, Da Ponte brillò
in una città dove la cultura si consolidava secondo statuti riconoscibili
e trovava coesione e fermezza di intenti.
Sebbene in tutta la sua vita, tranne che nell'infatuazione rousseauviana
a Treviso, Da Ponte non avesse rivelato interesse per i programmi politici
e sociali che posero fine all"ancien régime", a New York
trovò la sua causa nel difendere pubblicamente l'Italia e gli Italiani
contro l'attacco violento, evidenziato nella stampa di New York, che,
in rapporto col divorzio del re e della regina di Inghilterra, C. Phillips
avvocato e consigliere aveva portato praticamente contro tutto ciò
che era Italiano. Essendo il più anziano ed il più noto
degli italiani di New York, Da Ponte sentì che doveva intervenire
personalmente per confutare queste denigrazioni. A questo scopo, affittò
una sala per conferenze pubbliche dove fece il suo 'Discorso apologetico
sull'Italia' davanti ad un pubblico di più di 200 persone che il
quotidiano Columbia descrisse come "una delle più affollate
riunioni di ingegno e moda che mai abbiano ornato una sala per conferenze
di questa città".
Da Ponte tenne il passo col ritmo frenetico della città attraverso
la corrispondenza e la stesura di cataloghi, ricordi, opuscoli, e poesie(18),
e l'insegnamento a centinaia di studenti - fu il primo professore di italiano
al Columbia College (19) - importando migliaia di libri e promuovendo
l'opera italiana.
A quel tempo era confortato dalla amicizia affettuosa e sempre leale dei
Moore e dei Livingston; onorato dalla società alla moda; in familiarità
con letterati ed intellettuali quali Washington Irving, Fitz-Greene Halleck,
J. Fenimore Cooper, Henry W. Longfellow, Gulian Verplanck, Samuel Morse,
9
John Francis, Pietro Maroncelli.
Negli ultimi 20 anni della vita, passata a New York, fu rattristato dalla
morte di due figli e della moglie amata e conobbe il fatale avanzare della
vecchiaia, ma si tenne sempre occupato fino alla fine. In questo tempo
fu notevole la sua partecipazione ad imprese teatrali.
Dopo la tournée del 1825 di Manuel Garcia, ritenendo maturi i tempi
per l'opera italiana in America, programmò l'arrivo da Venezia
di sua nipote Giulia, che cantò come prima donna nel "pasticcio"
rielaborato "Ape musicale", ambientato nelle "Isole Fortunate",
una chiara metafora dell'isola di Manhattan. Più tardi fece venire
da Bologna la Compagnia Montresor. Entrambe le imprese finirono in delusioni
e perdite finanziarie. Tuttavia impavido, a 84 anni, raccolse larghi fondi
tra gli amici ricchi e riuscì a realizzare, al costo di 150.000
dollari, l'Italian Opera House che, secondo l'ex sindaco della città,
Philip Hone, era il teatro più bello e più elegante degli
Stati Uniti, senza confronti in Europa"(20).
Dopo un anno i costi eccessivi di produzione e mantenimento condannarono
l'ultimo tentativo di Da Ponte di successo nel mondo contemporaneo della
musica e del teatro.
Malgrado gli insuccessi finanziari, queste imprese nel mondo dell'opera
gli procurarono grande piacere. Nel ricordare Da Ponte 30 anni dopo la
sua morte, Henry Tuckerman scrisse: "Alcuni concittadini ancora descrivono...
il suo bel viso all'opera... che contagiava gli altri di entusiasmo, e
che serviva da legame vitale tra il pubblico affascinato e i musicisti
stranieri(21)".
Negli ultimi anni Da Ponte ebbe una vasta corrispondenza con diverse persone
in Italia, dove si lamentava della sproporzione tra ciò che aveva
fatto per le arti e la diffusione della cultura italiana in America e
la sua presente disagiata condizione, ma questa volta la sua lamentela
era priva di basi, almeno in parte, se si tiene in considerazione la cura
affettuosa verso di lui incessante da parte dei suoi famigliari ed amici.
Quando Lorenzo Da Ponte morì, pochi mesi prima del suo novantesimo
compleanno, un gran numero di amici, ex allievi, artisti, e noti rappresentanti
delle istituzioni culturali gli resero omaggio con esequie solenni ed
un grande corteo fino al cimitero della Second Avenue. Tuttavia, come
Mozart, fu sepolto in una tomba anonima. Il cimitero fu dismesso nel 1851;
e fino ad oggi, i resti di Da Ponte non sono stati localizzati.
Oltre a raggiungere una posizione importante ed indipendente nel campo
della letteratura, Lorenzo Da Ponte "un uomo molto più importante
della sua vita(22)" ha pur raggiunto un riconoscimento definitivo
come portatore e mediatore di cultura.
Il riconoscimento di Da Ponte come portatore di cultura e precursore di
studi italiani in America è avvalorato da molte fonti autorevoli,
anche molto diverse per tempo e personalità. In questa occasione,
piacerebbe citare Henry J. Anderson che, presentando Da Ponte a John Vaughan,
presidente della
10
Società Filosofica Americana, nel Settembre 1829,
scrisse: "Il Signor Da Ponte è talmente noto nel mondo letterario
che ritengo superfluo parlarvi delle sue qualità professionali.
Basti dire che occupa il rango più alto tra i letterati d'Italia
sebbene abbia passato gran parte della vita lontano dal paese nativo.
Insegnante esperto ed ora anziano, gode ancora di buona fama, tale da
farlo considerare tra i primi sia nella produzione letteraria che nella
ardente devozione alla causa delle Lettere... Un apostolo del Bell'idioma
(23).
E significativamente, Clement C. Moore scriveva: "Finche tra noi
rimarrà una scintilla di gusto per le belle lettere, il nome di
Da Ponte sarà venerato"(24).
E il primo estimatore di Da Ponte non suo contemporaneo, Arthur Livingston,
scrisse: "Non v'era dubbio alcuno che questo fu un momento importante
per lo spirito americano. Come nessun altro aveva mai fatto prima, oso
dire, Da Ponte fece vivere, per molti americani importanti, l'Europa,
la poesia, la pittura, la musica, lo spirito artistico, la tradizione
classica, una educazione classica creativa"(25).
Secondo Sheila Hodges, Da Ponte fu "... l'infaticabile pioniere che
fece conoscere agli Americani la tradizione letteraria e musicale della
sua terra natale, aprendo loro gli occhi agli splendori che non avevano
visto o immaginato prima(26)".
L'uomo di Ceneda, per due volte diasporico, era vissuto nella Europa dell
'Età della Ragione e nell 'America del primo esperimento democratico
e pluralistico senza partecipare alle ideologie fondanti dell'Illuminismo
e del Romanticismo. Era giunto dalla Venezia del 1700, antiAufldàrung
per eccellenza, città di carnevali e teatri, di maschere e libertini,
dov'era prodotta l'arte meno 'italianizzante' con il colorismo di Canaletto,
Longhi, Tiepolo e il disperato intellettualismo di Guardi, dove l'arte
funeraria di Canova neoclassico si dava come viatico per l'angoscia della
morte.
La Venezia Orientale, metafora per antifrasi della civilizzazione italiana,
Abendland, Esperia, terra dell'Occidente, segnate entrambe dal tempo e
dal declino, dove memorie, tracce, segni rivelano lo stesso lucido motivo
di sfiducia nella ragione e manifestano il bisogno di abbellire, imbellettare,
bistrare il ragionamento mirando all'eccentrico, all 'artistico, allo
spettacolare. Città dove la maschera è un espediente per
trascendere i 'phantasmi' interiori e dove la modernità è
già presente nel 18° secolo con le appercezioni di transizione,
rammemorazione e rovina. A Filadelfia, a Sunbury, a New York, Da Ponte
portò con sé i segni delle antiche ferite delle due abiure
imposte, e chiese per sé una normalità che gli sarebbe sempre
stata negata, malgrado la normalità della sua condizione umana,
riconosciuta e accettata dai modelli attuali, di viaggiatore nel tempo
ed emigrante nel futuro, di predecessore e postumo di se stesso.
Nelle sue esperienze di scrittore e uomo della giovane America, ricca
di
11
lusinghe ma anche di sconfitte, terra dell'iperrealtà
e del fare più che della pietas e dell'essere, Da Ponte dimostrò
una sottomissione al destino che lo rende comune alla maggioranza degli
esseri umani, e degno di affetto per la sua disponibiltà ad essere
nel mondo e del mondo. In America Da Ponte si gettò in imprese
commerciali per le quali sentiva l'attrazione dell"homo americanus"
che è convinto che tutto sia illimitatamente possibile.
Come molti che credettero nel "sogno americano", egli incontrò
lo zoccolo duro della concorrenza e dei cicli economici e il fallimento
dietro la porta, ma, come pochi fecero, trovò nella letteratura
la risorsa di energia per rinnovare illusioni e progetti. Col passare
del tempo si fece sempre maggiore la distanza tra Da Ponte, letterato
cosmopolita del 18° secolo, e il paese ospite che aveva abbandonato
gli ideali egalitari e universali degli inizi ed aveva scoperto la propria
'unicità' e vocazione egemonica, diventando più importante.
Sopravvissuto ad un tempo definitivamente scomparso, mentre passa da un
insuccesso materiale all'altro, Da Ponte coglie il successo definitivo
di una esistenza vissuta intensamente fino alla fine e resa gloriosa dalla
letteratura variata e leggera che si porge come sogno e documento di grazie
svanite e di macrorealtà moderne ed effimere.
Ponte autentico tra Europa ed America, la figura e l'opera di Lorenzo
Da Ponte ancora raccorda, nel tempo e nello spazio, levità Veneziane
e Viennesi e presagi americani di nuova modernità.
NOTE
Questo saggio contiene brani modificati dell'articolo
Lorenzo Da Ponte in America, in "Il
Popolo Italiano", Ventnor, New Jersey, Marzo 1988 e della relazione
Lorenzo Da Ponte a
Filadelfia e Sunbury tra utopia e iperrealtò, presentata al "Convegno
Internazionale Lorenzo
Da Ponte, Vittorio Veneto (Treviso), 23-26 Novembre 1989". Si prefigge
di far emergere
l'importante ruolo di Da Ponte quale operatore culturale mentre l'articolo
e la relazione citati
mettevano in risalto, l'uno l'importanza attuale di una rilettura dell'opera
e della figura di Da
Ponte, l'altra le esperienze di Pennsylvania così come tramandate
nelle Memorie.
E' apparso con il titolo: Trans-Pontem: A Bridging Between Europe and
America by Lorenzo
Da Ponte nella Rivista Proceedings of the American Philosophical Society,
voI. 135, n° 3,
1991 (Filadelfia, U.S.A.).
1) Lorenzo DA PONTE, Memorie a cura di G. Gambarin e F.Nicolini, Bari,
1918, vol. Il, p.
6. D'ora in avanti citato "Memorie".
2) L. VILLARI, Mozart e il suo tempo, supplemento di "La Repubblica"
n. 118, Roma, 1987,
p. 26.
3) Tra questi ci furono F. Galiani, G. Filangieri, A. Genovesi, V. Cuoco,
M. Pagano, O.
Fantoni, C. Goldoni, V. Alfieri, G. Panni.
In modo particolare, F. Mazzei e L. Castiglioni narrarono dei loro viaggi
in America. La moda
12
dell'America diede precedenza, soprattutto, alla celebrazione di Benjamin
Franklin sulle orme dell'iconografia del famoso epigramma di F. TURGOT
"Eripuit coelofulmen sceptrumque lyrannis". In modo molto simile,
molti poeti italiani tessero l'elogio del fondatore e primo presidente
della Società Filosofica Americana e del Nuovo Mondo. Per esempio,
vedasi V. Monti nell'odeAlSig.rdi Montgolfier, "Rapisti al ciel le
folgori"; O. Panini nell'ode La recita in versi, "A Giove altri
l'armata / destra di fulmin spoglia..."; A. Mussi nella composizione
latina De virga Frankliniana,
Regina signis te Philadelphia
Subscribit immortalibus: "Hic Sophus, Hic il/e Frannklin, qui lyrannis
Sceptra, Jovi rapuitquefulmen"
("Filadelfia regina conserva il tuo nome con parole immortali: "Questi
è il Saggio, il famoso Franklin che rapì gli scettri
ai tiranni ed il fulmine a Giove");
L. Mascheroni nell 'ode Invito a Lesbia Cidonia, "Quindi osò
l'uomo condurre il fulmine vero / in ferrei ceppi e disarmò le
nubi". Anche V. Alfieri evocò Franklin con fervida ammirazione
in America libera, "Tu rapitor del fulmine celeste / ... Franclin
(sic), padre, consiglio, anima, mente / di libertà nascente".
G. Fantoni fece riferimento a Franklin come a un Bruto novello nell'ode
A Pa/miro Cidonio,
Dei Tiranni il giogo scuote lo sprezzato Americano
cui apprese il Pensilvano nuovo Bruto, a trionfar.
4) Cfr. J. Thomas SCHARF e Thompson WESTCOTT, Storia di Filadelfia, vol.
Il, Capo V,
Filadelfia, G.H. Events & Co., 1884.
5) Cfr. Memorie, cit., Il, p. 40.
6) Cfr. Memorie, cit., Il, p. 41.
7) Cfn. Memorie, cit., Il, p. 44.
8) Cfr. Memorie, cit., Il, p. 18.
9) Cfr. Memorie, cit., Il, p. 68.
10) Peter BROOKS, The Melodramatic Imagination, New Haven, Yale University
Press,
1976.
11) Per l'applicazione della teoria del "pacte autobiographique"
si veda Philippe LEJEUNE,
Le Pacte autohiographique, Parigi, Editions du Seuil, 1975. Secondo Enrico
Chierici
l'accusa di inaffidabilità e di interessata parzialità per
molto tempo ha velato ed ancora vela
il giudizio critico sulle Memorie. Questa accusa è nata dall'opinione
che l'autobiografia, e di
conseguenza le Memorie di Da Ponte, sia un genere semplicemente di puro
riferimento".
Chierici, mentre discute questa supposizione, procedendo dimostra come
il patto autobiografico, quale si configura in Lejeune, esista, nelle
Memorie, tra lettore e autore, e come ci sia
coerenza costante tra la trasformazione di una vita in romanzo, la fabula,
e l'autore/attore della
stessa. A questo proposito, si veda Enrico Chierici "Parlerò
di cose... pur tanto singolari",
relazione presentata al Convegno Internazionale su Lorenzo Da Ponte, Vittorio
Veneto, 23-
26 Novembre, 1989.
12) Cfr. Memorie, cit., I, p. 6.
13) Cfr. Paolo SPEDICATO "Ode ad un Uomo Senza Nome", relazione
presentata al
convegno internazionale "Omaggio a L. Da Ponte", Columbia University,
28-30 Marzo,
1988. Per quanto riguarda le molte vite e il destino di emigrante di D.P.,
questo critico
opportunamente scrisse di D.P. come di uno di questi emigranti tesi alla
costruzione di una
patria ideale, di una tradizione che travalica i confini di partenza e
conversa col mondo" (Paolo
13
Spedicato Recensioni, in "Lettere Italiane", VoI. I, Firenze,
Olscki editore, 1989, p. 161).
14) Cf. Fausto NICOLINI, "La vera ragione de/la fuga di Lorenzo da
Ponte da Venezia",in "Archivio Storico Italiano", voi.
XIV, 1930.
15) Aldo Toffoli. Cf. Giampaolo ZAGONEL. Lettere di Da Ponte a Giacomo
Casanova, prefazione di Aldo Toffoli, Vittorio Veneto, D. De Bastiani
Editore, 1988, p. 10.
16) Tra essi ci furono F. Mazzei, C. Castiglioni, G. Baretti, V. Mantinelli,
L. Angiolini, G. Gorani, G.L.Banconi, 5. Scrofani, F. Algarotti, C. Goldoni,
V. Alfieni. Quando le persone di cultura per eccellenza erano anche uomini
di chiesa, tra questi emigrati e viaggiatori vi erano, oltre a D.P., parecchi
preti secolarizzati, A. Conti, A. Bertola, P. Fnisi, 5. Bettinelli, A.
Fortis, F. Galiani, O. Casti.
17) Cfr. Memorie, cit., Il, p. 48.
18) L'elenco degli scritti di D.P. per il periodo 1819-1838, accanto alle
Memorie, comprende:
An Extractfrom the L(fe of Lorenzo Da Ponte, with the History of Several
Dramas written by him, and among others, 1/Figaro, Il Don Giovanni, &
La scola degli amanti, set to music by Mozart; Sull'italia. Discorso apologetico
di Lorenzo da Ponte in risposta alla lettera dell'Avvocato Carlo Phillips
al Re d'inghilterra, e la sua traduzione; La Profezia di Dante di Lord
Byron (traduzione); Catalogo ragionato de 'libri che si trovano attualmente
nel negozio di Lorenzo e Carlo Da Ponte; Critique on certain passa ges
in Dante; Economia della vita umana, tradotta dall'inglese da L. Guide/li:
resa alla sua vera lezione da L. Da Ponte; Alcune osservazioni sull'articolo
quarto pubblicato nel North American Review il mese d'ottobre dell'anno
1824; Storia della lingua e della lettteratura italiana in New York; Catalogue
of Italian books, deposited in the New York socieiy,for the permanent
use ofL. Da Ponte 'spupils and subscribers; Alcune poesie di Lorenzo Da
Ponte; Versi composti da Lorenzo Da Ponte per la morte d'Anna Celestina
Ernestina, sua virtuosissima e adorata consorte; Storia della Compagnia
dell'Opera Italiana condotta da Giacomo Montresor in America in agosto
dell'anno 1832; Storia incredibile ma vera; Frottolaperfar ridere; Storia
americana ossia il lamento di Lorenzo Da Ponte quasi nona genario al nona
genario Michele Colombo.
19) Nel 1825, grazie alla raccomandazione di Clement C. Moore, D.P. fu
nominato professore di letteratura italiana al Columbia College. Senza
stipendio fisso, "gli era permesso di ricevere un ragionevole compenso
dagli studenti (che frequentavano) le sue lezioni" (dalle minute
del convegno dei Fiduciari del Columbia College il 6 giugno 1825, come
riferito in Joseph L. RUSSO, Lorenzo Da Ponte: poeta ed avventuriero.
Nel primo anno, 28 studenti frequentarono le sue lezioni, ma l'anno seguente
nessuno studente fece questo corso facoltativo. A D.P. non interessava
venir associato all'università in tal modo. Dopo tutto, le lezioni
private che impartiva a casa propria attiravano molti dei migliori studenti
di New York. Quando egli rassegnò le dimissioni dall'insegnamento
alla Columbia, queste non vennero accettate ed egli rimase professore
dell'università per il resto della vita. Questa situazione paradossale
suggerì a D.P. di rispondere agli studenti che l'avevano invitato
ad uno dei banchetti annuali del College cui non potè essere presente
con il famoso ghinibizzo latino "Sumpastor sine ovibus... Professor
sine exemplo (Sono pastore senza pecore, professore senza studenti). Il
rapporto di D.P. con il Columbia College fu tuttavia estremamente significativo
per l'influenza intellettuale, riconosciuta dai membri della facoltà
e dell'amministrazione che erano stati suoi allievi e che tennero vivo
il suo nome come quello del precursore degli studi italiani in America.
Oggi una cattedra di studi italiani alla Columbia University porta il
suo nome.
20) Cfr. Sheila HODGES, Lorenzo Da Ponte, The life and Times of Mozart's
Librettist, Universe Books, New York, 1985, p. 217. Edizione italiana:
Lorenzo Da Ponte. La vita e i tempi del librettista di Mozart. Vittorio
Veneto, H. Kellermann, 1992, p. 241.
21) Cfr. ibid., p. 218.
22) Cfr. ibid. p. 223.
23) "BelI' idioma" in italiano nel testo. Cfr. Henry i. Anderson,
lettera a John Vaughan, 15
14
settembre, 1929, Manoscritto, Misc. Ms. coli., American Philosophical
Society. H.J. Anderson, allora professore di matematica e astronomia al
Columbia College, nel 1831 sposò la figlia di Da Ponte, Fanny.
24) Cfr. Sheila HODGES, op. cit., p. 198. (Ed. it. p. 221) Clement C.
Moore, amico sempre leale e sostenitore di Da Ponte, fu amministratore
del Columbia College e figlio del primo presidente del College, il vescovo
Benjamin Moore. Fu l'autore del popolare Twas the night before Christmas
(Era la notte di Natale).
25) Cf. Memoirs ofLorenzo Da Ponte, translatedfrom the Italian by Elizabeth
Ahbott, edited and annotated by Arthur Livingston, Philadelphia and London,
J.B. Lippincott Co., 1929, p. 363 n
Palazzo Cesana dalla piazza visto da est.
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