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GIORGIO ARNOSTI
IN MARGINE ALLA MOSTRA SU "IL TEMPO DEI LONGOBARDI"
Nel catalogo della mostra, e negli articoli promozionali
sulla stampa locale, sono apparse alcune datazioni o valutazioni sui Longobardi
o sul ducato di Ceneda, che non vorrei passassero come dati assodati,
o peggio circolassero come atti di fede per chissà ancora quanto
tempo.
L'ingressus nella Venetia.
Una prima considerazione concerne la datazione sull'ingresso dei Longobardi
in Italia, vanamente discussa quantomeno dalla fine del XVII secolo. Per
la critica storica e documentaria dell'episodio e relativa cronologia,
si veda l'esauriente studio del Cessi, Le prime conquiste longobarde in
Italia[1[, che peraltro non si trova mai citato nelle bibliografie degli
ultimi vent'anni. Preliminarmente serve evidenziare che il Cessi, sulla
base delle scansioni dell'intervento longobardo date dall'Origo GentisLangobardorum,
combinate con l'analisi di altre fonti più o meno contemporanee
agli avvenimenti, stabiliva una netta distinzione, oltre che cronologica,
anche sulle modalità, fra l'ingressus dei Longobardi nella Venetia
in qualità di foederati dell'Impero nella prima indizione, cioè
nel 568, e l'invasio vera
1) CESSI R. 191 8, Le prime conquiste longobarde
in Italia, in "Nuovo Archivio Veneto", n.s.,
69-70, pp.l03-l58).
GIORGIO ARNOSTI. Studi classici e laurea in scienze Politiche. Insegnante.
È curatore e autore di numerose pubblicazioni del Gruppo Archeologico
del Cenedese.
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e propria dell'Italia nella seconda indizione, nella primavera del 569(2).
L'indizione è un ciclo di quindici anni, ed il numero ordinale
dell'anno dell'indizione è pari al resto ottenuto dall'anno dell'era
volgare aumentato di 3, e diviso per 15. Per esempio il 568 aumentato
di 3, dà 571; diviso per 15 lascia come resto 1: l'indizione I
appunto (che oltretutto cadeva, per citarne alcuni, anche negli anni 553,583,
e 598). L'anno indizionale iniziava generalmente col primo di Settembre.
L'indizione I, citata sopra, andava perciò dal Settembre 567 all'Agosto
568; l'indizione Il dal Settembre 568 all'Agosto 569. Orbene, sulla scorta
delle indicazioni cronologiche degli antichi cronisti il computo dell'anno
solare dell'era volgare in base all'anno indizionale, all'anno di consolato
o di postconsolato, all'anno di regno (o le loro combinazioni) è
davvero problematico; e non era certamente facile neanche per i compilatori
di allora.
Paolo Diacono, che scriveva nell'Vili secolo, assegnava l'ingresso dei
Longobardi in Italia circa nella primavera del 568, nella prima indizione:
"ne uscirono (dalla Pannonia) in Aprile, al tempo dell'indizione
prima, due giorni dopo la Pasqua, (...), ed erano già trascorsi
cinquecentosessantotto anni dall' incarnazione di Nostro Signore".
Il Diacono avrebbe ripreso i particolari cronologici dall'Ori go, di autore
anonimo della fine del VII secolo, che così proponeva l'evento:
"E lo stesso Alboino portò i Longobardi in Italia invitati
dal patrizio Narsete; e Alboino
mosse dalla Pannonia nel mese di Aprile dopo la Pasqua, nella prima indizione"[3[.
2) ORIGO GENT. LAJVGOB ., 5 (in BARTOLINI., 1982, IBarbari,
p.l 199, nota 13; CESSI, 1918, p129 e sparsim). Risulta infatti sempre
più spesso accreditata la convinzione che i Longobardi furono davvero
invitati dal patrizio, ma in qualità difoederati. Essi cioè,
vennero inizialmente accolti e stanziati nella Venetia, all'interno del
sistema di sicurezza organizzato da Narsete in Italia. Oltre al CESSI
R., 1918, Le prime conquiste; FASOLI G., 1965, I Longobardi in Italia,
p55; MOR C.G., 1980, Bizantini e Longobardi su/limite della laguna, pp.247
e segg.,. BRUEHL C.R., 1986, Storia dei Longobardi, in Magistra Barbaritas,
p98. Per citarne alcuni.
3) PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum, lI, 7; testo in BARTOLINI E.,
1982, I Barbari, p936. Il Diacono (inH.L., Il, 10) assegnava erroneamente
l'ingresso dei Longobardi e la fuga a Grado del patriarca Paolo ai tempi
di papa Benedetto 1(574-78); riprendeva infatti da ANASTASIO, Benedictus,
Patr. Lat., t.128, col.633-34: 'Eodem tempore gens Longobardorum invasit
omnem Italiam'. Questo papa venne però eletto non prima del 573,
e quindi la notizia corretta di Anastasio si riferiva in effetti all'invasio
dell'Italia Centrale.
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Concorda col 568 anche il prologo di Rotan all'Editto, del 22 Nov. 643:
"Io, nel nome di Dio, Rotari, uomo eccellentissimo e diciasettesimo
re dei Longobardi, nel mio ottavo anno di regno col favore di Dio, e nel
mio trentottesimo anno d'età, nell'indizione II, e dall'arrivo
in Italia dei Longobardi, nell'anno settantaseiesimo, da quando cioè
vifurono condotti dalla potenza divina, con l'allora re Alboino mio predecessore,
felicemenLa stessa data, calcolando l'anno iniziale, si ricava da due
epistole di
Gregorio Magno; la prima all'imperatrice Costantina, del 1 Giugno 595,
ind.XIII: "Sono già ventisette anni, da che viviamo in questa
città circondati dalle spade dei Longobardi"; l'altra all'imperatore
Foca, del 603, ind.VI:
"Quindi da quali spade e da quanti attacchi dei Longobardi siamo
quotidianamente oppressi, già da trentacinque lunghi anni ormai,
con nessuna supplica riusciamo afar pienamente comprendere"[5[.
Una controversa datazione troviamo invece nell'unico brano superstite
della succincta historiola dell'abate trentino Secondo di Non, già
consigliere della regina Teodolinda, dal quale Paolo Diacono riprendeva
buona parte delle cronache per le Venetiae. Ecco il brano, databile, dalle
indicazioni dello stesso Secondo al 580, indizione XIII[6[:
"E il suddetto anno fu bisestile, essendosi i Longobardi stanziati
in
Italia da dodici anni, da che vi siano entrati nella seconda indizione,
nel
mese di Maggio. (...). Io, Secondo, servo di Cristo, ho scritto queste
cose nel
XV anno della mia santa conversione religiosa, nell'anno I dell'impero
di
Tiberio, nel mese di Giugno, indizione XIII".
In questo passaggio corrisponderebbe la citazione dell'indizione XIII
per il mese di Giugno dell'anno bisestile 580. Ma ci sarebbero delle incongruenze
cronologiche. Non tornerebbe con le fonti citate sopra la datazione dell'ingresso
longobardo nella Il indizione (Settembre 568 - Agosto 569); e non
4) BLUHME, 1869, Edictus, p.l; e per una
più precisa datazione dell'Editto, all'art.388: "e
dal presente ventiduesimo giorno di questo mese di Novembre, nell'indizione
seconda', a
p.73.
5) GREGORIO I, Epist., in Patr. Lat., t.77, rispettivamente Lib.V, md.
XIII, ep. 21, col.749;
e Lib.XIII, md. VI, ep. 38, col.1288. Cfr. CESSI, 1918, p.l36.
6) TROYA C., 1852, Cod. Dipl. Long., in St. d'lt. del M.E., vol.IV, NA,
nr.8, pp.2i-24; e nota
cronologica a p. 22, 23.
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quadra il riferimento all'anno I di Tiberio (imperatore dal 5Ottobre del
578), che nel Giugno della XIII indizione (a. 580) era eventualmente il
Il. Tiberio infatti fu consacrato imperatore ai primi di Ottobre del 578,
e quindi il 'Tiberii an. I' durava dall'Ottobre del 578 a i primi di Ottobre
del 579.
Per queste anomale indicazioni cronologiche, ove non siano dovute ad errori
di copiatura degli amanuensi nei secoli, sembra che Secondo abbia seguito
annotazioni indizionali da Mario Aventicense, un cronista di Losanna della
fine del VI secolo. Questi correttamente annotava il decesso di Giustino
IL sotto il XIII anno di consolato dello stesso Giustino (dal Nov. 577
al 578; avendo questi assunto l'impero nel Novembre inoltrato del 565),
nella XII indizione (che andava da Sett. 578 ad Ago. 579): 'Anno XIII
cons. Justini jun. Aug., md. xii. Eo anno mortuus est JustinusAugustus'
[7[ Sempre Mario con quest'altra annotazione, 'Anno I cons. Tiberii Constantini
Augusti, ind. XIII. Eo anno, mense Octobre, ita in Vallensi territorio
Rhodanus exundavit, ...; et intra Italiam itafluvii exundaverunt' , assegnando
l' alluvione del Rodano in Gallia e di altri fiumi in Italia, all'Ottobre
del I anno dì consolato di Tiberio (da Ott. 578 ai primi di Ott.
579), nell'indizione XIII (Sett. 579 - Ago. 580); congruamente datava
l'evento ai primi di Ottobre del 579.
Secondo di Non, che forse riprendeva acriticamente da Mario la formula
'An. I Tiberii,XIII ind..' , erravaneli 'assegnare il mese di Giugno dell'indizione
XIII al I anno di Tiberio, che era però il Il (da Ott. 579 a Ott.
580), come si diceva.
Quanto all'occupazione longobarda d'Italia, così Mario annotava:
"Nel III annodi consolato di Giustino Il Augusto, indizione Il. Indetto
anno il re dei Longobardi Alboino, lasciata la Pannonia, sua patria, dopo
averla incendiata, con tutto l'esercito, con le mogli, ovvero con tutto
il suo popolo, occupò l'italia" [8[
7) Sul computo degli annidi Giustino e dell'indizione
vedi Dissertatio chron.-hist. de aetate Petri Senioris, Il e III, in AGNELLO
RAV., Patr. Lat., t. 106, col.625, B-C; e col.627, A-B. 8) MARIO AVENTICENSE,
Chronicon, Patr. Lat., t.72, col.799, e CESSI, 1918, Prime conquiste,
p. 105. Mario raggruppava sotto lo stesso anno l'ingressus nella Venetia,
l'invasio in Italia e l'attacco alla Gallia, che in altri cronisti sono
distribuiti sotto anni diversi; ciò confermerebbe che nella periodizzazione
dell'Aventicense qualcosa non quadra perfettamente.
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In base al calcolo del III anno di consolato di Giustino (dal Nov. 567
al Nov. 568), e della Il indizione (dal Settembre del 568 all'Agosto del
569), l'evento risulterebbe improbabilmente databile tra Settembre e Novembre
del 568.
Sembrerebbe dargli ragione Agnello, il tardo cronista ravennate delLiber
pontificalis Ravenn., del IX secolo: "Questi (il vescovo Pietro)fu
consacrato in Roma nella Il indizione, il XVII giorno prima delle Calende
di Ottobre, (...). Quell'anno la Venezia venne invasa ed occupata dai
Longobardi; e senza alcuna battaglia i militi imperiali furono cacciati"[9[.
Se il vescovo Pietro fu consacrato il 15 di Settembre nella Il indizione,
siamo ancora nell'annus Domini 568; ed in quello stesso IL anno indizionale
(tra Settembre 568 e Agosto 569) i Longobardi sarebbero entrati nella
Venetia (ma in quale mese?).
Queste indicazioni di Mario e di Agnello collimerebbero con l'anonimo
dell' Origo quando questi assegna 1' invasio d'Italia alla Il indizione:
"nella seconda indizione cominciarono a predare in Italia".
Ma sempre 1'Origo aveva annotato sotto l'anno indizionale precedente 1'
ingressus in Italia su invito di Narsete, alla primavera della prima indizione
(a. 568); e qui torna a proposito la distinzione che fa il succitato Cessi
fra l'ingresso nella Venezia del 568, e l'attacco alla Penisola nell'anno
successivo.
Infine, se teniamo per buone le sole indicazioni di Secondo che riguardano
il computo dell'indizione XIII al 580, e i dodici anni di permanenza in
Italia dei Longobardi a quella data, come egli annota, si ritorna ancora
concordemente con Gregorio Magno, con l'Editto di Rotari, con l'Origo,
e con Paolo Diacono (che conoscendo queste fonti aveva sicuramente fatto
bene i suoi conti), all'attestazione dell'ingresso dei Longobardi nella
Venetia al 568.
Altri pensano al 569.
Sul ducato di Ceneda.
Ceneda, che era stata la più munita piazzaforte prealpina tra Tagliamento
e Adige nelle fasi finali e negli strascichi della guerra gotica, come
attesta
9) AGNELLO, Vita Petri Senioris (568-575),
capIi, cit., col.635, D.
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Agathias - 'Cenetam Urbem suae tum ditionis incoluere'[10[ - molto probabilmente
rimase con Narsete il fulcro del tractus limitaneo nelle Prealpi Venete
centro-orientali. L'importanza strategica del castrum derivava dalla sua
collocazione nell 'epicentro del settore da cui si poteva controllare
agevolmente, con un'imponente rete di castella, tutto il sistema viario
del Veneto centrale. Nel senso dei paralleli, il sistema di vie pedemontane,
dal Tagliamento al Brenta, cioè la "Submontana", la Postoima
de Campo Mollo, la Postoima-Ungarica e la Schiavonesca. Nel senso dei
meridiani, gli sbocchi in pianura dei due grandi itinerari alpini in collegamento
con la Rezia e col Norico: la "Claudia Augusta Altinate" o la
Opitergio - Tridento, nel tratto dal medio corso del Piave all'alta valle
del Brenta; e l'altra via dal Livenza per il Fadalto al Cadore, lungo
il medio e l'alto corso del Piave (la medievale via regia, e Strada di
Allemagna nel '700).
Dopo l'annientamento degli Eruli, sistemati da Narsete a presidio della
Pedemontana Veneta, ma che si erano ribellati, qui vennero chiamati a
guarnigione i Longobardi. Il Cenitense castrum continuò con loro
ad essere il baricentro politico-militare del settore, e la piazzaforte
sarebbe stata rilevata fin dai primi momenti dell'inserimento di Alboino
nel limes della Venetia, ed i dati archeologici e toponomastici concordano
su un immediato acquartieramento longobardo.
Ceneda fu sede di distrettuazione militare o di ducato. Con tale attribuzione,
la città compare abbastanza tardi nelle fonti storiche e documentarie
e queste tarde testimonianze portavano alcuni a far risalire la fondazione
del ducato cenedese con certezza solo ai primi decenni del VII secolo[11[.
Intanto si constata che nel racconto di Paolo Diacono tutti gli avvenimenti
del ducato di Forum lulii fin dagli inizi risultano circoscritti entro
ambiti che vanno dalle Alpi Giulio-Carniche fino alla sinistra idrografica
del Tagliamento. In questo senso si esprime il Cessi, e tale constatazione
aleggia pure nel Brozzi quando scrive che la particolare situazione pedologica
del
10) AGATHIAS, De bello Gotthorum et aliis
pere grinis histor. temp. suorum (...), Aug.
Vindel., 1519, lib. 11,3 (BERNARDI J., 1845, La Civica Aula Cenedese,
rist. 1976, p99- 100).
11) PELLEGRINI F., 1870, Ricerche sulle condizioni di Belluno e della
provincia fino al
secolo X e specialmente del vescovo Giovanni (963-999), BL; PELLEGRINI
G., Origini,
1882; ANDRICH G.L, 1899, p.31; VITALA., 1936; GASPARRI, 1978,1 duchi longobardi,
p26; e CUSCITO G., 1983, pp.79- 107.
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la destra Tagliamento "consigliava di attestare al di qua (sulla
sinistra idrografica) del fiume Tagliamento - da Ragogna a Codroipo -
i presidi militari e le fare" del ducato forogiuliano"[12[.
Da evidenziare ancora che già da Venanzio Fortunato, ed è
importantissima la sua testimonianza, il Tagliamento veniva sentito come
tradizionale confine tra due diversi ambiti geo-politici, ed il nostro
poeta doveva trarre spunto ovviamente dalla constatazione delle distrettuazioni
esistenti ai suoi tempi[13[:
"...da questo fiume in poi ci sono le terre dei Veneti...".
Effettivamente l'imprevedibile fiume Tagliamento, con i frequenti periodi
di piena di quegli anni e spesso inguadabile, doveva costituire un buon
baluardo dal punto di vista strategico, per cui fu giocoforza ab antiquo
organizzare i territori rivieraschi in due diversi ambiti giurisdizionali
o di intervento.
Naturalmente il precoce ducato longobardo a Ceneda si spiega con la considerazione,
ancora una volta, dell'intrinseca valenza strategica del settore, forse,
fino alla metà del VII secolo, addirittura più rilevante
di quella di Forum lulii. Ciò, malgrado la carente documentazione
archeologica e storica, sarebbe dimostrato dal fatto che nella prouincia
cenedese si constata in assoluto la maggiore concentrazione difarae registrata
in Italia; e si sa che le fare sono indizio di precoce insediamento longobardo,
e che sullefare si incentrava il loro originario sistema strategico[14[.
Era sicuramente fondamentale la funzione anti-franca del tractus prealpino
cenedese, a controllo degli sbocchi in pianura di due grandi percorsi
alpini dalla Rezia e dal Norico. A ciò si aggiunga che non meno
determinante doveva essere il presidio dei collegamenti viari sulla Pedemontana
con finalità antiromaica, in seguito al mutamento delle prospettive
politiche di Alboino, sortite con l'invasio del 569. Se infine constatiamo
che da parte bizantina, si organizzò nella dirimpettaia Oderzo
non solo un forte caposaldo
12) CESSI R., 1978, Concordia dal Medioevo
al dominio veneziano, in AA.VV., 1978,
IULIA CONCORDIA, TV, p.27O e n.9. BROZZI M., 1981,11 ducato longobardo
del Friuli,
p.1 5.
13) VENANZIO FORTUNATO, Vita S.cti Mart., IV, vv.655-656.
14) La decina difarae in ARNOSTI, 1995, Appunti su/Ducato Longobardo di
Ceneda, p.2225; non vi veniva elencata lafara di Cavolano, mentre erroneamente
si inseriva B.go Fara di
Azzano Decimo, per B.go Facca, su suggestione di BROZZI M., 1981, Ducato,
p.l 5, nota 11.
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in funzione antilongobarda, ma anche la sede del magister militum con
giurisdizione su tutti i territori imperiali della "Venetia maritima",
o meglio della Secunda Venetia, non c'è alcun dubbio che anche
in Ceneda s'era imposta di necessità l'immediata presenza di una
base operativa longobarda e di un autonomo potere decisionale quale quello
di un dux. Così ritengono la Fasoli, il Brozzi ed il Mor.
E vale la pena ora chiudere l'argomento, con le parole sempre del Mor
sull'origine del ducato di Ceneda:
"e quando qualche secolo dopo, nei diplomi di Berengario I si ritrovano
menzionate corti regie accanto a corti ducali, è chiaro che ci
si rifà ad una distinzione che non può risalire se non alla
fine del VI secolo, cioè al primo insediamento longobardo, e direi
senza ombra di dubbio al momento alboiniano".
Sul ducato di Treviso.
Intanto dalle fonti non si ha notizia di quando Treviso sia passata in
mano longobarda, ma il Brozzi ipotizzava che un ducato longobardo vi venisse
istituito contemporaneamente a quello di Ceneda[15[. Non sembra però
che ai tempi di Alboino la città rivestisse un qualche interesse
strategico per il controllo dei percorsi su per il Brenta e sul pedemonte
asolano, dai quali era oltretutto separata dalla fascia di terre umide
della linea delle risorgive, circa all'altezza dell'antica via Postumia.
A ciò si aggiunga, per il territorio tarvisiano ristretto, la mancanza
dei significativi toponimi fara, che per ragionevole ipotesi sono stati
riferiti al primissimo inserimento dei Longobardi.
Treviso fu appunto lasciata indisturbata; e quando il suo vescovo Felice,
si fece deferentemente incontro ad Alboino al Piave, il presule ottenne
dal re un pragmaticum con la conferma delle prerogative della sua Chiesa.
Cioè, molto probabilmente, nella sua funzione civica di defensor,
Felice patteggiò per la città e riuscì ad ottenere
l'esenzione - 'ut (Alboin) erat largissimus' o la riduzione degli oneri
di approvvigionamento (le tertiae) per le nuove
15) BROZZI M., 1978, Appunti per una storia
dei ducati longobardi di Ceneda e Treviso, p.26. Treviso non risulta nell'elenco
delle città venete conquistate in PD., 11,14; nè, anche
se poco significativo, un suo duca compare nell'elenco in PD., Il, 32.
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milizie confinarie, acquartierate sulla Pedemontana[16[.
Qui si tenderebbe ad escludere un'occupazione della città, anche
dopo la rivolta di Alboino contro l'Impero. Un labile indizio che Treviso
rientrasse ancora in ambito imperiale, indicativamente fino a poco prima
del 579, potrebbe essere la constatazione che all'epoca della ristrutturazione
delle chiese di Santa Maria delle Grazie e di Sant'Eufemia a Grado (consacrata
il 3 novembre del 579), fra i donatori di lacerti musivi, compaiono il
primicerio Zimarco, ed i milites Lorenzo e Stefano del numerus Tarvisiano[17[.
Questi oblatori attesterebbero l'esistenza di un contingente romaico,
con milizia di regolare arruolamento trevigiano, ancora in organico una
decina d'anni dopo il primo inserimento longobardo nella Venezia.
Quando poi il vescovo Felice di Treviso, al sinodo tricapitolino di Marano
del 590-91, sottoscrive assieme ad altri presuli della Venezia una supplica
per l'imperatore Maurizio, egli si dichiara residente in terra longobarda;
e alla fine del VI secolo viene appunto ricordato dal Diacono il duca
ribelle Ulfari, assediato e catturato da re Agilulfo aput Tarvisium[18[.
Il Brozzi assegnava 1' asolano alla competenza del ducato
tarvisiano[19[. Si suppone invece che i territori pedemontani di Asolo,
dalla destra del Piave fino alla Valle Solagna sul Brenta, con l'incrocio
fra la Schiavonesca e la via che lungo il Brenta saliva verso la Valsugana,
dipendessero invece dal ducato di Ceneda. Così si ricava dallo
Schneider, sulla base del documento di Berengario del 915, che indicava
nella vallis nuncupata Solana la
16) PD., Il, 12. Con una constitutio del
530, ribadita in una novella del 545, Giustiniano pose
i vescovi a capo dell'amministrazione finanziaria della città,
e in particolare affidò loro il
controllo delle spese per i lavori pubblici (RAVEGNANI G., 1983, Castelli
e città fortificate
nel VI secolo, p.8l e nota 54). Con la Fra gmatica sanctio del 554, ai
vescovi veniva
riconosciuta la qualità di pubblici ufficiali, tra cui l'importante
funzione di defensores (PEPE,
ed. 1973,1/medioevo barbarico, p. 106). Il defensor era determinante per
quel che riguardava
la distribuzione degli oneri tributari e gli sgravi fiscali (BESTA, 1950,
St.Diritto It., pp.15455; pp.2l3-2l6).
17) SPAGNOLO E., 1982, Evangelizzazione, p.31; BRUSIN G., 1958, Aquileia
e Grado, in
Storia di Venezia, vol.II, p.S32). CESSI, 1940, Docum., n.4, p.'7.
18) CESSI, 1940, Docum, n. 8, p19. P.D., IV, 3.
19) BROZZI, 1978, Appunti, p25.
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convergenza dei confini dei comitati franchi di Trento e di Ceneda[20[,
confini sicuramente ereditati dai rispettivi ducati longobardi. E' certamente
vero che sempre nella donazione di Berengario, alcune vie di diritto regio
poste più a Sud della Valle erano di pertinenza del comitato tarvisino,
ma questa espansione a nord della Postumia, oltre la linea delle risorgive,
e nell 'Asolano, sarebbe eventualmente da attribuire alla tarda età
longobarda o anche a quella carolingia[21[. Asolo, già sede di
diocesi a partire dal VI secolo (presumibilmente impostata entro gli ambiti
di una sotto-distrettuazione romaica poi longobarda), decadde fortemente
in età post-longobarda, tanto che nel X secolo il suo territorio
venne smembrato. Col succitato documento di Berengario del 915 parte dell'Asolano
sul Brenta venne assegnato al vescovo di Padova; e nel 969 il castello
con la chiesa di Santa Maria "già sede di episcopato"
,con tutte le sue dipendenze ecclesiastiche e pertinenze venne donata
da Ottone I al vescovo di Treviso[22[.
La "terminatio liutprandina" ed il duca cenedese
Paulicio.
In seguito agli avvenimenti della crisi iconoclasta in Italia (a partire
dal 726), coerentemente con l'esordio in forze dei Venetici nello scenario
delle lotte in Italia (la liberazione di Ravenna dai Longobardi, nel 734),
e con la loro dimostrazione sia di capacità operativa che di autonoma
volontà decisionale (si erano eletti temporaneamente un dux, nel
727), i Longobardi stipulavano un accordo di confinazione con i vicini
Eracleani.
Degli atti originari non c'è più traccia, ma gli statuti
della terminatio furono richiamati nell'840, un secolo dopo la prima stipula,
nell'art.26 del pactum Lotharii[23[:
20) SCHNEIDER, 1980, Origini dei Comuni Rurali
in Italia, p.l 33: "qui le arimannie della
Vailis Solana del ducato di Ceneda proseguono ..". Il doc. del 915,
in SCHIAPARELLI,
Dipl.Ber., 1903, CI, p.265; LOTTI, Series Episc. Cenet., ms., Bibl. Sem.,
Vitt. V.to, doc.V.
21) Per ipotesi ai tempi dire Desiderio quando la città forse assunse
una particolare valenza
giuridica che le avvalse il diritto di avere una 'monita puplica' (infra).
22) M.G.H., Dipl.Ottonis I, doc.378, del 10 Ago. 969, pp.5 18-20. Il possesso
del castello di
Asolo venne confermato al vescovo Rozo con un diploma di Ottone III, del
991 (M.G.H.,
Dipl.Ottonis III, doc.69, del 18 Apr. 991, pp.476-77), e con un altro
del 996 (M.G.H.,
Dipl.Ottonis III, doc.225, del 5 Ago. 996, p.639).
23) CESSI, 1940, Docum., I, doc. n.55, p.lO7 (cfr. CARILE, 1978, p.226).
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"Riguardo ai confini di Cittanova, stabiliamo che la confinazione
così comefufattafin dal tempo dire Liutprando tra il duca Paulicio
e il magister militum Marcello, tale e quale debba rimanere, secondo quanto
a voi Civitatini Novi concesse Astolfo".
La "terminatio Liutprandina" risulta un passaggio cruciale nell'evoluzione
della Venetia Secunda da provincia bizantina a stato sovrano, e si ritrova
evidenziata in tutte le antiche cronache venetiche. Nel Chronicon Venetum
di Giovanni Diacono, dell'XI secolo, il patto confmario risulta concordato
dallo stesso Paulicio direttamente con re Liutprando:
"Infatti (Paulicio) rafforzò un vincolo dipace duratura col
re Liutprando, dal quale riuscì ad ottenere gli statuti del patto,
che ancora oggi permangono tra il popolo dei Venetici e quello dei Longobardi.
Egli stabilì con lo stesso re in particolare i confini di Cittanova,
che sono fino ad oggi posseduti dai Venetici, ovverosia dal Piave maggiore,
lungo il quale i luoghi segnati a confine si possono distinguere, fino
alla Piavesella"[24[.
Quanto a Paulicio, indicato da Giovanni come primo duca venetico, la sua
figura di primo doge di Venezia dovrebbe però essere espunta dal
catalogo ducale, a parere del Cessi. A questo eminente storico, il Paoluccio
appariva piuttosto come un esarca ravennate, o il duca della Venetia et
Histria, cioè della eparchìa Istrìas sotto controllo
imperiale[25[. Assodato però che la terminatio definiva vertenze
confinarie tra Longobardi e Venetici nella zona di Cittanova Eracliana;
e che, col beneplacito di re Liutprando, il patto era stato sicuramente
stipulato tra un duca longobardo ed un magister militum della provincia
bizantina, il Bognetti, d'accordo col Kohlschuetter, riteneva che Paulucio
fosse appunto un duca longobardo, ma erroneamente lo assegnava a Treviso[26[.
Partendo da queste considerazioni, è certo invece che Paulicio
era duca a Ceneda, e l'argomento decisivo deriva dalla constatazione che
la terminatio stabiliva i confini tra i territori della provintia venetica
e quelli della
24) Cfr. GIOVANNI DIAC., Chronicon Ven., P.L., t.139, col.892.
25) CESSI, 1958, Politica, Economia, Religione, in Storia di Venezia,
Il, pp.7l-72 (cfr.
CESSI, 1951 ,Le origini del ducato veneziano, NA, p. 156). Al riguardo
anche CARILE, 1978,
p.226-2'7.
26) BOGNETTI G.P., Natura,polltica e religioni nelle origini di Venezia,
IV, p.523; IDEM,
Il contributo dell'archeologia alla critica delle più antiche leggende
su Venezia, in L'età
longobarda, IV, p.256.
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iudiciaria cenedes[27[. Per l'appunto, quando all 'art. 28 del pactum
Lotharii vengono ribaditi i confini, già definiti un secolo avanti
dalle due parti in causa rappresentate da Paulicio e da Marcello, la conf
inazione viene segnata "dal Piave maggiore fino alla Piave secca"[28[:
"(Stabiliamo che) le greggi delle vostre parti si debbano con sicurezza
far pascolare fino al confine, che il duca Paulicio aveva fissato coi
Civitatini Novi, come si legge nel patto, dal Piave maggiore fino alla
Piave secca, che è confine e proprietà vostra".
Ed i confini citati sono proprio i limiti meridionali del ducato longobardo
di Ceneda, che furono ricalcati dal comitatus franco. Ne abbiamo conferma
da due carte del X secolo, quando, ai tempi del doge Pietro Orseolo Il,
la zona venne rivendicata dai Venetici in contrasto col vescovo Giovanni
di Belluno.
Uno dei placiti che definirono la contesa si siglò a Staffolo 'in
comitato cenetensi in loco qui dicitur Staphylo', che proprio nel nome
di origine longobarda ricorda un segnacolo confinano. La linea di confine
tra i due contendenti, ribadita nel documento del 3 Maggio del 998, si
rifà ancora esplicitamente alla terminatio dei tempi di Liutprando
e riprende perfettamente quella dell'art.28 del pactum Lothari:
"... posti questi beni nel Comitato Cenedese secondo la confinazione,
che fu fatta ai tempi di Liutprando, per cui furono definiti i confini
di Cittanova, che vanno dal Piave Maggiore, dovefufatto un argine, che
viene detto 'Formiclino' (Fiumicino), che costeggia il 'Plagione' (Piavon),
e ci sono tre cumulifatti dalla mano dell'uomo, in modo che si possa vedere
bene la stessa confi nazione; quindi passa nell'altra riva del Piavon
che scorre davanti a 'Aysolla' fino alla fossa 'Lucanica' e va a terminare
nella Piavesella, che scende da Oderzo"[29[.
Ciò pure esclude perentoriamente la valutazione, forse sfuggita
nel catalogo della mostra, che il ducato longobardo di Treviso potesse
avere i suoi confini sul Livenza!
27) ARNOSTI G:, 1995, Appunti sul Ducato Longobardo di
Ceneda, in Atti III Conv.
'Castelli tra Piave e Livenza', pp.27-28.
28) CESSI, 1940, Docum., n.55, pp.107.
29) PELLEGRINI, Ricerche, cit., docIlI, p.50: '.. positis ipsis rebus
in comitatu cenetensi de terminatione, quae facta est tempore Liutprandi
regis (cfr. CESSI, Doc. Il, n.82). La confinazione 'in comitatu cenetensi'
, pressoché con le stesse parole, viene ripetuta nel doc. del 18
Luglio 998 con cui Ottone, duca di Carinzia, sentenzia a favore dei Venetici
(PELLEGRINI, Ricerche, cit., doc.IV, p54).
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