PER D. GIUSEPPE FAE'
È uscito, qualche mese fa, un libro intitolato "Giovanna
Faé, una vita per Dio e per la Patria", opera di Enrico
Spitaleri.
Un lavoro diligente e garbato, dedicato
ad un personaggio oscuro ma non dimenticato, in quel di Montaner di
Sarmede: Giovanna, sorella di mons. Giuseppe Faé, morta tra il
1944 e il 1945 nel campo di sterminio nazista di Mauthausen.
Un libro che andava scritto, tutto sommato, non solo per rendere un
giusto contributo di riconoscente affetto ad una donna che - nell'umile
nascondi mento della canonica di Montaner - seppe fare la sua parte
con coraggio e i . n spirito di carità cristiana, nel grande
cimento resistenziale ma anche per sistemare definitivamente, alla luce
di dati e testimonianze inequivocabili, la storia della sua vita e della
sua tragicafine.
Ma il libro ha anche rilevato un'ingiustizia, facendosi strumento di
ingiu-stizia esso pure, al di là - beninteso - delle intenzioni
dell'autore pensiamo.
Perchè la vita di Giovanna si svolse tutta all'ombra del suo
straordinario fratello: Don Giuseppe.
Una figura, quella di Mons. Faè, di cui si è detto molto,
mentre era in vita e anche dopo la sua morte, e su cui si è studiato
poco, per non dire nulla. E che non è giusto dimenticare.
Per la storia di questi luoghi, che risulterebbe incompleta se non registrasse
la traccia inconfondibile della presenza di Mons. Fáè
nel cinquantennio del suo ministero sacerdotale. Ma anche e soprattutto
per definire le linee del personaggio, la multiforme novità della
sua opera, il suo coraggio, il suo strenuo anticonformismo, il complesso,
profondo, anche misterioso legame di affetto, di comprensione, di identificazione
che seppe stabilire soprattutto con l'ultimo popolo che ebbe in cura:
i montaneresi.
Colto alla luce della triste vicenda della sorella Giovanna, visto dall'ango-latura
limitata e forse necessariamente incompleta della figura di lei, il
ri-tratto di Mons. Faè riesce storto. Anzi deformante. Anzi non
è un ritratto. Piuttosto la rappresentazione parziale e ambigua
di un particolare.
Al di là, si ripete, delle intenzioni dell'autore, dall'insieme
del libro esce una figura di Mons. Fáè ingenerosamente
stravolta.
Non è giusto.
Ed è necessario fare qualcosa.
Che finora nessuno fra tanti beneficati di Mons. Faè, dei suoi
'figli del-l'anima", degli innumerevoli che ne conobbero le virtù,
abbia pensato di por mano alla penna per raccontarne la figura e l'opera
e consegnarle ai posteri in termini compiuti e finalmente obbiettivi,
è cosa spiacevole.
Se d'ora in avanti non lo si farà, sarebbe colpevole.
Malabocca
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