Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°12 - 1999 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
GIORGIO MIES


PER SILVESTRO ARNOSTI DA CENEDA:
ULTERIORI CONTRIBUTI

Il pittore cenedese Silvestro Arnosti non ha ancora avuto l'onore di una monografia, eppure egli negli anni a cavallo tra Cinque e Seicento è stato, per così dire, il decoratore ufficiale di tanti edifici pubblici e privati dell'area prealpina tra Piave e Livenza, continuando una illustre tradizione cinquecentesca che, tra gli esponenti di maggiore rilievo, annovera artisti di chiara fama, come Jacopo da Valenza, Francesco da Milano e lo stesso Tiziano.
Fino a poco più di un secolo fa, la sua figura era pressoché sconosciuta alla storiografia artistica, nonostante egli avesse l'abitudine di porre la firma accanto alla data, in calce alle sue opere.
La prima citazione documentaria risale al 1878 quando il vittorie se Carlo Graziani nelle sue "Notizie storiche della città di Vittorio" , nel ricordare che "varie di lui opere esistevano nella cattedrale antica se abbenché giovanili" lo definiva genericamente "scolaro di Tiziano"
L'interesse per approfondire tale notizia verrà solo una settantina d'anni dopo da parte del direttore dell'Archivio diocesano di Vittorio Veneto, Angelo Maschietto, che in "Miscellanea di Studi e Ricerche" rende noti alcuni documenti relativi alle opere citate, desunti dal "Libro dei conti della Massaria di S. Tiziano 1591-16OO"(2).

1) C. GRAZIANI, Notizie storiche della città di Vittorio. Appendice IX: Uomini illustri
cenedesi. Manoscritto del 1878 circa esistente nella Biblioteca Civica di Vittorio Veneto.
2) A. MASCHIETTO, Graziani dr. Carlo. Monumenti d'arte in Ceneda e Serravalle.
Silvestro Arnosti, pittore cenedese in "Miscellanea di Studi e Ricerche", manoscritto
custodito nella Biblioteca del Seminario di Vittorio Veneto.


GIORGIO MIES. Laureato in lettere (storia dell'arte), insegnante. Autore di importanti ricerche e numerose pubblicazioni su arte e artisti, soprattutto della Sinistra Piave.

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A parte l 'infondata attribuzione della pala che orna l'altare maggiore dell' arcipretale di Cordignano (il recente restauro ha consentito di assegnare tale dipinto al bellunese Agostino Ridolfi), lo zelante archivista ha avuto il merito di rivendicargli la paternità di altre due opere: la "Madonna col Bambino fra i santi Sebastiano e Rocco" della parrocchiale di Visnà di Vazzola, ora al Museo Diocesano, firmata e datata 1597, e la pala d'altare della chiesa di Val di Montaner, pure firmata e datata 1599, raffigurante "San Giovanni Battista fra i santi Tiziano e Valentino".
Un'aggiunta al "corpus" delle opere del pittore è stata fatta nel 1964 dall'allora direttore del Museo civico di Treviso Luigi Menegazzi che nel rendere nota per la prima volta la pala della parrocchiale di Villa Belvedere, in comune di Cordignano, firmata e datata 1604, esprimeva pareri poco positivi, trattandosi "di un artista di scarsa personalità", anche se "probabilmente molto richiesto dalle comunità religiose della terra del Piave"(3).
La frammentarietà e, spesso, le imprecisioni contenute in tali notizie hanno indotto chi scrive ad approfondirne la figura e l'opera, dando avvio ad un processo di ricostruzione critica che, iniziato nel 1987 in "Arte del '500 nel Vittoriese" con l'assegnazione di nuove opere inedite (la "Madonna col Bambino fra i santi Pietro e Paolo" dell'arcipretale di Fregona, datata 1597, la "Trinità fra sant'Augusta e santa Lucia" di Val, la "Madonna col Bambino fra i santi Vito, Sebastiano e Rocco" a Visnà di Miane, datata 1603, la "Madonna col Bambino fra i santi Gervasio e Protasio, Gottardo e Giuseppe", datata 1614, dell'arcipretale di Corbanese, oltre alle telette con "San Carlo Borromeo" e il "Martirio dei santi Gervasio e Protasio" la "Madonna col Bambino" a Ciser di Fregona e la cosiddetta "Pala di san Giusto" alle Fratte di Fregona, databile al 1621), è poi sfociato in uno studio monografico, apparso nel 1991 in "Prealpi informazioni", nel quale venivano presentati altri documenti dal 1601 al 1603 relativi alla "Paletta di S. Cancian", ora nei depositi del Museo Diocesano, e ad altri lavori per "depenzer la chiesa di Rugolo et l'altariol da Palà" oltre ad una dozzina di nuove opere esistenti a Castello Roganzuolo, Sarmede, Tarzo, Cozzuolo, Anzano, Pianzano e Vittorio Veneto (Chiese di S. Andrea, di S. Raffaele, duomo di Serravalle, Museo del Cenedese, Chiesa di S. Maria Maggiore annessa al Collegio S. Giuseppe), per finire nel Bellunese con la pala raffigurante la "Madonna col Bambino e i santi Pietro e Paolo", firmata e datata 1620, nella chiesetta di Marcador di Mel(4).


3) L. MENEGAZZI, Di Giambattista Cima da Conegliano e di Silvestro de Arnosti da
Ceneda in "Arte veneta", 1964, pp. 169-170.
4) G. MIES, Arte del '500 nel Vittoriese, Vittorio Veneto 1987, pp. 106-1 09; Id., Silvestro
Arnosti da Ceneda, in "Prealpi informazioni", giugno 1991, pp. 31-40.

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S. Arnosti, "Madonna col bambino frai santi Vito, Sebastiano e Rocco", Miane, Chiesa di Visnà (foto Ceschin).

S. Arnosti, "Pala del Rosario" S. Vendemiano, Parrocchiale di Zoppe.

Dopo la pubblicazione di queste ricerche, il percorso stilistico del pittore, almeno a grandi linee, si può ritenere definito, anche se resta ancora da chiarire il periodo iniziale della sua produzione e in particolare la formazione che, in base a recenti acquisizioni, dovrebbe essere avvenuta nella bottega di Cesare e Marco Vecellio, continuatori, seppure in tono minore, dell'arte del loro ben più famoso parente, il Tiziano(5).
Infatti in un contributo sull'arte di San Vendemiano, apparso in un volume edito nel 1999 a cura del comune, chi scrive gli ha assegnato il dipinto su tela raffigurante la "Madonna del Rosario tra papa Pio V, il doge

5) Nel 1995 in "Cassamarca. Opere restaurate nella Marca Trivigana 1 987-1995" a cura di Giorgio Fossaluzza sono apparse due accurate schede relative alla pala dell'arcipretale di Corbanese (pp. 126-127) ed alle portelle del reliquiario della parrocchiale di San Valentino di Cozzuolo (pp.l 15-117).

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Mocenigo e devoti" della parrocchiale di Zoppé per delle evidenti affinità tipologiche che si possono riscontrare ad esempio con le citate pale di Visnà e di Fregona, entrambe del 1597.
In un altro contributo sull'arte di San Fior, pure apparso in un volume a cura di quel comune, il medesimo formulario figurativo viene individuato anche nella pala della "Madonna col Bambino fra i santiAndrea, Pancrazio e Lucia", ora nella parrocchiale di Castello Roganzuolo; l'Arnosti avrebbe potuto dipingerla poco prima del 1603, anno della paletta di Visnà di Miane, colà richiamata per la medesima disposizione delle figura(6).
Ci piace osservare che in occasione della esecuzione di questa pala il pittore ebbe modo di ammirare il famoso polittico del Tiziano al punto da copiarne le figure di san Pietro, san Paolo e la Madonna
con il Bambino tra schiere di angeli nella gloria del paradiso (la scena dello sfondo con la pesca miracolosa è sostituita con la "Consegna delle chiavi" a Pietro alla presenza degli altri apostoli), riproponendole nella medesima posizione nella successiva pala della parrocchiale di Valmareno, pure firmata e datata 1603, che è ritenuta il suo capolavoro. Nel nostro caso, l'emulazione del sommo maestro riguarda l'imponente figura di sant'An drea in primo piano desunta da quella del duomo di Serravalle, oltre naturalmente al caldo cromatismo che la contraddistingue, eco di quei tramonti infuocati che il Tiziano poteva ammirare proprio dalla sua abitazione che si era fatta costruire poco distante, in Col di Manza.

S.Arnosti, "S.Biagio in cattedra fra i santi Vito ed Elena", Ogliano, Parrocchiale.

6) G. MIES, L'arte in "San Vendemiano e il suo territorio: storia, cronaca e memoria", volume a curadi Giuliano Galletti, edito dal Comune di San Vendemiano, 1999, pp.4l7-4l9; Id., L'arte in "San Fior. Tre villaggi dell'alta pianura trevigiana dalle prime testimonianze a oggi", volume a cura di Giuliano Galletti, edito dal Comune di San Fior, 1999, p. 525-527.

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5. Arnosti, "S. Biagio in cattedra fra i santi Vito ed Elena", Ogliano, Parrocchiale.
Nuova luce sull'attività giovanile del pittore è stata fatta nel 1998 in occasione del restauro da parte di Saviano Bellé della pala della parrocchiale di Ogliano raffigurante il titolare "San Biagio vescovo in cattedra fra i santi Vito ed Elena" che evidenzia i consueti caratteri tipologici in particolare nel definire il volto di san Vito, ripreso in quello omonimo della paletta di Visnà di Miane del 1603, anche se con la variante di una chioma fluente. Nel corso del restauro, alla base del trono su cui siede san Biagio è apparsa la dedica: "A Domenico Graziani dottore in diritto civile e canonico ("Dominico Gratia/
no iur. utr. doc./ aedituo"). Siccome il don Graziani, che resse la parrocchia fino al 1582, mantenne il "beneficio di S. Biagio" fino al 5 marzo 1610, quando il successore Nicolò Alessi "trent'anni dopo la suddetta locazione intimò commiato a' Sigg. Graziani", da questa documentazione, tratta dal settecentesco "Inventano de' Beni della chiesa Parrocchiale e Matrice di S. Biagio d'Ogliano", esistente nell'archivio parrocchiale, disponiamo del termine "ante quem" per datare il dipinto.
Chiaramente datata 1618 sulla predella dell'altare è la grande tela che attualmente è addossata alla parete sinistra della pieve di S. Andrea di Bigonzo, sopra il battistero, proveniente dalla cappella del SS. Sacramento a destra dell'altare maggiore, fino al 1975 "chiamata Cappella del suffragio, perché qui sorgeva l'altare privilegiatum pro defunctis, dedicato al pontefice 5. Gregorio Magno" (Campo Dell'Orto, 1979, p. 70). Totalmente privo di vicenda critica, il dipinto raffigura la Trinità e la Vergine nella gloria del Paradiso, oltre a papa Gregorio Magno in atto di celebrare la messa assistito da quattro devoti inginocchiati ai piedi dell'altare, preceduti dal pievano Giacomo Maria Cicolla; il nome del sacerdote, affiancato dallo stemma di famiglia e da quello del vescovo Leonardo Mocenigo, compare nella iscrizione che si può leggere alla base dell'artistica ancona di legno che la incornicia (certamente opera dei Ghirlanduzzi), attualmente riparata nella chiesa di 5. Giuseppe in campis, presso il cimitero.
Genericamente assegnata a Francesco Frigimelica il Vecchio, a motivo della presenza in chiesa di altre due opere del pittore tizianesco, bellunese di

S. Arnosti, "La messa di 5. Gregorio Magno", Vittorio Veneto, Pieve di S. Andrea.

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adozione, si tratta invece di un'opera notevole dell'Arnosti, che in questo caso evidenzia suggestioni per l'opera del Tintoretto, in particolare per quanto riguarda la parte superiore con la folla di anime ignude che attendono di essere portate in cielo dove dominano il padre Eterno, lo Spirito Santo sotto forma di colomba e il Cristo sulle nubi contrapposto alla Madonna, ispirata al celebre "Paradiso" di palazzo Ducale a Venezia.
Questo nuovo interesse per l'opera del Tintoretto, a conferma di una certa apertura da parte del nostro che voleva sperimentare nuovi schemi rispetto a quelli prettamente tizianeschi acquisiti durante la sua formazione, lo possiamo riscontrare in un'altra pala, pure medita, che attualmente orna l'altare laterale destro della parrocchiale di Formeniga,
la cui parte superiore con l"Ultima cena" è chiaramente ripresa dalla tela omonima dipinta intorno al 1566 da Jacopo Tintoretto per la chiesa di S. Trovaso a Venezia. Identica infatti è la disposizione degli apostoli attorno al Cristo seduto al centro della tavola imbandita, fatta eccezione delle due figure all' estrema sinistra, strette alle altre per motivi di spazio, quella seduta davanti in primo piano e quella all'estrema destra con uno strano copricapo, che è lo stesso del dignitario che assiste al martirio dei santi Gervasio e Protasio nella citata paletta di Corbanese.
La parte inferiore di quest' opera di Formeniga, riportata al suo splendore cromatico da un accurato restauro effettuato nel 1982 dal prof. Elio Casagrande, raffigura una serie di quattro vescovi disposti a coppie ai lati di san Rocco che campeggia al centro, davanti a san Sebastiano: in primo piano, a mezzo busto, san Tiziano e san Gottardo, patroni rispettivamente della diocesi di Ceneda e del bestiame, a motivo di un bue che compare all 'estrema sinistra, e in secondo piano san Odorico a destra e san Martino a sinistra, rappresentati con le generiche insegne vescovili della mitria e del pastorale, senza specifici attributi, ma identificabili grazie ai loro nomi scritti accanto.
Si tratta dell'opera più affollata dell'Arnosti, che del resto non era nuovo

S. Arnosti, "Pala di S.Vito", Cison di Valmarino, Chiesa di Sav Vito

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S. Arnosti, "Pala dell'altare di San Rocco", Formeniga, Parrocchiale (foto Casagrande).

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S. Arnosti, "Istorum Gratia", Vittorio Veneto, Museo del Cenedese.

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quanto a composizioni così complesse, sollecitate certo da una committenza esigente nell'esprimere la propria devozione ai santi patroni, favorite del resto da una cultura tardomanieristica e in particolare da una spiritualità controriformistica che attribuiva a tali opere una funzione preminente di illustrazione del culto nonché di fortificazione della fede.
Esempi di tal genere si possono fare agevolmente, a partire dal 1614 quando esegue la pala dell'altare maggiore di Corbanese: basti pensare alle successive pale di Tarzo, con i santi disposti a coppia su piani diversi in altezza a partire dalla Madonna con il Bambino assisa sulle nubi, di Fratte di Fregona (sotto la Madonna con Bambino compaiono tre santi disposti secondo il consueto schema piramidale), alla tela dei santi patroni pure in S. Andrea di Bigonzo (ben sette santi trovano un punto di riferimento, e quindi di coesione, seppure artificiosa, nelle due grandi croci tenute rispettivamente da sant'Andrea a sinistra e da sant'Anna a destra), per finire con la pressochè sconosciuta pala che orna la chiesetta di 5. Vito a Cison di Valmarino, dove al pittore non basta dipingere la tela centrale con il titolare fra i nutrizi Modesto e Crescenzia, preceduti da sant'Antonio abate e da san Giorgio, il tutto sovrastato dalle consuete tre persone della SS. Trinità, ma aggiunge anche due ovali ai lati con l'Angelo annunciante e la Madonna annunciata, oltre a sei tondi sui pilastrini della mensa d'altare con i quattro evangelisti ed una replica del tema dell'Annunciazione.
In mancanza di sicuri agganci documentari, come ad esempio la data di esecuzione, che comunque quasi sempre si può leggere in calce alle opere, il problema della cronologia si può risolvere raggruppandole in base alle assonanze tipologiche e tematiche.
Cosicché, ad esempio, se la bella tela del Museo del Cenedese con le tre

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"Allegorie di virtù con insegne e stemmi vescovili" èdatabile alla fine del secondo decennio del Seicento, quando dipinge la pala d'altare della chiesa di S. Maria Maggiore a Ceneda (nei due angeli alla base ricorre la stessa tipologia dei volti), il tema della Trinità, ripetuto secondo uno schema pressoché uguale, con l'austera figura del Padre Eterno che sorregge il Cristo crocefisso preceduto dalla colomba dello Spirito Santo, consente di assegnare l'esecuzione delle pale di Val di Montaner, di Casa S. Raffaele a Vittorio Veneto, di San Vito a Cison di Valmarino alla tarda attività del pittore, per intenderci dopo il 1620, quando l'adozione di un luminismo di ascendenza tintorettesca implica il superamento definitivo degli schemi tizianeschi adottati nella fase iniziale.
Su questo tema della Trinità, una novità di tutto rilievo è costituita dalla pala della parrocchiale di Albina, il cui recente restauro da parte di Saviano Bellé ha
consentito di leggere la consueta firma posta nell'angolino in basso a sinistra: "Sylvester de Arnostis Cenetensis p(ingebat)", pur priva dell'indicazione della data di esecuzione. Nelle composizione il Padre Eterno, anziché sostenere con le mani il Crocifisso, è ritratto di tre quarti a braccia distese, quasi a dare profondità e a creare un maggiore movimento alla composizione, per la verità ancora piuttosto (statica nonostante la vivacità con cui gli angioletti si librano nell'aria, nell'intento di cogliere con i calici il sangue che esce dalle ferite di Cristo.
Una piacevole sorpresa è costituita dalla presenza della palmesca Maddalena ritratta ai piedi della croce in atto di stringere al petto il santo legno, una figura che, a conoscenza di chi scrive, si incontra per la prima

S. Arnosti, "La Trinità e i Santi Sebastiano, Maria Maddalena e Rocco", Albina, Parrocchiale (foto Bellè).

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volta nella produzione del nostro, avvezzo più a figure maschili che femminili, fatta eccezione della Madonna che ricorre quasi sempre al vertice delle sue composizioni.
Anche la tipologia dei volti di san Sebastiano e di san Rocco appare diversa da quella abituale, infatti la fisionomia del primo risulta più giovanile rispetto a quanto abbiamo già visto a Visnà, Anzano e Formeniga, mentre il san Rocco ha l'aspetto decisamente più maturo e determinato nel girare lo sguardo verso lo spettatore per mostrargli la piaga della gamba, eco di quel realismo che si riscontra soprattutto nel volto di san Paolo della citata pala di Marcador di Mel, datata 1620.
Non è escluso che un provvidenziale restauro, che si rende indilazionabile dato il precario stato di conservazione, possa confermare la paternità dell'Arnosti anche riguardo alla pala che attualmente orna l'altare laterale destro della parrocchiale di Sarmede; il Cristo infatti è crocefisso alla croce nella stessa posizione di quello di Albina, mentre il san Barnaba e il san Carlo Borromeo che compaiono ai piedi della croce hanno la stessa maschera facciale rispettivamente del Padre Eterno nelle citate Trinità e del san Carlo della seconda pala di Tarzo.


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S. Arnosti, "La Trinità fra S. Barnaba e 5. Carlo Borromeo", nella Parrocchiale di Sarmede.

S. Arnosti, "Madonna della neve Regina degli Angeli", Chiesa di 5. Maria Maggiore annessa al Collegio 5. Giuseppe di Vittorio Veneto.


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