GIUSEPPE PALATINI
FARMACIE DI UNA VOLTA
L'evoluzione economico-sociale e conseguentemente del costume della popolazione
italiana, evoluzione che ha avuto il suo periodo più tumultuoso
negli anni '60, è ben nota ed è facilmente comprensibile
quale sia stata la spinta che ha dato al cambiamento delle farmacie.
Altrettanto nota è l'evoluzione della ricerca nel campo dei farmaci:
tralasciando antibiotici, cortisonici, ipoglicemizzanti, pensiamo ai nuovi
gastroprotettori (gli antagonisti H2 istaminici e gli ancor più
recenti inibitori della pompa protonica), pensiamo al primo vero ipocolesterolemizzante,
entrato in terapia da un paio d'anni, o all'ultima generazione di antipertensivi
e confrontiamo ad esempio l'uso di questi ultimi con la romantica irudoterapia.
Ora, per cercar riscontro a queste tumultuose evoluzioni consideriamo
una farmacia così come oggi si presenta: in una media farmacia
(ricordiamo che la legislazione vigente prevede per le aree urbane una
farmacia ogni 4.000 abitanti), lavorano 4-5 persone; 2 o 3 a contatto
col pubblico, una intenta a compiti amministrativi, una o due certamente
impegnate nella ricezione, nel controllo e nel rifornimento dei farmaci,
naturalmente a ruoli non rigidi. Quasi sempre non manca il supporto dell'informatizzazione.
Oltre l'orario d'apertura restano da eseguire le preparazioni magistrali
(ritornate abbastanza numerose, almeno per chi vi presta attenzione);
rimane Pesame della posta e delle frequenti circolari con i continui cambiamenti
e controcambiamenti che annunciano; rimangono gli adempimenti fiscali,
finanziari e commerciali. Rimane, secondo coscienza del farmacista, la
GIUSEPPE PALATINI, titolare dell'omonima farmacia in via Cavour di Vittorio
Veneto, dove continua la professione paterna. La vecchia Farmacia Palatini
era in via Roma.
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lettura delle periodiche pubblicazioni professionali, la documentazione
sui farmaci nuovi o sui temi che si sono presentati. Si può anche
non farlo, ci si può concentrare solo sui sempre più frequenti
articoli di marketing, di corretta gestione del magazzino, di ottimizzazione
delle vendite; la farmacia va avanti egualmente, ma l'immagine è
ben diversa.
È risaputo che molte persone, specie le persone anziane, cercano
ancora in farmacia una prestazione individuale, che può tradursi
nell'interpretazione di un responso specialistico, in un consiglio su
una piccola patologia, su una dieta da seguire, a volte sulle cose più
strane e impensate. Per queste persone un'ulteriore evoluzione che spingesse
la farmacia verso un modello tipo drugstore americano sarebbe senz'altro
una perdita.
Per ritornare al cambiamento del costume, pensiamo al concetto di salute
di ieri e di oggi: ieri per salute si intendeva assenza di stato patologico,
anzi assenza di stato patologico grave, oggi per salute s'intende stato
di benessere fisico e mentale, piena efficienza fisica, aspetto estetico
non intaccato: fra dermatologia e cosmesi il confine è molto incerto.
La cosa, di per sé positiva, ha portato ad aggiungere ai bisogni
essenziali, necessità del tutto marginali, se non fittizie, create
a scopo di espansione commerciale. Di questo troviamo riscontro nella
diffusa pubblicità di prodotti paraterapeutici, pubblicità
spesso redazionale, cioè nascosta in articoli dal tono scientifico.
È una strategia cui ricorrono anche le più grandi multinazionali
del farmaco, tipo Hoffmann La Roche, Bayer, Ciba-Geygi, ormai tutte dotate
di una loro linea benessere. Il prezzo che impongono a questi loro prodotti
ha scarso rapporto col costo di produzione, ma è attentamente studiato
sulla base del coinvolgimento emotivo suscitato. Se poi volgiamo lo sguardo
alla veterinaria, notiamo che la massa dei "pazienti" non è
più costituita da animali dal significato economico, ma da animali
di affezione e di moda, per i quali si fanno, e non di rado, chiamate
notturne.
Fatte queste premesse e visti alcuni aspetti attuali, è ora il
momento di entrare in una farmacia di ieri: notiamo innanzitutto gente
seduta in paziente attesa (nella mia vecchia farmacia c'erano 5 posti
a sedere), poi una persona, mai giovanissima, dietro il banco di noce,
che ostenta un atteggiamento professionale. A costui, un pratico di lunga
esperienza, che si destreggiava con più dimestichezza del titolare,
erano affidati il primo contatto con la gente e l'evasione delle normali
richieste. Talvolta diveniva un'istituzione e rimaneva in forza alla farmacia
per anni e anni anche all' avvicendarsi dei titolari. I Vittoriesi, a
tal proposito, ricorderanno un tale dalla corporatura un p0' pesante,
l'aria dotta, di nome Narciso, vera colonna di una farmacia di Ceneda
per lungo tempo.
Il titolare si vedeva solo su motivata richiesta, poichè svariati
compiti lo tenevano impegnato all'interno. Vediamone alcuni: nei momenti
di maggior impegno professionale era intento a preparare farmaci di particolare
importanza ed in alte attività come l'infuso di digitale, dalle
foglie, prima
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controllate al microscopio per accertare l'assenza di sofisticazioni,
delle Digitali purpuree. È un medicamento cardiocinetico a tutt'oggi
insostituibile, solo che non occorre più prepararlo, basta togliere
da un cassetto una scatola di "Lanoxin", o "Lanitop".
Da ricordare che il controllo qualitativo e la determinazione del titolo
delle sostanze era incombenza fondamentale, per la quale il fannacista
doveva ricorrere a tutta la sua attenzione e la sua preparazione scolastica.
Altro classico esempio di preparazione era il "Liquore arsenicale
del Fowler" a partire dall'anidride arseniosa, rimedio canonico nelle
anemie, nelle astenie fisiche e nervose, persino nella malaria e nella
turbercolosi.
L'arsenico era ritenuto ricostituente principe e degno di gran diffusione,
tanto che molti dovevano essere allora gli emuli di Mitridate. Oltre a
questi classici, ogni farmacista curava un suo formulano particolare,
anzi un formulano particolare della farmacia, che ereditava dal suo predecessore
e maestro ed arricchiva con le proprie esperienze e con la raccolta di
ricette degne di nota. Ecco a tal proposito alcuni esempi interessanti
e curiosi tratti da un vecchio formulano della mia farmacia, fortunatamente
sopravvissuto; si può notare che i temi trattati non riguardano
soltanto la terapia, ma le più svariate necessità tecniche
di allora:
Acquavite alemanna aromatica
Gialappa polvere g. 40,
Turbitto radice contusa g. 20,
Scammonea di Aleppo polv. g. 5,
Cannella Ceylon,
Garofano chiodi,
Sandalo legno polvere g. 2.50,
Zucchero-Alcole-Acqua
(Preparazione purgativa tra le più drastiche)
Afrodisiaco per bovine
Cantaridi polvere g. 1,
Lauro bacche polvere g. 20,
Pepe nero polvere g. 4
Mescola e dividi in due parti. Somm. e distanza di un'ora una dall'altra.
Calice di Faust (miscela esplosiva
forse per rappresentazioni)
Clorato potassa g. 6,
Permanganato potassa g. 2,
Saccarosio g. 2,
Nitrato stronziana g. 0,75.
Inchiostro al vanadio
Tannino g. 100,
Vanadato ammonico g. 4,
Acqua g. 1000
(Ha tinta azzurro intenso brillante. Utile per penne stilografiche)
Sviluppi fotografici
Acqua distillata g. 400,
Solfito di sodio g. 40,
Carbonato di sodio puro g. 65,
Idrochinone g. 4
Viraggio fotografico economico
Sodio iposolfito g. 250,
Acido citrico,
Acetato di Piombo anag 3,
Allume crudo g. 20,
Acqua distillata g. 1000,
(Filtra il liq. lattiginoso)
Vino artificiale
Zucchero bianco g. 1.100,
Cremor tartaro g. 180,
Ac. tartarico g. 360,
Fiori di melo g. 260 (o uva passa Kg. 1),
Fiori di sambuco g. 30,
Sale cucina g. 130,
Aqua fontis litri 70
Lascia a riposo per 5 giorni
(Senza alcool - indicato per cirrotici).
Pomata profilattica contro la sifilide
(da pubblicazione di medicina)
(Gazète hebdomadaire des Sciences médicales de Bordeaux
1925 n° 9)
Cianuro di Mercurio g. 0,10, Timolo g. 1,75,
Calomelano (cloruro mercuroso) g. 25, Lanolina g. 50, Vaselina quanto
basta a g. 100
"Da osservazioni fatte su 692 individui, che si sono esposti nelle
più gravi condizioni al virus sifilitico, e sotto il controllo
di medici militari,l'A. è arrivato a queste conclusioni: "Nessuno
di coloro che hanno usato correttamente questo metodo di disinfezione
ha contratto malattiavenerea. Per quanto si possa essere scettici, tali
risultati invitano a provare (sic!)".
Vorrei ricordare anche un paio di prescrizioni della vecchia veterinaria
gentilmente datemi da un amico veterinario.
Preparazione "viscigante" del
Dr. Pedrone per bovino con sbirro anteriore (affezione dei
legamenti del ginocchio):
Cantaride polvere g. 15,
Euforbio g. 5,
Petrolio g. 25,
Olio oliva g. 30.
L'Euforbio è la resina di una pianta africana ad
azione fortemente revulsiva.
Le Cantanidi, conosciute fin dall'antichità e dette appunto in
greco Kantharfdes, sono insetti imenotteni che vivono in colonie numerose
sui frassini nell'Europa meridionale: Romania, Ucraina, anche in Sicilia.
Di un bel colore verde-azzurro, sono lunghe 2-3 cm. Arrivavano in farmacia
intere per evitare sofisticazioni. Dopo aver controllato con opportuni
saggi che non fossero esaurite con solventi, si polvenizzavano in mortaio
usando le dovute cautele.
Mi raccontava ancora lo stesso amico che per la cura delle affezioni urinarie
era pratica di comune uso somministrare agli animali un decotto di radice
di panietaria (il diffuso variol da muro). Nelle affezioni delle vie respiratorie
degli equini invece si procedeva così: si introduceva in un sacco
di iuta un secchio con braci sul fondo, vi si gettava sopra una manciata
di bacche di ginepro e si legava l'imboccatura del sacco attorno al muso
del cavallo.
Rimane ancora da dire che talvolta le formule non solo erano
particolari di una determinata farmacia, ma erano anche destinate ad un
determinato cliente: erano, come si dice con un neologismo, personalizzate.
Riporto qualche esempio:
"Unguento antiemorroidanio De Carlo", formula esclusiva per
il Comm. Camillo De Calo, nota personalità serravallese, M.O. del
'18, Podestà di Vittorio dal 1931 al 1938.
Prevedeva ben 10 componenti la "Crema imbiancante peli del viso ma",
prototipo dei tanti prodotti cosmetici oggi reperibili in farmacia. E
si
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potrebbe continuare.
Naturalmente non tutte le preparazioni erano eseguite dal titolare: per
le più comuni egli pesava i farmaci ed assegnava il compito ad
un inserviente che sorvegliava di tanto in tanto.
Perché era suo compito quasi giornaliero intrattenersi con le persone
amiche e di una certa posizione sociale all'interno della farmacia, beninteso
centellinando la china di sua formula ed aprendo sulla scrivania il vaso
delle caramelle balsamiche, di preparazione anche queste. D'inverno si
dava da annusare il mentolino posto sul dorso della mano ed intanto si
scambiavano impressioni sui fatti di rilievo. Nei piccoli paesi poteva
avvenire che nel retro della farmacia prendessero corpo le decisioni di
pubblico interesse.
Di certo non era compito del farmacista di allora preoccuparsi di questioni
amministrative. I pochi movimenti di stupefacenti si registravano una
volta al mese e poche erano le voci. Registri fiscali non esistevano;
non c'erano IVA, partite doppie, prime note. Ma se non erano i compiti
amministrativi ad assillare il farmacista di allora, era invece per lui
un bel grattacapo la riscossione dei crediti, dal momento che i pagamenti
differiti erano assai numerosi.
E ciò non tanto per propensione all'insolvenza da parte della gente
del popolo, quanto per la limitata disponibilità di danaro e solo
in pochi momenti dell'anno. Per far valere i propri diritti, dopo un po'
d'anni, occorreva chiamare in aiuto la legge. Nella soffitta della mia
vecchia farmacia vi era una cesta di citazioni: ne ho conservate alcune,
sarebbe curioso prenderne visione. Riferisce ad esempio un "Atto
di citazione per biglietto" che ad istanza del farmacista Alessandro
Garolla (mio predecessore di allora), il sottoscnitto usciere addetto
all'Ufficio del Giudice Conciliatore di Vittorio, tale A. Dal Mas, cita
la Sig.ra De Nardi Maria vedova Piccin detta Paja, domiciliata a Savassa,
a comparire personalmente, o col mezzo di procuratore munito di regolare
mandato, davanti al Regio Giudice Conciliatore di Vittorio nel giorno
29 Sett. 1900, alle ore 8 antim., per rispondere sul "pagamento di
L. 25,30 in causa residuo medicinali somministrati a tutto l'anno 1894.
Rifuse le spese".
Non tralasciando di avvertire il biglietto medesimo che, mancando di comparire
le parti un'ora dopo quella stabilita, "avrà luogo il giudizio,
il quale sarà di ragione contro il contumace a sensi e per gli
effetti dell'Art....".
Ricordiamoci di essere da poco entrati in una vecchia farmacia, rivolgiamo
ora la nostra attenzione al banco: vi vediamo un paio di bilancine sempre
in funzione ed accanto, in posizione privilegiata, data la frequenza d'uso,
la bottiglia dell'olio di ricino, dalla classica forma con gocciolatoio
e tappo smerigliato. E a fianco di questa, in analoghi recipienti, l'olio
di mandorle e la cosiddetta "vermolina" (essenza di chenopodio
in olio di ricino) dal piacevole color rosso (finche non si assaggiava,
poi passava anche il piacere di guardarla). Ecco qui lo spunto per un'ulteriore
considerazione sull'evo-
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luzione del costume: oggi nell'allestimento delle forme farmaceutiche
si mira alla cosiddetta "compliance" del paziente, poiché
si ritiene che l'assunzione gradita influenzi favorevolmente la terapia;
ieri per l'effetto psicologico si ricercava il gusto o la via di somministrazione
spiacevole, perché era ovvio che un vero beneficio non si poteva
avere se non con sacrificio.
Tutt'intorno al banco, in vetninette, trovavano posto i classici vasi
di porcellana con la scritta in oro e le bottigliette degli estratti fluidi
e delle tinture. E nei cassetti, a portata di mano, le sostanze più
frequentemente richieste:
- farina di lino e di senape, usate per la preparazione dei famosi cataplasmi;
- solfato di magnesio, detto "Sal canal" o "Sal da puine",
a seconda dell'uso catartico o caseario (fa floculare le albumine del
siero di latte) che se ne volesse fare;
- solfato di sodio, detto, ma in termini più rustici, "sale
da maiali", di elettivo uso veterinario, ma spesso usato sempre a
scopo catartico anche dagli esseri umani, perché considerato più
drastico;
- sale di Kalsbad (dalla celebre città termale boema, oggi Kalovivary),
detto popolarmente "sal de sgarba", sempre solfato di sodio,
ma in cristalli grossi, dotato, secondo tradizione, di proprietà
depurativa del sangue. Si vende tutt' ora, solo che oggi, ahimè!,
è ottenuto artificialmente, mentre fino a tempi non tanto lontani
arrivava proprio da Karlsbad o dalla vicina Manienbad. In quelle terme
e con quel sale si ritempravano il corpo e lo spirito Pietro il Grande
di Russia, Maria Teresa d'Austria e Giuseppe Il, imperatore illuminista.
E restando in tema, dal momento che l'intestino dopo il cuore era ed èl'organo
che merita maggior attenzione: polpa di tamarindo, polpa di cassia, semi
di lino, foglie di sena, manna, manna con sena, infuso di Vienna, polvere
di liquirizia composta, limonata citromagnesiache, magnesia semplice o
effervescente e qui ti voglio, perché quell"effervescente"
era un termine solo per gente colta, altrimenti suonava come "servesente,
fosforescente, spumante"; una volta mi son sentito dire "sfisiante",
ma la locuzione di gran lunga più usata era e talvolta ancora è:
"magnesia, anzi manesia, de quea che boie" e "manesia de
quea che no boie".
E poi unguenti vari: vaseline saliciliche, glicerolato d'amido, ittiolo
in varie percentuali, unguento populeo (preparato con gemme di pioppo
macerate, per le emorroidi), unguento di belladonna, jodurato, stibiato,
mercuriale, fino al famoso, tutt'ora di lago impiego e di sicura efficacia
in veterinaria, unguento solfo-alcalino di Helmenich contro la scabbia
(o rogna). Mi riferisce mio padre che negli ultimi anni di guerra e nei
primi del dopoguerra era tale la richiesta che doveva prepararlo all'esterno
in caldaia da bucato.
Questi son solo alcuni esempi, ma prima di chiudere è doveroso
un accenno ad un presidio terapeutico di grande tradizione: la Sanguisuga
o
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Mignatta o Hirudo medicinalis, da cui il nome altisonante di irudoterapia
dato a tale pratica.
Per le modalità di applicazione val la pena di consultare un vecchio
compendio dei medicamenti, il Medicamenta IV edizione anno 1933 pag. 2542,
il quale recita:
"Per applicare le sanguisughe, si tolgono dall'acqua, si asciugano
con un pannolino fino, poi si pongono in un piccolo bicchiere che si capovolge
in modo che la bocca del bicchiere adenisca alla pelle. Se la parte del
corpo non permette l'applicazione del bicchiere (gengive, collo uterino),
si ricorre allora a tubi speciali, un po' appuntiti ad un estremo. Vi
si introduce la sanguisuga per l'apertura grande e si costringe ad uscire
con la testa dall'apertura più piccola, spingendola dolcemente
con una bacchetta di vetro. Per eccitare le sanguisughe venne consigliato
di bagnare la pelle con latte zuccherato, oppure di strofinarla con sugna
di maiale. Meglio senz'altro pungenla, onde gema qualche gocciolina di
sangue: ivi le sanguisughe si attaccano facilmente. È molto in
uso anche bagnare d'aceto o d'altra cosa disgustosa per le sanguisughe
il fondo del bicchiere, perché esse fuggendo-ne, si fissino alla
cute su cui poggia l'orlo. Le sanguisughe che hanno già servito
si devono gettare. L'impiego di sanguisughe, che già servirono
a cavar sangue, fu spesso causa di contagio di malattie".
Non meravigli quest'ultima raccomandazione, poiché era costume
diffuso recuperare le sanguisughe ponendole sulla cenere calda del focolare,
affinchè nigettassero il sangue appena succhiato.
Un'occhiata al retro farmacia fa sì che ci colpisca l'abbondante
strumentazione tanto usata in passato: vetreria d'ogni tipo, montai d'ogni
grandezza, stampi in ottone per ovuli e supposte, stufette e bagni-maria
in rame, percolatori e piccoli torchi per l'estrazione di droghe vegetali.
Attira la nostra attenzione un curioso strumento in legno ed ottone: la
pilloliera, una tavoletta dotata di opportuni accorgimenti, portante uno
stampo a nicchie. Per la preparazione delle pillole si procedeva così,
con eccipienti adatti si creava una massa molle contenente i principi
attivi, si dava a tale massa la forma di un lungo cilindro detto "maddaleone"
(dal greco magdalià, pallina di mollica di pane che gli antichi
greci solevano formare per detergersi le dita dopo i banchetti), il quale,
steso sullo stampo di ottone, veniva suddiviso in tante parti quant'erano
le nicchie sovrapponendo il controstampo. Alle singole frazioni si dava
poi forma sferica, come vuole l'etimologia del nome pillola, plasmandole
tra due dita. Per evitarne l'adesione, le pillole venivano infine rivestite
con polvere di liquirizia di color giallo-oro; di qui il modo di dire
traslato: "indorare la pillola".
Spicca tra la vetreria un singolare apparecchio di vetro a tre camere
sferiche sovrapposte e opportunamente comunicanti tra loro, l'apparecchio
di Kipp, dal nome dell'inventore, un chimico olandese dell'800. Classico
esempio di strumento di farmacia, considerata come laboratorio chimico
per
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la sintesi di farmaci, consente la produzione di sostanze gassose, principalmente
acido solfidrico, noto per il caratteristico odore d'uova marce. Grazie
ad una procedura di ingegnosa semplicità, permette di ottenere
una corrente regolabile ditale gas e di preparare in tal modo la cosiddetta
soluzione solfidrica, usata in passato come antidoto negli avvelenamenti
da sali di metalli pesanti (Arsenico, antimonio, piombo, mercurio), dando,
con questi, solfuri insolubili in acqua e nell'acido cloridrico gastnico.
Non sorprenda questa necessità, dato il largo uso in terapia di
composti di arsenico, del suddetto tartaro emetico contenente antimonio;
quanto al piombo, più d'uno avrà certo ingerito la famosa
acqua vegeto-minerale, scambiandola per latte. Rimanendo in tema, ricordiamo
che il capitolo dei piccoli avvelenamenti domestici (e non sempre piccoli),
dovuti a distrazione o imprudenza, era una volta assai ampio.
Consideriamo che non esistevano recipienti a perdere e le disparate bottiglie
venivano accantonate e niusate, restando il contenuto individuato dal
luogo dove venivano poste. I liquidi scambiati non erano per lo più
latte, ma vino e acquavite, sostanza quest'ultima di pronto intervento
ne~ vari malesseni spesso notturni. Ricordo,tra disavventure del genere
occorse a miei clienti: un'ingestione di acqua ragia, di soluzione di
DDT (venduta in farmacia dietro richiesta di "Flit" per il noto
strumento a stantuffo), e più d'una di ipoclorito, la "vaechina",
un classico. Abbiamo in precedenza nominato un celebre prodotto, l'elisir
di china, la cui preparazione ogni farmacista curava con particolare impegno,
sia per la vendita, sia per l'uso interno, nella consapevolezza che tale
prodotto era tra quelli che più definivano l'immagine della sua
farmacia.
Ogni farmacia si tramandava una sua formula, aggiustata secondo il criterio
e la sensibilità del titolare, poichè molte sfumature sono
possibili di contorno alla base, che è l'impiego della corteccia
dell'albero della china, pianta questa tra le più benemenite della
salute dell'umanità. Noi la conosciamo e l'apprezziamo perché
ci concede una bevanda gradevole, dall'azione eupeptica, tonica e stimolante,
ma dimentichiamo che ci dà innanzitutto due principi fondamentali
in terapia: la chinina e la chinidina. 11 primo, la chinina, di enorme
importanza storica come antimalarico e antipiretico ed ancora attuale
perché efficace nell'85% dei casi di malaria da Plasmodium falciparum
(là terzana maligna) resistente alla clorochina, (la malaria che
ha causato i recenti decessi fra i turisti del Kenia).
Il secondo, la chinidina, o i suoi derivati, tuttora di primaria importanza
nella terapia delle aritmie cardiache, dalle extrasistoli alle fibrillazioni.
accade invece per l'inchiostro, ma deriva dal termine dell'idioma quechua
"Quina-quina" con cui gli indios andini indicavano questa pianta,
di cui conoscevano le proprietà febbnifughe.
L'habitat originario del genere Cinchona nelle sue varie specie è
infatti la zona andina equatoriale corrispondente agli alti bacini del
Rio delle Amazzoni e dell'Oninoco. Per l'insufficiente produzione spontanea
la pianta fu introdotta nel Camerun, a Ceylon e a Giava e qui coltivata
su larga scala con innesti e studio di ibridi. Purtroppo gli indios andini
han trovato più remunerative colture.
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