GIORGIO MIES
PER SILVESTRO ARNOSTI DA CENEDA:
ULTERIORI CONTRIBUTI
Il pittore cenedese Silvestro Arnosti non ha ancora avuto
l'onore di una monografia, eppure egli negli anni a cavallo tra Cinque
e Seicento è stato, per così dire, il decoratore ufficiale
di tanti edifici pubblici e privati dell'area prealpina tra Piave e Livenza,
continuando una illustre tradizione cinquecentesca che, tra gli esponenti
di maggiore rilievo, annovera artisti di chiara fama, come Jacopo da Valenza,
Francesco da Milano e lo stesso Tiziano.
Fino a poco più di un secolo fa, la sua figura era pressoché
sconosciuta alla storiografia artistica, nonostante egli avesse l'abitudine
di porre la firma accanto alla data, in calce alle sue opere.
La prima citazione documentaria risale al 1878 quando il vittorie se Carlo
Graziani nelle sue "Notizie storiche della città di Vittorio"
, nel ricordare che "varie di lui opere esistevano nella cattedrale
antica se abbenché giovanili" lo definiva genericamente "scolaro
di Tiziano"
L'interesse per approfondire tale notizia verrà solo una settantina
d'anni dopo da parte del direttore dell'Archivio diocesano di Vittorio
Veneto, Angelo Maschietto, che in "Miscellanea di Studi e Ricerche"
rende noti alcuni documenti relativi alle opere citate, desunti dal "Libro
dei conti della Massaria di S. Tiziano 1591-16OO"(2).
1) C. GRAZIANI, Notizie storiche della città
di Vittorio. Appendice IX: Uomini illustri
cenedesi. Manoscritto del 1878 circa esistente nella Biblioteca Civica
di Vittorio Veneto.
2) A. MASCHIETTO, Graziani dr. Carlo. Monumenti d'arte in Ceneda e Serravalle.
Silvestro Arnosti, pittore cenedese in "Miscellanea di Studi e Ricerche",
manoscritto
custodito nella Biblioteca del Seminario di Vittorio Veneto.
GIORGIO MIES. Laureato in lettere (storia dell'arte),
insegnante. Autore di importanti ricerche e numerose pubblicazioni su
arte e artisti, soprattutto della Sinistra Piave.
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A parte l 'infondata attribuzione della pala che orna l'altare maggiore
dell' arcipretale di Cordignano (il recente restauro ha consentito di
assegnare tale dipinto al bellunese Agostino Ridolfi), lo zelante archivista
ha avuto il merito di rivendicargli la paternità di altre due opere:
la "Madonna col Bambino fra i santi Sebastiano e Rocco" della
parrocchiale di Visnà di Vazzola, ora al Museo Diocesano, firmata
e datata 1597, e la pala d'altare della chiesa di Val di Montaner, pure
firmata e datata 1599, raffigurante "San Giovanni Battista fra i
santi Tiziano e Valentino".
Un'aggiunta al "corpus" delle opere del pittore è stata
fatta nel 1964 dall'allora direttore del Museo civico di Treviso Luigi
Menegazzi che nel rendere nota per la prima volta la pala della parrocchiale
di Villa Belvedere, in comune di Cordignano, firmata e datata 1604, esprimeva
pareri poco positivi, trattandosi "di un artista di scarsa personalità",
anche se "probabilmente molto richiesto dalle comunità religiose
della terra del Piave"(3).
La frammentarietà e, spesso, le imprecisioni contenute in tali
notizie hanno indotto chi scrive ad approfondirne la figura e l'opera,
dando avvio ad un processo di ricostruzione critica che, iniziato nel
1987 in "Arte del '500 nel Vittoriese" con l'assegnazione di
nuove opere inedite (la "Madonna col Bambino fra i santi Pietro e
Paolo" dell'arcipretale di Fregona, datata 1597, la "Trinità
fra sant'Augusta e santa Lucia" di Val, la "Madonna col Bambino
fra i santi Vito, Sebastiano e Rocco" a Visnà di Miane, datata
1603, la "Madonna col Bambino fra i santi Gervasio e Protasio, Gottardo
e Giuseppe", datata 1614, dell'arcipretale di Corbanese, oltre alle
telette con "San Carlo Borromeo" e il "Martirio dei santi
Gervasio e Protasio" la "Madonna col Bambino" a Ciser di
Fregona e la cosiddetta "Pala di san Giusto" alle Fratte di
Fregona, databile al 1621), è poi sfociato in uno studio monografico,
apparso nel 1991 in "Prealpi informazioni", nel quale venivano
presentati altri documenti dal 1601 al 1603 relativi alla "Paletta
di S. Cancian", ora nei depositi del Museo Diocesano, e ad altri
lavori per "depenzer la chiesa di Rugolo et l'altariol da Palà"
oltre ad una dozzina di nuove opere esistenti a Castello Roganzuolo, Sarmede,
Tarzo, Cozzuolo, Anzano, Pianzano e Vittorio Veneto (Chiese di S. Andrea,
di S. Raffaele, duomo di Serravalle, Museo del Cenedese, Chiesa di S.
Maria Maggiore annessa al Collegio S. Giuseppe), per finire nel Bellunese
con la pala raffigurante la "Madonna col Bambino e i santi Pietro
e Paolo", firmata e datata 1620, nella chiesetta di Marcador di Mel(4).
3) L. MENEGAZZI, Di Giambattista Cima da Conegliano e di
Silvestro de Arnosti da
Ceneda in "Arte veneta", 1964, pp. 169-170.
4) G. MIES, Arte del '500 nel Vittoriese, Vittorio Veneto 1987, pp. 106-1
09; Id., Silvestro
Arnosti da Ceneda, in "Prealpi informazioni", giugno 1991, pp.
31-40.
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S. Arnosti,
"Madonna col bambino frai santi Vito, Sebastiano e Rocco", Miane,
Chiesa di Visnà (foto Ceschin).
S. Arnosti, "Pala del Rosario" S. Vendemiano, Parrocchiale di
Zoppe.
Dopo la pubblicazione di queste ricerche, il percorso stilistico
del pittore, almeno a grandi linee, si può ritenere definito, anche
se resta ancora da chiarire il periodo iniziale della sua produzione e
in particolare la formazione che, in base a recenti acquisizioni, dovrebbe
essere avvenuta nella bottega di Cesare e Marco Vecellio, continuatori,
seppure in tono minore, dell'arte del loro ben più famoso parente,
il Tiziano(5).
Infatti in un contributo sull'arte di San Vendemiano, apparso in un volume
edito nel 1999 a cura del comune, chi scrive gli ha assegnato il dipinto
su tela raffigurante la "Madonna del Rosario tra papa Pio V, il doge
5) Nel 1995 in "Cassamarca. Opere restaurate
nella Marca Trivigana 1 987-1995" a cura di Giorgio Fossaluzza sono
apparse due accurate schede relative alla pala dell'arcipretale di Corbanese
(pp. 126-127) ed alle portelle del reliquiario della parrocchiale di San
Valentino di Cozzuolo (pp.l 15-117).
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Mocenigo e devoti" della parrocchiale di Zoppé per delle evidenti
affinità tipologiche che si possono riscontrare ad esempio con
le citate pale di Visnà e di Fregona, entrambe del 1597.
In un altro contributo sull'arte di San Fior, pure apparso in un volume
a cura di quel comune, il medesimo formulario figurativo viene individuato
anche nella pala della "Madonna col Bambino fra i santiAndrea, Pancrazio
e Lucia", ora nella parrocchiale di Castello Roganzuolo; l'Arnosti
avrebbe potuto dipingerla poco prima del 1603, anno della paletta di Visnà
di Miane, colà richiamata per la medesima disposizione delle figura(6).
Ci piace osservare che in occasione della esecuzione di questa pala il
pittore ebbe modo di ammirare il famoso polittico del Tiziano al punto
da copiarne le figure di san Pietro, san Paolo e la Madonna
con il Bambino tra schiere di angeli nella gloria del paradiso (la scena
dello sfondo con la pesca miracolosa è sostituita con la "Consegna
delle chiavi" a Pietro alla presenza degli altri apostoli), riproponendole
nella medesima posizione nella successiva pala della parrocchiale di Valmareno,
pure firmata e datata 1603, che è ritenuta il suo capolavoro. Nel
nostro caso, l'emulazione del sommo maestro riguarda l'imponente figura
di sant'An drea in primo piano desunta da quella del duomo di Serravalle,
oltre naturalmente al caldo cromatismo che la contraddistingue, eco di
quei tramonti infuocati che il Tiziano poteva ammirare proprio dalla sua
abitazione che si era fatta costruire poco distante, in Col di Manza.
S.Arnosti,
"S.Biagio in cattedra fra i santi Vito ed Elena", Ogliano, Parrocchiale.
6) G. MIES, L'arte in "San Vendemiano e il suo territorio:
storia, cronaca e memoria", volume a curadi Giuliano Galletti, edito
dal Comune di San Vendemiano, 1999, pp.4l7-4l9; Id., L'arte in "San
Fior. Tre villaggi dell'alta pianura trevigiana dalle prime testimonianze
a oggi", volume a cura di Giuliano Galletti, edito dal Comune di
San Fior, 1999, p. 525-527.
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5. Arnosti, "S. Biagio in cattedra fra i santi Vito ed Elena",
Ogliano, Parrocchiale.
Nuova luce sull'attività giovanile del pittore è stata fatta
nel 1998 in occasione del restauro da parte di Saviano Bellé della
pala della parrocchiale di Ogliano raffigurante il titolare "San
Biagio vescovo in cattedra fra i santi Vito ed Elena" che evidenzia
i consueti caratteri tipologici in particolare nel definire il volto di
san Vito, ripreso in quello omonimo della paletta di Visnà di Miane
del 1603, anche se con la variante di una chioma fluente. Nel corso del
restauro, alla base del trono su cui siede san Biagio è apparsa
la dedica: "A Domenico Graziani dottore in diritto civile e canonico
("Dominico Gratia/
no iur. utr. doc./ aedituo"). Siccome il don Graziani, che resse
la parrocchia fino al 1582, mantenne il "beneficio di S. Biagio"
fino al 5 marzo 1610, quando il successore Nicolò Alessi "trent'anni
dopo la suddetta locazione intimò commiato a' Sigg. Graziani",
da questa documentazione, tratta dal settecentesco "Inventano de'
Beni della chiesa Parrocchiale e Matrice di S. Biagio d'Ogliano",
esistente nell'archivio parrocchiale, disponiamo del termine "ante
quem" per datare il dipinto.
Chiaramente datata 1618 sulla predella dell'altare è la grande
tela che attualmente è addossata alla parete sinistra della pieve
di S. Andrea di Bigonzo, sopra il battistero, proveniente dalla cappella
del SS. Sacramento a destra dell'altare maggiore, fino al 1975 "chiamata
Cappella del suffragio, perché qui sorgeva l'altare privilegiatum
pro defunctis, dedicato al pontefice 5. Gregorio Magno" (Campo Dell'Orto,
1979, p. 70). Totalmente privo di vicenda critica, il dipinto raffigura
la Trinità e la Vergine nella gloria del Paradiso, oltre a papa
Gregorio Magno in atto di celebrare la messa assistito da quattro devoti
inginocchiati ai piedi dell'altare, preceduti dal pievano Giacomo Maria
Cicolla; il nome del sacerdote, affiancato dallo stemma di famiglia e
da quello del vescovo Leonardo Mocenigo, compare nella iscrizione che
si può leggere alla base dell'artistica ancona di legno che la
incornicia (certamente opera dei Ghirlanduzzi), attualmente riparata nella
chiesa di 5. Giuseppe in campis, presso il cimitero.
Genericamente assegnata a Francesco Frigimelica il Vecchio, a motivo della
presenza in chiesa di altre due opere del pittore tizianesco, bellunese
di
S. Arnosti, "La messa di 5. Gregorio Magno", Vittorio Veneto,
Pieve di S. Andrea.
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adozione, si tratta invece di un'opera notevole dell'Arnosti, che in questo
caso evidenzia suggestioni per l'opera del Tintoretto, in particolare
per quanto riguarda la parte superiore con la folla di anime ignude che
attendono di essere portate in cielo dove dominano il padre Eterno, lo
Spirito Santo sotto forma di colomba e il Cristo sulle nubi contrapposto
alla Madonna, ispirata al celebre "Paradiso" di palazzo Ducale
a Venezia.
Questo nuovo interesse per l'opera del Tintoretto, a conferma di una certa
apertura da parte del nostro che voleva sperimentare nuovi schemi rispetto
a quelli prettamente tizianeschi acquisiti durante la sua formazione,
lo possiamo riscontrare in un'altra pala, pure medita, che attualmente
orna l'altare laterale destro della parrocchiale di Formeniga,
la cui parte superiore con l"Ultima cena" è chiaramente
ripresa dalla tela omonima dipinta intorno al 1566 da Jacopo Tintoretto
per la chiesa di S. Trovaso a Venezia. Identica infatti è la disposizione
degli apostoli attorno al Cristo seduto al centro della tavola imbandita,
fatta eccezione delle due figure all' estrema sinistra, strette alle altre
per motivi di spazio, quella seduta davanti in primo piano e quella all'estrema
destra con uno strano copricapo, che è lo stesso del dignitario
che assiste al martirio dei santi Gervasio e Protasio nella citata paletta
di Corbanese.
La parte inferiore di quest' opera di Formeniga, riportata al suo splendore
cromatico da un accurato restauro effettuato nel 1982 dal prof. Elio Casagrande,
raffigura una serie di quattro vescovi disposti a coppie ai lati di san
Rocco che campeggia al centro, davanti a san Sebastiano: in primo piano,
a mezzo busto, san Tiziano e san Gottardo, patroni rispettivamente della
diocesi di Ceneda e del bestiame, a motivo di un bue che compare all 'estrema
sinistra, e in secondo piano san Odorico a destra e san Martino a sinistra,
rappresentati con le generiche insegne vescovili della mitria e del pastorale,
senza specifici attributi, ma identificabili grazie ai loro nomi scritti
accanto.
Si tratta dell'opera più affollata dell'Arnosti, che del resto
non era nuovo
S. Arnosti, "Pala di S.Vito", Cison di Valmarino, Chiesa
di Sav Vito
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S. Arnosti,
"Pala dell'altare di San Rocco", Formeniga, Parrocchiale (foto
Casagrande).
73
S.
Arnosti, "Istorum Gratia", Vittorio Veneto, Museo del Cenedese.
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quanto a composizioni così complesse, sollecitate
certo da una committenza esigente nell'esprimere la propria devozione
ai santi patroni, favorite del resto da una cultura tardomanieristica
e in particolare da una spiritualità controriformistica che attribuiva
a tali opere una funzione preminente di illustrazione del culto nonché
di fortificazione della fede.
Esempi di tal genere si possono fare agevolmente, a partire dal 1614 quando
esegue la pala dell'altare maggiore di Corbanese: basti pensare alle successive
pale di Tarzo, con i santi disposti a coppia su piani diversi in altezza
a partire dalla Madonna con il Bambino assisa sulle nubi, di Fratte di
Fregona (sotto la Madonna con Bambino compaiono tre santi disposti secondo
il consueto schema piramidale), alla tela dei santi patroni pure in S.
Andrea di Bigonzo (ben sette santi trovano un punto di riferimento, e
quindi di coesione, seppure artificiosa, nelle due grandi croci tenute
rispettivamente da sant'Andrea a sinistra e da sant'Anna a destra), per
finire con la pressochè sconosciuta pala che orna la chiesetta
di 5. Vito a Cison di Valmarino, dove al pittore non basta dipingere la
tela centrale con il titolare fra i nutrizi Modesto e Crescenzia, preceduti
da sant'Antonio abate e da san Giorgio, il tutto sovrastato dalle consuete
tre persone della SS. Trinità, ma aggiunge anche due ovali ai lati
con l'Angelo annunciante e la Madonna annunciata, oltre a sei tondi sui
pilastrini della mensa d'altare con i quattro evangelisti ed una replica
del tema dell'Annunciazione.
In mancanza di sicuri agganci documentari, come ad esempio la data di
esecuzione, che comunque quasi sempre si può leggere in calce alle
opere, il problema della cronologia si può risolvere raggruppandole
in base alle assonanze tipologiche e tematiche.
Cosicché, ad esempio, se la bella tela del Museo del Cenedese con
le tre
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"Allegorie di virtù con insegne e stemmi vescovili"
èdatabile alla fine del secondo decennio del Seicento, quando dipinge
la pala d'altare della chiesa di S. Maria Maggiore a Ceneda (nei due angeli
alla base ricorre la stessa tipologia dei volti), il tema della Trinità,
ripetuto secondo uno schema pressoché uguale, con l'austera figura
del Padre Eterno che sorregge il Cristo crocefisso preceduto dalla colomba
dello Spirito Santo, consente di assegnare l'esecuzione delle pale di
Val di Montaner, di Casa S. Raffaele a Vittorio Veneto, di San Vito a
Cison di Valmarino alla tarda attività del pittore, per intenderci
dopo il 1620, quando l'adozione di un luminismo di ascendenza tintorettesca
implica il superamento definitivo degli schemi tizianeschi adottati nella
fase iniziale.
Su questo tema della Trinità, una novità di tutto rilievo
è costituita dalla pala della parrocchiale di Albina, il cui recente
restauro da parte di Saviano Bellé ha
consentito di leggere la consueta firma posta nell'angolino in basso a
sinistra: "Sylvester de Arnostis Cenetensis p(ingebat)", pur
priva dell'indicazione della data di esecuzione. Nelle composizione il
Padre Eterno, anziché sostenere con le mani il Crocifisso, è
ritratto di tre quarti a braccia distese, quasi a dare profondità
e a creare un maggiore movimento alla composizione, per la verità
ancora piuttosto (statica nonostante la vivacità con cui gli angioletti
si librano nell'aria, nell'intento di cogliere con i calici il sangue
che esce dalle ferite di Cristo.
Una piacevole sorpresa è costituita dalla presenza della palmesca
Maddalena ritratta ai piedi della croce in atto di stringere al petto
il santo legno, una figura che, a conoscenza di chi scrive, si incontra
per la prima
S. Arnosti, "La Trinità e i Santi Sebastiano, Maria Maddalena
e Rocco", Albina, Parrocchiale (foto Bellè).
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volta nella produzione del nostro, avvezzo più
a figure maschili che femminili, fatta eccezione della Madonna che ricorre
quasi sempre al vertice delle sue composizioni.
Anche la tipologia dei volti di san Sebastiano e di san Rocco appare diversa
da quella abituale, infatti la fisionomia del primo risulta più
giovanile rispetto a quanto abbiamo già visto a Visnà, Anzano
e Formeniga, mentre il san Rocco ha l'aspetto decisamente più maturo
e determinato nel girare lo sguardo verso lo spettatore per mostrargli
la piaga della gamba, eco di quel realismo che si riscontra soprattutto
nel volto di san Paolo della citata pala di Marcador di Mel, datata 1620.
Non è escluso che un provvidenziale restauro, che si rende indilazionabile
dato il precario stato di conservazione, possa confermare la paternità
dell'Arnosti anche riguardo alla pala che attualmente orna l'altare laterale
destro della parrocchiale di Sarmede; il Cristo infatti è crocefisso
alla croce nella stessa posizione di quello di Albina, mentre il san Barnaba
e il san Carlo Borromeo che compaiono ai piedi della croce hanno la stessa
maschera facciale rispettivamente del Padre Eterno nelle citate Trinità
e del san Carlo della seconda pala di Tarzo.
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S. Arnosti, "La Trinità fra S. Barnaba e 5. Carlo Borromeo",
nella Parrocchiale di Sarmede.
S. Arnosti, "Madonna
della neve Regina degli Angeli", Chiesa di 5. Maria Maggiore annessa
al Collegio 5. Giuseppe di Vittorio Veneto.
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