Rassegna Bibliografica
GIOVANNA MORANDOTTI, Una fontanella a Wuzburg, Grafiche
De Bastiani, Vittorio Veneto, 2000, pagg. 143.
Un semplice libro di memorie - uno dei tanti scritti da
sopravvissuti alle bufere della guerra - diventa messaggio di altruismo
e di umanità.
E questa l'impressione che si ricava dalla lettura dal racconto - molto
documentato, in appendice, da schede e notizie biografiche dei protagonisti
- in cui ènarrato in prima persona un singolare "calvario"
nel pieno della tragedia della seconda guerra mondiale ormai all'epilogo.
Lei è una giovane, che, sul finire del 1943, insofferente della
vita in famiglia,
da Pavia si reca in Germania a cercare lavoro ed approda in Sassonia,
dove entra come allieva infermiera volontaria nel Sanatorio antitubercolare
di "Lindenhof' in Coswig, provincia di Dresda.
Nel reparto militare di quella "Tuberkolose Klinik" è,
tutto sommato, bene accetta da colleghe e medici, oggetto anche di qualche
scherzo spensierato, vero antidoto all'atmosfera plumbea di quel luogo
di dolore (che diviene anche, ad un certo punto, preventorio per figli
di tubercolosi), in cui le mansioni sanitarie sono spesso macabre e dove,
come in uno stillicidio, tante giovani esistenze si spengono.
Nessuna notizia diretta da casa in Italia, se non l'assicurazione della
regolarità dello stipendio spedito dall'amministrazione tedesca.
Intanto gli eventi precipitano (l'apocalisse di fuoco per Dresda).
Sconvolgente per la giovane infermiera è l'incontro con un gruppo
di italiani di un vicino campo di interna-mento. Le condizioni pietose,
in cui li ha visti, la spingono a sortite notturne per recar loro medicinali
e generi di conforto e - con la complicità di un tenente medico
di origine italiana - a ottenerne il trasferimento di una dozzina all'ospedale,
come inservienti.
Arriva la fine della guerra col dilagare dell'Armata Rossa e la decisione
dell'infermiera, con alcuni connazionali, di cercare scampo oltre l'Elba.
Cominica così, con piccole scorte caricate su carretti a mano,
un'odissea incredibile in un paesaggio sconvolto dalle devastazioni, tra
lager controllati dagli
americani o dai russi, sempre col miraggio del rimpatrio in Italia, ma
con l'impellente necessità di assicurare controlli e cure mediche
agli ammalati del gruppo. Per l'infermiera italiana ormai l'imperativo
è rimanere accanto a quei ragazzi, aiutarli a tornare a casa. L'ultima
tappa germanica è in Turingia, dove gli alleati hanno attivato
un buon ospedale. Poi, finalmente, c'è un treno per il Brennero.
Stranamente il racconto di Giovanna Morandotti, pur immerso nelle atrocità
della guerra e delle immani sofferenze che essa comporta, non porta a
fremere e a inorridire. Ciò perché l'autrice, pur consapevole
della tragedia che la circonda, porta sempre in primo piano episodi attestanti
che la pietà non è morta, che, anche nei momenti di più
basso degrado della civiltà, rispuntano l'altruismo e l'amore.
E, nella desolazione, emerge il valore universale della solidarietà,
rivolta non solo ai connazionali, ma a chiunque ne abbia bisogno, senza
distinzioni, perfino ai tedeschi, ora inermi, fino a ieri aguzzini contro
cui covava il naturale impulso alla vendetta.
Spiccano figure di un eroismo silenzioso: la dottoressa ebrea, gli ufficiali
medici, il cappellano militare, che, reduce dalla Russia, sceglie di stare
con i suoi soldati e si fa intemare con loro; ma insieme tante altre figure
minori, compresala sentinella americana che aiuta gli italiani a rubare
nel deposito affidato alla sua sorveglianza.
Tutto è narrato all 'insegna della semplicità: sono andata,
sono rimasta, cosa ho fatto; sempre minimizzando il coraggio, i rischi,
l'abnegazione, le sofferenze fisiche e morali.
Totale: una bella, delicata lezione di umanità.
Mario Ulliana
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