Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°3 - 1984 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

GINO BUTTAZZI

STORIA DI UN'AMICIZIA:
MICHELE COLOMBO E LORENZO DA PONTE

Un antico adagio dice che l'amicizia "o fa uguali o trova uguali- (ae-quales aut facit aut invenit). Poi in concreto l'amicizia non è mai solo af-finità di caratteri e di gusti, ma è anche complementarietà. È il caso di due personaggi nostrani, vissuti tra il 1700 e il 1800: due letterati, che nel Seminario di Ceneda si trovarono d'accordo e, pur con un'esistenza diversa, si sentirono sempre vicini. Essi sono Michele Colombo e Lorenzo Da Ponte: reciprocamente il terminus a quo e il terminus ad quem. Sulla vita di Lorenzo Da Ponte siamo sufficientemente informati (1). Ma il riflettore sui suoi rapporti con il Colombo può gettare nuova luce sulla sua personalità (2). Invece ai nostri giorni il Colombo è un po' meno di moda. Egli nacque a Campo di Pietra, nel Comune di Salgareda di Piave, il 5 aprile 1747 e morì a 91 anni il 17 giugno 1838, l'anno stesso in cui morì quasi nonagenario Lorenzo Da Ponte. Percorse interamente a Ceneda i suoi studi dalla Grammatica alla Teologia. Divenne prete e tenne fede alla sua vocazione. Dimorò Il anni a Ceneda nella casa del conte Folco Leoni, del quale educò i 5 figli. Invece come precettore di un rampollo della famiglia Coronelli a Conegliano non ebbe fortuna. Qui infatti non rimase molto tempo, sconfortato dalle stravaganze dell'alunno, che più tardi si macchierà addirittura di parricidio. Passò a Venezia nella famiglia del patrizio veneto Gianbattista Riva e dal 1796 a Parma fu maestro del cavalier Giovanni Bonaventura Porta. Viaggiò in Italia, Francia, Spagna, Inghilterra. Visse gli ultimi anni nella famiglia del suo discepolo (3).


GINO BUTTAZZI, storico e studioso in particolar modo di archeologia, ha pub-blicato vari saggi in tanti anni di attività e d'insegnamento presso il Collegio "Darite Alighieri" ove attualmente vive.
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"Filologoe bibliografo espertissimo ... fu riconosciuto come maestro in fatto di lingua da alcuni accademici della Crusca, tra i quali G.B. Niccolini e Gino Capponi. Dal Monti ebbe questo encomio: "GI'Italiani non diventan classici che dopo morte, il Colombo è classico vivente" (4).
Di lui furono più volte pubblicate soprattutto: Lezioni sulle doti di una colla favella.
Ma in questa sede a noi interessa conoscerlo nei suoi rapporti di amicizia con il Da Ponte.
1 due si conobbero e si incontrarono alla scuola di Gianandrea Caliari (5).
A tale proposito nelle Memorie (6) il Da Ponte scrive:
"Inseminario frequentavano le sue lezioni due de' più colti ingegni di Ceneda, Gerolamo Perucchini e Michel Colombo.
All'emulazione di questi deggio, più che a tutt'altro, la rapidità de' miei avanzamenti nella poesia."
Il primo approccio tra i due nacque quindi da un sentimento di ammirazione e di emulazione. Infatti scrive ancora il Da Ponte: "Avea fatto Michel Colombo i suoi primi studi, avanti d'entrare nel Seminario di Ceneda, sotto la direzione di ottimi istitutori. Scriveva bene in latino e componeva versi italiani pieni di gentilezza e di grazia. Non disdegnava talvolta di leggerli a me, cui amava sinceramente, per incitarmi, diceva, a fare un saggio della vena poetica". (7).
L'occasione si presentò ben presto, quando il Da Ponte lesse al Colombo i primi versi; ma questi canticchiò e rise maliziosamente, tanto che "piansi di vergogna e di rabbia- scrive Lorenzo.
Però aggiunge: "Dopo avermi così tormentato per qualche tempo fu il primo egli ad incoraggiarmi a novelle prove, ed io gli promisi di fare ... finche ebbi speranza di potermi cimentare co' miei condiscepoli".
Tale speranza fu esaudita poco dopo, quando gli allievi furono invitati ad un componimento per la partenza del rettore.
A dimostrare i progressi da lui fatti e il successo ottenuto Lorenzo riporta il sonetto nelle Memorie. A pie pagina, in nota, pubblica anche quello scritto per la stessa circostanza dal Colombo ed aggiunge: "Lo pubblico qui sperando di fargli cosa gradita, nel provargli che sessantacinque anni non bastarono a cancellare dalla mia memoria i versi d'un amico sì caro".
Però il riconoscimento del suo valore non fu così facile.
Infatti scrive:"Comeprima di questo sonetto io non avea lasciato vedere ad alcuno i miei versi italiani ... così nessuno voleva credere che questi quattordici fossero miei. Il solo Colombò mostrò di crederlo, e fece solenne giuramento di non iscrivere più in italiano: giuramento che poi gli fe' rompere una leggiadra e bellissima giovinetta, di cui eravamo ambedue innamorati e per cui verseggiammo a vicenda".
Era certamente questo un amore adolescenziale, alieno da gelosie e seri impegni.
Tuttavia ricordando quegli anni il Colombo scriverà: (8) "Due erano gli scolari prediletti dall'abate Gianandrea Caliari.
Erano questi Lorenzo Da Ponte e Michele Colombo. Non tardarono questi due giovani a contrarre amicizia assai stretta. Con tutto che il Da

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Ponte superasse il Colombo in vivacità e il Colombo in sensatezza il Da Ponte, erano tuttavia tanto conformi nei loro pensamenti, che componevano spesso di soppiatto, durante la scuola un sonetto o qualche altra bagatelluzza poetica scrivendone i versi alternativamente, senza averne prima partecipato il soggetto. Scriveva uno di loro il primo verso e lo passava tacitamente all'amico suo e questi ne scriveva il secondo, e così si ripassavano l'uno all'altro ciò che andavano aggiungendo, e in questa guisa formavano un picciol componimento in cui ravvisavasi ed unità di pensiero e regolarità nella condotta, talmente che si sarebbe creduto della stessa mano".
In altra circostanza, molti anni dopo, il Colombo ricordando ancora quel periodo della sua vita, scriverà a Daniele Francesconi, bibliotecario dell'Università di Padova: "Il Da Ponte è stato mio compagno di scuola in Seminario a Ceneda. Non ebbi mai amico che mi fosse più caro. Egli era me, ed io era a lui due pezzi di nuovo conio. Le follie che abbiamo fatto là dentro sono incredibili. Ne fummo cacciati entrambi ed indi accolti di nuovo: perché, così pazzi, eravamo, valevamo quegli altri che eran più saggi di noi. li Da Ponte aveva un prodigioso ingegno e valeva di cote al mio". (9)
Con la morte di Lorenzo Da Ponte, Vescovo di Ceneda, il vero patrono del nostro Lorenzo, che a suo tempo ne aveva ereditato il nome, le vite dei nostri due poeti si separarono.
Nel 1769 Lorenzo Da Ponte passò al Seminario di Portogruaro, ma il 10 gennaio 1770, per precauzione contro la malaria passò alcun tempo a Ve-nezia. Il 29 gennaio, già tornato a Portogruaro, relaziona il Colombo sulla stima che di lui avevano i superiori, i quali l'avevano ammesso agli ordini. Però dice: "lo seguito ad imparare sempre più per la poesia, ma il non aver compagni emmi di sommo discapito" (10).
Sente cioè l'assenza del Colombo. Poi il 27 marzo 1773 sarà ordinato sacerdote. Quindici gironi prima così scriveva all'amico: 'Tiacendo al Signore Iddio, Sabato Sitientes sarò ordinato da Messa, ed avrò forse il piacere di venire costà ad abbracciarti" (11).
Dalla secchezza della notizia e dal modo con cui sono poi andate le cose vien da dire che nel profondo la vocazione di Lorenzo era quella di diventare uno dei tanti abati, che ad un tempo erano letterati precettori aedi nelle famiglie nobiliari del '700.
Infatti nell'autunno dello stesso anno egli si trasferisce a Venezia da dove incomincia la sua vita avventurosa, tumultuosa e caotica.
Già inguaiato e senza impiego, il 19 gennaio 1774, ricorre alla bontà del Colombo: "Michele Mio, ho impegnato quanto avevo al mondo; son ricorso a tutti gli amici miei e or ricorro a te, ed in te forse sono riposte le maggiori speranze. Ricordati che ogni indugio sarebbe lo stesso che negarmi aiuto, e il negarmi aiuto è lo stesso che la mia ruina" (12).
Vien da pensare che il Colombo l'abbia aiutato anche moralmente oltre che economicamente, perché solo nell'ottobre del 1774 il Vescovo di Treviso, Mons. Paolo Franceschini Giustiniani, informato sulle capacità letterarie di Lorenzo, gli offre la cattedra di umanità nel seminario.
In città però circolavano voci non tanto lusighiere. Per queste il Da Ponte, in data 8 Ottobre scriveva: 'To so, caro Colombo mio, per qual motivo il tuo arciprete nudrisca tanto astio contro di me, che pubblicamente ne parli

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a Treviso a mio disonore ... Pensa, cara vita mia, qual è di presente la mia confusione. Vedermi ruinato nel principio delle mie speranze, sentir lacerata la mia reputazione ... Sei saggio e intendi meglio il bisogno mio di quello ch'io sappia spiegare. Sovra tutto ci vuole sollecitudine. Un giorno, un'ora e anche meno può decidere del mio stato. Ti raccomando segretezza e ti dono un bacio- (13). Da quanto scrive nelle -Memorie-, le voci avevano un fondamento. Avrebbe potuto confidarsi fino in fondo con il Colombo, ma pensava di ritornare da solo sulla buona strada. Certamente il Colombo garantì per lui, se durante due anni assunse l'incarico di insegnante nel seminario di Treviso.
Alla fine dell'anno scolastico 1775/76, come maestro di retorica, toccò al Da Ponte preparare l'accademia poetica di conclusione. Fu la sua buccia di banana, la sua pietra d'inciampo, la sua trappola.
Il Senato Veneto, indignato per le idee che professava, con proclama reso pubblico il 30 dicembre 1776, lo interdisse dall'ufficio di maestro nelle scuole del dominio Veneto.(14)
Lorenzo passò così di nuovo a Venezia, dove trovò amici e nemici, sostenitori occulti e detrattori, ammiratrici e pettegole, finché fu costretto ad allontanarsi.
Di questo periodo, che lo portò fino a collaborare con Mozart, siamo bene informati, mentre nulla sappiamo dei suoi rapporti con il Colombo. Probabilmente, come succede in casi dei genere, egli non volle amareggiare o coinvolgere l'amico nelle sue vicende pubbliche e private. Del resto non c'era più nulla da dire o consigliare.
Ad un certo punto, sempre nelle Memorie egli narra che era deciso di abbandonare la corte di Vienna e di andare a Parigi dalla regina Maria Antonietta. Quando però durante il viaggio seppe con certezza di quello che stava succedendo in Francia in quel 1792, cambiò idea ed andò a Londra.
Durante questo soggiorno ebbe modo di rincontrare il Colombo, che viaggiava per l'Europa con il suo "giovin signore".
Una serie di lettere posteriori ci lasciano intravedere di che natura fu l'incontro in questa nuova situazione.
Nel 1818, dall'America, il Da Ponte sentì il bisogno di motivare all'amico il suo passaggio nel Nuovo Mondo. Tra le righe sembra di poter leggere: "Setu mi fossi stato vicino, forse le cose sarebbero andate diversa-mente!-
Ecco un brano del testo, datato a settembre:"Soche la vostra bella li-breria va sempre crescendo: la mia è ita. Un anno dopo la vostra partenza da Londra incominciarono le terribili calamità della mia vita ... Per salvare la libertà fui costretto partire da Londra e m'imbarcai per l'America, dove mal fondate speranze parevano invitarmi" (15).
E c'è un riferimento a questo periodo anche in quella datata 9 giugno 1832: "Da due anni in qua par che la fortuna divertasi a farmi piangere e s'io volessi narrarti le mie miserie, son certo che farei spargere anche a te molte lagrime, e tu meriti gioie e non afflizioni. Non ti parlerò se non d'una ... é l'immatura ed inaspettata morte dell'angelica donna che tu a Londra vedesti. Tu sai ch'ella aveva 20 anni meno di me" (16). Questo parlare

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schietto da parte del Da Ponte con il Colombo è un ulteriore tocco che completa il quadro dei rapporti di fraterna amicizia che intercorreva tra i due.
Infatti Naney, la donna a cui Da Ponte accenna, fu la compagna della sua vita. Una compagna che la Chiesa cattolica non permetteva a lui sacerdote.
Certamente il Colombo volle aiutarlo a sbrogliare la situazione. Sappiamo che il 12 settembre 1831 il Card. Jacopo Mocenigo, Patriarca di Venezia, tra le altre cose aveva scritto al Da Ponte: "... ch'ella possa riordinare le cose sue in maniera che i suoi ultimi istanti non siano amareggiati dal più rimorso" (7).
E il Da Ponte, nella citata lettera del 9 luglio 1832, scriveva al Colombo: "All'ultima parte della tua lettera, non rispondo niente per ora. È sullo stile di un'altra che mi scrisse l'anno passato il Patriarca di Venezia. Risponderò a te e a lui quando avrete ambedue letti i miei ultimi versi ... Anche le terzine a Dio ti prego di leggerle attentamente. Mi vennero anche queste dal cuore. Avrei però delle gran cose da dirti ..." (18). Non sappiamo altro. Certo è che morendo il Da Ponte ricevette i Sacramenti, senza particolari dispense, perché le autorità ecclesiastiche ignoravano il suo vero stato.
È chiaro a questo punto che il Da Ponte s'era appassionato agli studi poetici, che alla Teologia o al diritto canonico. Bisogna riconoscere che tutta la sua vita fu una sconfessione di quella vocazione che aveva abbracciato, e vien da pensare che al momento del passo decisivo non era tutto chiaro.
Colombo, che lo conosceva più da vicino di tutti, capì e rispettò il suo dramma, pur non rimanendo indifferente.
Il 4 agosto 1828 gli scriveva: "Mandami le tue belle opere col tuo caro nome sul frontespizio e aggiungivi: Per la Biblioteca Italiana di New York".
E l'1 agosto dello stesso anno: " Egli(mio fratello) non solo m'informò che tu eri ancora tra i vivi, ma mi mandò il tuo ritratto, ch'io incollai subito sul cartone d'un libro ch'apro ogni giorno (è il libro delle spese domestiche), e se non fosse la paura che ho di farti insuperbire, ti direi che ogni giorno lo bacio" (19).
E in un'altra lettera: "Sognai ch'eri venuto in America. S'avessi io 10 anni di meno verrei a Parma solo per vederti" (20).
Ma a testimoniare l'attaccamento del Da Ponte al Colombo c'è anche La Storia Americana ossia il lamento di Lorenzo Da Ponte quasi nonagenario al nonagenario Michele Colombo, pubblicata a New York nel 1835 (21).
E l'ultima lettera di cui disponiamo è del Colombo: "Da Parma 5 maggio 1836. Ti scrivo questa lettera lagrimando per tenerezza. lo palpitava e tremava per te, e le notizie or avute di te e i tuoi versi vivacissimi e graziosi mi furono un balsamo al mio cuore. lo sto male e non sono più un uomo, ma un sacco di malanni ... Intanto ti stringe affettuosamente al petto un decrepitaccio che ama te quanto l'anima sua (22) ".
Concludendo non ci sembra opportuno intervenire con altri commenti o illazioni.
I documenti di cui disponiamo dimostrano chiaramente che Lorenzo Da Ponte fu sempre legato da stima ed affetto a Michele Colombo, il quale lo ricambiò da vero amico. E ciò nel mondo dei letterati non è cosa
da poco.

Gino Buttazzi


BIBLIOGRAFIA
1- DA PONTE L., Memorie, Milano 1960, B.U.R. Rizzoli, a cura di C. Pagnini
2 - BERNARDI J., Memorie di Lorenzo da Ponte compendiate da Jacopo Bernardi e scritti vari in prosa e poesia del medesimo autore, Firenze 1871, Le Monnier.
Qui è riportato l'epistolario superstite intercorso tra il Colombo e il Da Ponte.
3 - MAESTRI F., Elogio di Michele Colombo, Lucca 1844, Bertini. VOLLO B., Prose di Michele Colombo, Venezia 1855, Cecchin.
Introd. pagg. 5 - 13 4 ZANGIACOMI P., Storia dei seminario di Vittorio Veneto, Vittorio Veneto 1954, Tip. del Seminario, pag. 56
5 - DA PONTE, op. cit. a pag. 13 scrive: "Il primo ... a introdure tra gli alunni di quel collegio il buon gusto, indi una nobile gara e predilezione per la toscana favella fu il coltissimo abate Cagliari, giovane pieno di fuoco e di valore poetico, che uscito di fresco da' collegi di Padova, dai quali non era escluso Dante e Pe-trarca più che Virgilio e Orazio, cominciò a leggere, spiegare e far gustare a un buon numero di giovinetti, alla sua educazione affidati, le prose, i versi e le bellezze dei nostri".
6 - DA PONTE, op. cit. pag. 15 e segg.
7 - DA PONTE op. cit. pag. 14
8 - E. DI TIPALDO Biografie degli Italiani Illustri, Vol. VI, pag. 99
9 - BERNARDI, op. cit. pag. 180, nota.
10 - BERNARDI, op. cit. pag. 166 Il BERNARDI, op. cit. pag. 172 12 BERNARDI, op. cit. pag. 177 13 - BERNARDI, op. cit. pag. 177
14 - MARCHESAN A., Della vita e delle opere di Lorenzo da Ponte, Treviso 1900, pag. 94 e precedenti, dove sono riportati i documenti dei vescovi e della Repubblica Veneta riguardanti la causa.
15 - BERNARDI, op. cit. pag. 174
16 -BERNARDI, op. cit. pag. 196
17 - MARCHESAN, op. cit. pag. 168
18 - BERNARDI, op. cit. pag. 192
19 - BERNARDI, op. cit. pag. 183. Ci restano vari ritratti del Colombo. ad esempio in Lezioni sulle doti di una colta favella Ed. Palma, Napoli 1836; oppure in Lezioni e Discorsi filologici dell'Ab. Michele Colombo, Venezia 1832 Ed. Alvisopoli...
20 - BERNARDI, op. cit. pag. 196
21 - MARCHESAN, op. cit. pag. 338
22 - DI TIPALDO, op. cit. pag. 263 Vol. VIII
23 - Altra bibliografia riguardante Michele Colombo si trova nella biblioteca del seminario di Vittorio Veneto ed è stata raccolta da A. Maschietto.

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