Rassegna Bibliografica
PARIS BORDON
Catalogo della Mostra, Treviso, settembre-dicembre 1984, Milano,
Electa, 1984.
Il Palazzo dei Trecento di Treviso si è nuovamente
aperto al pubblico per ospitare, nel 1984, una importante mostra dedicata
ai dipinti del concittadino Paris Bordon.
Il prestigioso edificio già nel 1962 aveva visto nelle proprie
sale una mostra di "Cima da Conegliano".
Nel 1900, per opera degli studiosi trevigiani Luigi Bailo e Girolamo Biscaro,
la città veneta aveva ricordato il quarto centenario della nascita
di Paris Bordon, con una mostra storica, comprendente quasi cento fotografie
e una decina di dipinti.
Degno di particolare interesse è il catalogo redatto per il 1984,
curato da Eugenio Manzato, comprendente una introduzione del professor
Rodolfo Pallucchini imperniata su "Paris Bordon e la cultura pittorica
del suo tempo".
La professoressa Giordana Mariani Canova dedica invece ampio spazio ad
un "profilo biografico e critico" del pittore e cura altresì
il catalogo dei quadri esposti alla mostra, coadiuvata per quest'ultimo
gravoso impegno, da Eugenio Manzato e Giovanna Baldissin Molli.
Nella parte terminale del catalogo, Giorgio Fossaluzza, redige un preciso
"codice diplomatico bordoniano" particolarmente prezioso per
gli studiosi del pittore trevigiano.
Di Paris Bordon si possono avere numerose note biografiche attingendo
direttamente dalle memorie personali che Giorgio Vasari raccolse nel 1566,
quando incontrò l'artista a Venezia e con il quale, sembra, entrò
in amicizia. Le Vite vennero poi pubblicate nel 1568. "Ma quegli
che più di tutti ha imitato Tiziano, è stato Paris Bordon,
il quale, nato in Treviso da padre trivisano e madre viniziana, fu condotto
d'otto anni a Venezia (dopo la morte del padre) in casa d'alcuni suoi
parenti. Dove, imparato che ebbe grammatica e fattosi eccellentissimo
musico, andò a stare con Tiziano ma non vi consennò molti
anni . Sappiamo quindi, dalle pagine delle Vite, dell'amicizia tra Vasari
e Bordon e che quest'ultimo fu allievo di Tiziano, dal quale apprese molto
ma in particolare, un vigore cromatico che resistì e si mantenne
chiaro anche dopo che ebbe subito gli influssi di Pordenone e, daI 1524
al 1527, di Lotto.
Si interessarono alla biografia del pittore anche Ridolfi (1568), Federici
(1803-Memorie trivigiane sulle opere di disegno) e più tardi Bailo
e Biscaro (1900 Della vita e delle opere di Paris Bordon) permettendoci
così di possedere una nutrita documentazione bordoniana.
Possiamo quindi asserire con sicurezza che Paris Bordon alternò
momenti di intenso lavoro a Treviso e nel Veneto, con altri all'estero,
dove era molto richiesto.
Nel 1538 si recò una prima volta a Fontainebleau, al servizio di
re Francesco; quindi, il Vasari ci riferisce di
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un viaggio ad Augusta nel 1540, dove lavorò molto in casa Fugger;
Bordon è a Milano verso la fine del 1550, dove, per la Canova,
"accresce il suo potenziale espressivo in senso manieristico"
per la conoscenza che egli fa, con gli affreschi del Palazzo del Tè
e del Palazzo Ducale di Mantova, di Giulio Romano.
Alla fine del quinto decennio ritornò, per un breve periodo, alla
corte di Francesco TI, dove, osserva la Manani Canova, influenzò
pittori come Antoine Caron e, a sua volta, si impadronì del tema
del massacro, comune in quel periodo in Francia.
Quindi lavorò nuovamente a Treviso nella "Adorazione dei pastori",
nel "Paradiso", nella pala di "S. Lorenzo" del Duomo.
Tutti dipinti nei quali non è più possibile rintracciare
elementi nuovi:
permangono infatti i consueti toni formali manieristici, sorpassati dalle
innovazioni di Tintoretto e Veronese.
"Bordon rimase fedele al mito classico della bellezza, creando una
tematica del tutto particolare e originale, allietandola di colori brillanti,
sensualizzati al massimo, inseriti in una ritmica formale tipicamente
manieristica. . . Uno dei più suggestivi pittori del 500 Veneto,
rappresentante della gioiosa e amorosa Marca".
Durante gli ultimi anni della sua vita rimase lontano dal mondo della
pittura, come scrive il Vasari: "essendo di anni 75, se ne sta con
sue comodità in casa quietamente, e lavora per piacere a richiesta
di alcuni principi ed altri amici suoi, fuggendo la
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concorrenza e certe vane ambizioni, per non essere offeso e perché
non gli sia turbata una somma tranquillità e pace, da coloro che
non vanno in verità, ma con doppie vie". La sua morte, causata
da febbre durata un mese, è registrata nei Necrologi dei Provveditori
alla Sanità di Venezia, il 19 gennaio 1571.
Daniela Pancotto
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