Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°5 - 1990 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
GIORGIO FOSSALUZZA


PER L'IDENTIFICAZIONE DI UN FRESCANTE LOCALE DI
METÀ QUATTROCENTO: GIOVANNI ANTONIO DA MESCHIO

Tra i documenti del carteggio Troyer, presso la Biblioteca civica di Vittorio Veneto, si conserva un foglio di mano dello stesso Francesco Troyer, o di altro contemporaneo erudito locale di fine Ottocento, Carlo Graziani, con la riproduzione "diplomatica" di un'iscrizione in origine apposta nella distrutta chiesa di San Pietro a Ceneda, ubicata lungo il percorso principale di accesso al castello vescovile di San Martino, la quale era già stata in parte trascritta a fine Settecento da Carlo Lotti (1). La conoscenza ditale documento, o piuttosto ancora la diretta lettura dell'iscrizione prima della sua scomparsa con la totale demolizione della chiesa avvenuta non prima del 1925, consentì anche a Camillo Fassetta di pubblicarne un estratto nel 1917, essendo in grado di precisare la collocazione di essa sopra la porta di accesso all'edificio sacro, quindi sulla controfacciata, senza specificare se si trattasse di una iscrizione lapidea oppure eseguita ad affresco (2 ). Si apprende pertanto che a seguito dei lavori di nuova copertura e soffittatura dell'oratorio, promossi da una confraternita ivi preposta, il vescovo di Ceneda, Pietro Leoni, procedette alla sua consacrazione nel mese di giugno del 1450; oltre a ricordare tale evento e i lavori murari compiuti, l'iscrizione documenta anche il nome della maestranza che vi compì la decorazione pittorica, tale "Iohannes Antonius de Misco" (31. Al modo seguente può essere trascritta e ordinata la riproduzione dell'iscrizione dal carteggio Troyer, in cui si sottolinea la lacunosità del testo originale:


GIORGIO FOSSALUZZA, storico dell'arte, autore di saggi sulla pittura veneta, in particolare del Cinquecento; collabora alle riviste "Arte Veneta" e "Arte Cristiana".

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L'interesse di questa iscrizione, quindi, oltre che più strettamente storico, riguarda direttamente le vicende artistiche locali conservandoci il nome di un artista e una data di riferimento precisa della sua attività, per ora non altrimenti nota documentariamente, nè registrata in fonti antiche cenedesi. Ma la sola riesumazione di un nome di pittore, senza il riscontro in opere che ne accertino l'identità stilistica, avrebbe ben diverso interesse, se non quello di supporre una qualche vitalità artistica in una determinata zona, lasciando sempre anche il dubbio della sua reale qualificazione professionale. Nel caso di Giovanni Antonio da Meschio si possono, invece, collegare al nome le opere, riconoscendogli i due affreschi staccati, provenienti dall'oratorio di San Pietro a Ceneda, e acquisiti dal Museo del Cenedese di Vittorio Veneto; si tratta di una "Madonna col Bambino in trono tra i santi Pietro e Paolo" (fig. 1) e di un trittico con la raffigurazione di San Sebastiano tra i santi Cosma e Damiano" (fig. 2), in discrete condizioni di conservazione(4). A confortare questa tesi di abbinamento nome-opere, in verità già proposto in passato, è certo fondamentale il dato della provenienza dei due affreschi, ma lo è, ovviamente, quantomeno altrettanto, anche il convenire dei dati stilistici che essi manifestano ad una data del 1450 e ad un artista di esperienza locale. Vi si deduce, infatti, ad una loro considerazione stilistica, finora trascurata, una sorta di riflessione, qualitativamente si direbbe quasi un ripiegare inventivo, sul testo pittorico più importante per questo ambito geografico in fase tardogotica, quale il ciclo di affreschi dell'oratorio annesso all'antico ospedale della Scuola di Santa Maria dei Battuti a Serravalle, dedicato a San Lorenzo, la cui datazione rientra tra la metà del quarto decennio del secolo fino ad un termine ante quem del 1446(5). Giovanni Antonio da Meschio dimostra da un lato di ricorrere, con scarsa originalità, ad una ambientazione scenica tra le più scontate, creando fondali architettonici che ripropongono il repertorio più comune di elementi traforati tardogotici, con qualche sommarietà disegnativa, ma che almeno raggiungono un effetto decorativo, affidato anche alla cortina muraria di mattoni a vista. È nell'articolazione formale delle sue figure che egli dimostra piuttosto timidamente una più aggiornata semplificazione degli stereotipi linearistici tardogotici, scegliendo movenze più lente e cadenzate, orientamenti di tre quarti, per svincolarle spazialmente dal fondale, panneggi dalle pieghe che talvolta di preferenza appiombano, torniture dei volti di qualche sintesi volumetrica, dovuta alla

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gradualità dei passaggi cromatici, senza peraltro che presentino una più sentita umanizzazione o particolari variazioni di caratteri espressivi. Una possibilità di più articolata valutazione delle qualità di questo artista a rimorchio di uno dei momenti più interessanti della pittura quattrocentesca nel Cenedese, viene ora dall'esame comparato degli affreschi recentemente rinvenuti nel corso del restauro architettonico per il recupero dell'originario oratorio di San Michele di Salsa, che qui si propongono con attribuzione allo stesso Giovanni Antonio da Meschio (6). In riferimento allo sviluppo architettonico originario dell'oratorio di San Michele, poi adibito ad abitazione privata che ne comportò pesanti manomissioni, si è rinvenuto sulla parete di destra della navata l'affresco con "La Madonna in trono tra san Sebastiano e san Bernardino da Siena" (fig. 3), sulla stessa parete, dopo la porta di accesso laterale, si è rinvenuta la raffigurazione di "San Giovanni Battista" (fig. 4), e in prosieguo almeno le tracce di un'altra "Sacra conversazione" di cui rimangono porzioni di un trono su cui doveva essere collocata la "Madonna col Bambino" e di un "Santo vescovo", al lato destro. Sulla parete di imposta dell'arco del presbiterio, a destra, èemersa l'immagine mutua di "San Michele arcangelo che pesa le anime". Questa sequenza di raffigurazioni ad affresco, appartenente ad un'unica campagna decorativa, è collegata alla base da una decorazione sempre a buon fresco che propone una serie come di tarsie marmoree policrome (rosso-giallo e verde-giallo), contornate da profilature scure. La decorazione murale dell'oratorio prosegue sulla parete sinistra con 1 "Ultima cena" (fig. 5), leggibile limitatamente alla metà di destra, poiché la rimanente cade in una porzione di parete non compresa nell'attuale fase di restauro. Segue la raffigurazione in gran parte perduta della "Flagellazione di Cristo" e quella della "Resurrezione di Cristo", mutua nella parte bassa. Il riconoscimento di Giovanni Antonio da Meschio come autore di questi affreschi appare indubitabile per l'evidente identità stilistica con quelli provenienti da San Pietro che ce ne tramandano il nome, e a maggior ragione, si può osservare, proprio trattandosi di impostazioni formali estremamente semplificate. Ciò non esclude, d'altra parte, che si possano avanzare anche alcune distinzioni di carattere tecnico esecutivo riguardo ad essi. In concreto, si avverte una definizione disegnativa meno netta e semplificata negli affreschi della parete sinistra ("Ultima cena", "Flagellazione"e "Resurrezione"), per il ricorso ad una stesura pittorica mediante pennellate larghe e sintetiche in virtù delle quali emerge negli incarnati un tratto largo di rosso e verde con cui si tenta di conservare la costruzione disegnativa e di creare conseguentemente una qualche maggiore scansione nei risalti plastici. È questa una tecnica che porta a risultati che comunque, in certa misura, sono espressi anche negli affreschi già in San Pietro a

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1) Giovanni Antonio da Meschio, Madonna col Bambino in trono tra i santi Pietro e Paolo, Vittorio Veneto, Museo del Cenedese. Affresco staccato, proveniente dall'oratorio di San Pietro di Ceneda.

2) Giovanni Antonio da Meschio, San Sebastiano tra i santi Cosma e Damiano, Vittorio Veneto, Museo del Cenedese. Affresco staccato, proveniente dall'oratorio di San Pietro di Ceneda.

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3) Giovanni Antonio da Meschio, Madonna col Bambino in trono tra san Sebastiano e Bernardino da Siena, Salsa di Vittorio Veneto, ex oratorio di San Michele.


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4) Giovanni Antonio da Meschio, San Giovanni Battista, particolare, Salsa di Vittorio Veneto, ex oratorio di San Michele.

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5) Giovanni ANtonio da Meschio, Ultima Cena, particolare, Salsa di Vittorio Veneto, ex oratorio di San Michele.

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Ceneda. I rimanenti affreschi dell'oratorio di San Michele mostrano sì un potenziamento dei valori di contorno delle figure, ma nello stesso tempo anche una più organica gradualità cromatica, si direbbe, pertanto, nel complesso, una definizione addirittura più matura, naturalistica.
Sono comunque osservazioni su varianti prettamente tecnico
- esecutive tali da non incrinare, forse, l'ipotesi di una stessa fase esecutiva di questi affreschi da collocare subito dopo il 1450, e neppure tali da lasciar individuare, sia pur altrettanto ipoteticamente, la presenza di due maestranze all'interno di una stessa bottega locale. Per essi va pertanto ribadito il riferimento a Giovanni Antonio da Meschio.
Va osservato, peraltro, che un unico dato non trascurabile per la cronologia degli affreschi di San Michele di Salsa, che si sarebbe indotti a riferire automaticamente al 1450, data in cui sono compiuti quelli già nel vicino oratorio di San Pietro, viene offerto dalla raffigurazione di "San Bernardino da Siena", la data della cui canonizzazione, avvenuta proprio nel 1450, è da ritenersi un termine post quem per la loro esecuzione (7 ).
La diffusa devozione per questo santo predicatore che vi era stato presente nel 1423 e la conseguente, immediata, fortuna iconografica che lo riguarda dopo la canonizzazione, deve aver motivato la commissione allo stesso Giovanni Antonio da Meschio di un'immagine di "San Bernardino" (fig. 6) all'interno dell'oratorio di San Lorenzo a Serravalle, su di un pilastro della seconda campata, che gli si può ora agevolmente riconoscere (8). Per lo stesso complesso, in un ambiente al piano superiore attiguo all'oratorio, inglobato nell'ospedale di Santa Maria dei Battuti, Giovanni Antonio da Meschio esegue per l'importante confraternita la raffigurazione finora medita della "Madonna del patrocinio" (fig. 7 - 8), affiancata da due angeli che recano i cartigli con i motti "HOBEDIENTIA" E "CHARITA", e attorniata dai confratelli stessi inginocchiati sotto il suo mantello tenuto aperto:
nel gruppo di sinistra, in cui tutti indossano il saio bianco e sono a capo scoperto, precedono i gastaldi, il primo recando lo stendardo con l'immagine della Vergine; il gruppo femminile, a destra, si caratterizza per la tipologia differenziata degli abiti e dell'acconciatura alla moderna (9 ).
Anche in questo affresco che iconograficamente mostra un carattere ufficiale, pur non essendo chiara la destinazione originaria dell'ambiente per cui esso è stato eseguito, Giovanni Antonio da Meschio conferma il suo modesto livello qualitativo, senza per altro che si possano dedurre nuove sostanziali indicazioni stilistiche al suo riguardo.
Esso perlomeno permette di assegnare al pittore una considerazione nient'affatto trascurabile in questi anni a Ceneda e Serravalle, verosimilmente proprio come continuatore della ricca tradizione tardogotica, anche qui sostanzialmente legata alla cultura del "Mae

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6) Giovanni Antonio da Meschio, San Bernandino da Siena, Serravalle di Vittorio Veneto, Oratorio di San Lorenzo.

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7) Giovanni Antonio da Meschio, Madonna dei Battuti, Serravalle di Vittorio Veneto, Oratorio di San Lorenzo, ambiente attiguo.

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8) Giovanni Antonio da Meschio, Madonna dei Battuti, particolare, Serravalle di Vittorio Veneto, Oratorio di San Lorenzo, ambiente attiguo.

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stro degli Innocenti" (10). Anzi la sua attività, che ha un prezioso punto di riferimento, sufficientemente diretto al 1450, consente di meglio valutare altri affreschi del territorio, stilisticamente dipendenti dal ciclo di San Lorenzo, come quelli della chiesa di San Giorgio di Rugolo presso Sarmede per i quali si è proposto il nome di certo Andrea da Treviso, per un problematico riferimento documentario ormai risalente al 1470, ed inoltre anche la diretta paternità del maestro attivo in San Lorenzo, quindi con una comune datazione circa il 1430(11). L'assegnazione ad Andrea da Treviso, sul quale mancano ulteriori accertamenti sulla sua identità, risulta ancora priva di una verifica stilistica. Sembra, tuttavia, doversi ritenere troppo avanzata una conseguente datazione degli affreschi a ridosso del 1470, non tanto perché in questo ambito culturale si fossero già allora definitivamente prese le distanze dal gusto tardogotico, quanto piuttosto per una loro pressoché esclusiva dipendenza proprio dal ciclo di San Lorenzo, senza che si avvertano altri sostanziali condizionamenti stilistici. Da esso si distinguono tuttavia per una complessiva minor tenuta qualitativa, per certo impaccio nella distribuzione scenica e nelle gestualità, per una carica espressiva più rude ed immediata come si avverte ad esempio nella "Cattura di Cristo" e nei particolari di "Cristo nell'orazione nell'orto"e del "Cristo risorto" (figg. 9- 10- 11).
Una stessa evidente dipendenza stilistica da quest'ultimo frescante attivo nell'oratorio serravallese come si avverte negli affreschi di Rugolo rivelano anche quelli inediti della Cappella di Santa Augusta dell'omonimo santuario di Serravalle. Vi sono raffigurati i "Simboli degli evangelisti" e 1"Agnello mistico" (figg. 12 - 13) nella volta, il "Crocefisso e gli strumenti della Passione" sulla parete di fondo, su quella di sinistra la "Madonna col Bambino in trono a cui due angeli presentano i committenti", e al di sotto i "Confratelli della scuola dei battuti che reggono il cartiglio con l'iscrizione votiva" (fig. 14). Sulla parete di destra "La confraternita dei Battuti sotto la protezione di san Lorenzo rende omaggio a santa Augusta" (fig. 15). Infine sull'intraddosso dell'arco di accesso alla cappella vi è la rappresentazione di "San Sebastiano" (fig. 16).
Non è difficile ora trovare in questi affreschi, oltre ad una consueta, complessiva derivazione stilistica dal ciclo di San Lorenzo, riferimenti particolari, anche di ordine figurativo e tipologico, con opere qui raccolte sotto il nome di Giovanni Antonio da Meschio. Anche in questo caso essi risultano tali da porre l'interrogativo se riaffermino solo una comune derivazione stilistica già ben individuata che riguardi un'altra personalità contemporaneamente attiva in questo stesso centro, oppure consentano addirittura una loro diretta attribuzione proprio a Giovanni Antonio da Meschio, ipotizzandone in questo caso una qualche evoluzione stilistica pur in un breve volgere di tempo. Per inciso, va detto che questa ipotesi deve mantenere necessariamente una riserva dovuta al loro cattivo stato di conservazione, alle pesanti ridipinture risalenti al restauro del 1949 allorché

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9) Giovanni Antonio da Meschio, Cattura di Cristo , Rugolo di Sarmede, parrocchiale di San Giorgio.

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10) Giovanni Antonio da Meschio, Orazione di Cristo nell'orto, particolare, Rugolo di Sarmede, parrocchiale di San Giorgio.

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furono liberati dallo scialbo. Sul piano storico va sottolineato che la loro commissione da parte della stessa confraternita dei Battuti di Serravalle, li colloca in una fase cronologica corrispondente a quella di attività di Giovanni Antonio da Meschio. La loro esecuzione infatti segue l'evento della scoperta delle reliquie di Santa Augusta avvenuta il 27 marzo del 1450, che diede occasione per procedere nel restauro di questo santuario, il quale dovette essere sostanzialmente ultimato al momento della sua consacrazione il 12 aprile del 1452. (13).
Va osservato che questi affreschi, mostrano, rispetto a quelli dal tratto disegnativo più netto provenienti da San Pietro di Ceneda, che costituiscono l'avvio alla costituzione del catalogo del pittore, un notevole ammorbidimento nella stesura pittorica con maggior liquidità e trasparenza di materia in riferimento soprattutto ai "Simboli degli Evangelisti" della volta, ed invece una qualificazione anatomica dei personaggi raffigurati nelle pareti laterali più organica e massiccia, una definizione più molle e naturalistica nei tratti somatici più strettamente affine a quella degli affreschi in San Giorgio di Rugolo.
Si potrebbe, pertanto anche ipotizzare, che questa loro relativa variazione stilistica, riveli l'attività di Giovanni Antonio da Meschio in un momento anche di poco più maturo.
A queste date, del resto, egli, rimanendo in ambiente locale, difficilmente poteva tener conto di più specifiche e nuove istanze stilistiche rispetto alla sua consueta esperienza, esse avrebbero dovuto essere ormai di carattere squarcionesco come Dario da Treviso iniziava a divulgare nel trevigiano a partire già dal 1448, o di ascendenza vivariniana, ma queste ultime si manifesteranno a Serravalle stessa con il ciclo di affreschi della Cappella Galletti in San Giovanni, ormai negli anni settanta del secolo (14).
Il suo ruolo del resto appare rimanere proprio quello del conservatore di un gusto pittorico che più aveva condizionato il proprio ristretto ambito di esperienza.

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11) Giovanni Antonio da Meschio, Cristo risorto, Rugolo di Sarmede, parrocchiale di San Giorgio.

12) Giovanni Antonio da Meschio, Simboli degli evangelisti e Agnello mistico, Serravalle di Vittorio Veneto, Santuario di Santa Augusta.

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13) Giovanni Antonio da Meschio, Simbolo dell'evangelista Matteo, Serravalle di Vittorio Veneto, Santuario di Santa Augusta.

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14) Giovanni Antonio da Meschio, Madonna col Bambino in trono a cui due angeli presentano i committenti. I confratelli della scuola dei Battuti reggono il cartiglio con l'iscrizione votiva, Serravalle di Vittorio Veneto, Santuario di Santa Augusta.

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15) Giovanni Antonio da Meschio, I confratelli della scuola dei Battuti sotto la protezione di San Lorenzo rendono omaggio a Santa Augusta, Serravalle di Vittorio Veneto, Santuario di Santa Augusta.

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16) Giovanni Antonio da Meschio, San Sebastiano, Serravalle di Vittorio Veneto, Santuario di Santa Augusta.

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NOTE

1) Ringrazio il direttore della Biblioteca Civica di Vittorio Veneto, Vittorino Pianca, per la segnalazione di tale documento.
Per l'ubicazione dell'oratorio si veda, ad esempio, il disegno settecentesco con veduta di Ceneda e Serravalle nel secolo XIV incluso nel manoscritto di Carlo Lotti del 1785 riprodotto in R. Bechevolo, Il castello di San Martino. Vittorio Veneto, Maniago
- Pordenone 1982, pp. 50 -51. Sulla iscrizione cfr. C. Lotti, Series Episcoporum Cenetensium, auctore Carolo Lotti Presbitero cenetensi. Anno 1785, rns. datato 1785, Vittorio Veneto, Biblioteca del Seminario, torno I, n. 125.
Ancora sulla ubicazione e storia di San Pietro si veda A. Maschietto, La chiesa cattedrale, in Bollettino ecclesiastico della Diocesi di Vittorio Veneto, Vittorio Veneto 1951, pp. 228 - 230; B. Sartori, in Ceneda. La cattedrale e i suoi vecchi oratori, Vittorio Veneto s.d. ma 1978, pp. 153 - 156.
2) C. Fassetta, Storia popolare di Ceneda, Vittorio 1917, pp. 187. Egli trascrive al modo seguente l'ultima parte dell'iscrizione, riportando in regesto il testo rimanente:
"Anno 1450, sub administrat. prudentis Antonii Pochin civis Cenete. Johannes Antonius de Misco pinsit". Il cognome "Pochin,, risulta di difficile trascrizione dal documento conservato nel carteggio Troyer.
3)1 dati raccolti dal Maschietto (La chiesa cattedrale, cit., p. 229), illustrano più compiutamente i soggetti degli affreschi all'interno di San Pietro: "Quegli affreschi erano di pregio, ma furono deteriorati dal terremoto del 1873, e rappresentavano episodi dell'evangelizzazione e del battesimo dei Cenedesi per opera dei Santi aquileiesi Ermagora e Fortunato, la Madonna in trono con gli Apostoli Pietro e Paolo ed altri Santi, il martirio di 5. Sebastiano, e 5. Martino Vescovo. C'era anche dipinto lo stemma del Vescovo Pietro Leoni, e sotto gli affreschi nominati affioravano qua e là pitture più vecchie".
4) Sono riprodotti con attribuzione a Giovanni Antonio da Meschio da R. Bechevolo (Santa Maria del Meschio. Cenni storici ed artistici, Vittorio Veneto 1971, pp. 20- 21) e da B. Sartori (in Ceneda, cit., p. 155).
5) Un termine post quem per l'esecuzione degli affreschi di San Lorenzo è solitamente dedotto dall'indicazione di F. S. Fapanni (Ceneda, Serravalle e Conegliano esaminate nelle chiese e nei luoghi pubblici, con le iscrizioni lapidarie copiate e con la descrizione della pittura, , Treviso, Biblioteca comunale, ms. 1378) che dice la costruzione dell'oratorio ultimata nel 1434. Un graffito eseguito da un devoto sugli affreschi reca la data del 1446, stabilendo un termine ante quem per la loro esecuzione. Per l'aspetto attributivo basti ricordare l'indicazione di Cavalcaselle che ribadisce quella già sostenuta dal Crico (Lettere sulle belle arti trevigiane, Treviso 1833, p. 273) in favore di Jacobello del Fiore, pur con qualche riserva concernente il loro più modesto livello qualitativo (J.A. Crowe - GB. Cavalcaselle, A history of Painting in North Italy, 1871, ed a cura di T. Borenius, London 1912, I, p. 6); la successiva assegnazione ad un gruppo di pittori comprendente lo stesso Jacobello, il "Maestro degli Innocenti", e Nicolò di Pietro da parte di M. Muraro (Affreschi del primo Quattrocento nella chiesa di San Lorenzo a Serravalle, Venezia 1955: Idem, Affreschi di Niccolò di Pietro e di Jacobello del Fiore a Serravalle, in "Rivista d'arte" V, 1955, s. III, pp. 167 - 182; Idem, Pitture murali nel Veneto e tecnica dell'a ffresco, Venezia 1960, p. 74) il quale poi risolve diversamente il problema attributivo riconoscendovi un esempio di "arte gotico-devozionale che nella prima metà del Quattrocento interessò tutte le provincie del Dominio Veneto". Cfr. Muraro, Pittura gotico-devozionale nel Veneto, in La chiesa di 5. Lorenzo a Serravalle e i suoi affreschi, Udine 1975, pp. 33 - 51. Per R. Pallucchini (La pittura veneta del Quattrocento. Il Gotico internazionale e gli inizi del Rinascimento, Lezioni tenute nell'Università di Bologna durante l'anno accademico 1955-56, Bologna 1956, pp. 72-73), che discute l'iniziale posizione del Muraro, "In questi affreschi, di non alta qualità, si ritrovano elementi desunti dunque dalla pittura veneziana del quarto decennio e forse anche del quinto: ed in primis da Jacobello, ma più sciolti e popolari. non è improbabile che egli ]Jacobello] assumesse l'appalto della decorazione: ma molto improbabile mi sembra un suo intervento diretto,,. Più recentemente E. Cozzi (Treviso, in Pittura nel

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Veneto. Il Quattrocento, Milano 1990, I, p. 119, 124) ritiene che "Al di là di sterili o per il momento insoddis facenti operazioni attribuzionistiche, andrà tuttavia ribadita ad evidentiam una direttrice culturale che punta decisamente verso Venezia (magari passando per Treviso), secondo una preferenza del resto manifestata qui e altrove nell'intero territorio trevigiano lungo i primi decenni del secolo".
6) Attualmente è ancora in corso di completamento il paziente lavoro di recupero degli affreschi ad opera del restauratore Saviano Bellè.
7) Per l'iconografia di san Bernardino basti il rinvio a P. Misciatelli, Iconographia Sancti Bernardini, in "Diana", VII, 1932, pp. 247 - 252; L. Réau, Iconographie de l'art chrétien, Parigi 1958, III, pp. 219 - 221; R. Aprile, ad vocem Bernardino da Siena. Iconografia, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1962, vo1. Il, coll. 1316 - 1321.
8) G. Cappellaro - A. Momo, La chiesa di San Lorenzo a Serravalle e i suoi affreschi, in La chiesa di 5. Lorenzo, cit., pp. 24 - 26; M. Muraro, Pittura, ibidem, p. 34. Quest'ultimo considera l'affresco eseguito "da un pittore squarcionesco - muranese su un precedente affresco dopo la sua santificazione, cioè dopo il 1450 (una delle tante iscrizioni apposte dai pellegrini qui reca la data 1455)'>. Anche in questo caso, dunque, la data del 1455 costituisce un utile termine ante quem per l'esecuzione dell'affresco.
9) Sulla Scuola di Santa Maria dei Battuti di Serravalle si veda V. Botteon - A. Barbieri, Congregazioni di Carità e Istituti pii riuniti in Conegliano. Studio storico amministrativo, Conegliano 1904.
10) L. Coletti, Il Maestro degli Innocenti, in "Arte Veneta" Il, 1948, pp. 30 - 40.
11) Per gli affreschi di Rugolo si deve far riferimento ad articoli occasionali apparsi in un settimanale locale: V. Floriani, Le nostre belle chiese: 5. Giorgio di Rugolo, in "L'azione" LXVII (1971), n. 27.28, 4 e 11luglio; G. Mies, San Giorgio di Rugolo affrescata da Andrea da Treviso, in "L'azione', LXXV (1989), n. 50, 31 dicembre; ed inoltre in un pieghevole illustrativo con testo di C. Busiol, La chiesa di San Giorgio in Rugolo, Conegliano, s.d. ma circa 1989.
Per il riconoscimento della paternità di Andrea da Treviso in questi scritti si utilizza un documento datato 15 gennaio 1471 (more Veneto) (data che viene intesa come quella di ultimazione degli affreschi), in esso il vescovo Di Ferentino, governatore del patriarca di Aquileia, risulta aver convocato presso l'abitazione del pievano di San Cassiano del Meschio i camerari della chiesa di San Giorgio di Rugolo per esercitare il controllo amministrativo. In quell'occasione prendendo atto che la chiesa di Rugolo era ormai interamente coperta da pitture ('~viso dictam ecclesiam picturis fuisse repletam usque ad minimum quadrantem~>), impose che al pittore Andrea da Treviso fosse corrisposto il dovuto, e che non ci si impegnasse con lui nell'esecuzione di altre pitture.
Il documento, di cui viene segnalata in maniera incompleta la fonte da cui è desunto, si dice trascritto in Bini, Documenta Historica, vol. XV n. 2, testo che pertanto non si èpotuto verificare nell'originale da parte di chi scrive.
L'assegnazione di questi affreschi allo stesso maestro attivo in San Lorenzo di Serra-valle si deve a M. Lucco (Belluno, in Pittura nel Veneto, cit., pp. 126, 133 nota 11) che ne propone una stessa datazione attorno al 1430, accomunandovi l'affresco raffigurante la "Annunciazione, la Trinità e i santi Vittore e Corona" dell'Oratorio della Trinità sopra le Ripe di Feltre.
Fanno parte di un'unica campagna decorativa la "Incoronazione della Vergine in alto e il san Giovanni Battista tra due angeli musici" della parete di fondo del presbiterio; le "Storie della Passione"della parte sinistra del presbiterio, sul registro superiore "Entrata in Gerusalemme", Ultima cena", Lavanda dei piedi", su quello inferiore "Flagellazione", "Cattura di Cristo" e "Orazione nell'orto". Sulla parete destra le "Storie dell'Antico Testamento" sono più lacunose, vi si distingue nel registro superiore il "Passaggio del Mar Rosso", probabilmente la "Caduta della manna" nel riquadro corrispondente del registro inferiore, fa seguito la raffigurazione del "Sudario di Cristo". La "Annunciazione" è raffigurata sulla parete di imposta dell'arco trionfale. Sulla parete destra della navata si distingue un "Volto di Cristo", su quella di sinistra la "Veduta di città", frammento del fondale di una scena perduta.

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12) Ad essi fa cenno A. Maschietto, La diocesi di Ceneda, stato personale del clero, settembre 1915, p. 28: "La cappella della santa ha le pareti affrescate ed offre gli emblemi dei quattro Evangelisti. Le figure dipinte in campo d'oro si attribuiscono al secolo XV>~. Una parziale pubblicazione di essi, in vero, senza rilievi stilistici, ma con la trascrizione e traduzione dell'iscrizione votiva spetta ad A. Campo dell'Orto, Un fiore sulla roccia, Conegliano 1982, pp. 62, 72, 74 - 76.
13) Manca una seria indagine storica sulle vicende del santuario e il culto di santa Augusta. Per questi riferimenti storici ci si limita qui ad un rinvio a G. Villanova, Serra-valle nella storia e nell'arte, Belluno 1977, pp. 125 - 128.
14) Si veda in proposito M. Muraro, La pittura devozionale e la diffusione dello squarcionismo, in "Ateneo Veneto", 1975, I, pp. 73 - 87. Sulla presenza di Dario nel trevigiano basti il rinvio a I. Furlan, Dario da Pordenone, in "Il Noncello", 28, 1968, pp. 3 - 32. Per il ciclo della Cappella Galletti in San Giovanni e per la più ampia, fondamentale indagine sulla pittura serravallese del secondo Quattrocento è d'obbligo il rinvio a L. Co-letti, Su Antonio Rosso da Cadore e i pittori serravallesi, in Venezia e l'Europa, Venezia 1955, pp. 200 - 209. Ed inoltre si veda G. Della Vestra, I pittori bellunesi prima dei vecellio, Verona 1975, pp. 30 - 32.

 

 

 

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