Rassegna Bibliografica
FULVIA DAL ZOTTO. Epigramma, Cornuda, Grafiche Antiga,
1985,
s.d.
Dopo Epigrammata 1975 è questa la seconda raccolta
di "epigrammi" dell'autrice di Valdobbiadene che intende "epigramma"
non già nell'accezione retorico-formalistica del termine, manell'accezione
radicalmente etimologica di "scrittura sopra", la poesia diventa
perciò espressone di coraggio delle parole oltre la cosalità
inerte di un mondo privo di rapporti linguistico-comunicativi, dove 1
'alterità rimane estranea e assente, e lascia l'uomo nella sua
solipsistica chiusura. La parola poetica, perduta la propria funzione
di riconoscimento intersoggettivo del reale, diventa volontà ulteriore
di dire nonostante tutto, nonostante la desolazione del vuoto, del silenzio,
esorcizzati proprio attraverso la loro "rappresentazione" in
questa parola necessaria, in questa parola-evento, in questa parola icastica
e centripeta, nella cui consistenza anti-letteraria e nel cui radicalismo
viscerale si condensa l'accanita sopravvivenza di un amore contraddetto
dal limite "inetto" dell'esistere.
L'urlo trattenuto, il "sussurro" dell'arte linguistica della
Dal Zotto si rivelano, allora, nell'incarnare, attraverso sapienti modalità
ellittiche, il vuoto e il silenzio nel linguaggio: un linguaggio circondato
da un incombente, allusivo silenzio; da un vuoto antico che riguarda così
la matrice etnica - quella di una civiltà agreste giunta lentissimamente
alla cultura della parola - come la matrice soggettiva, segnata da una
frattura originaria, non eludibile dall'istinto poetico dell'autrice;
ne deriva la fortissima rappresentatività agreste e etnica di una
parola che si rivela come poetica perchè motivata da un'esigenza
intrinsecamente attivo-volitiva di essere in quanto dire.
Sono le radici ataviche del mondo collinare a manifestarsi nella coscienza
etico-linguistica della Dal Zotto. E davvero, inoltre, una parola-amore
quella dell' "epigramma", che si realizza al di là della
finitezza conflittuale dell'esistere:
oltre l'universo scipita coseria; oltre le spoglie del regno umano; oltre
l'infinito privativo dell'amore umano. Le modalità compositive
rendono ardua la citazione testuale; gli stacchi, gli spazi vuoti sulla
pagina, adottati come alternanza del dicibile e dell'indicibile fin dall'esordio
di Spazio/Tempo (1973) (a cui seguono Tarlo della mia indagine - 1976-Epigramma
75; Disorizzonte - 1982) si accampano in Epigrammata 1985 con una "inversa"
significatività, sempre più densa e "necessaria".
Le dislocazioni verbali costituiscono il tramite visivo di una irrelata
discontinuità, dove il senso
emerge e si occulpa, manifestando, anche graficamente, la propria contraddetta
tensione, in un linguaggio che rifiuta in assenza, e non già per
un'operazione di tipo "sperimentale", di essere formalisticamente
codificato. Potremmo parlare, per la Dal Zotto, di un raro caso di sperimentalismo
integrale, dove l'esito linguistico, apparentemente sperimentale, rappresenta,
invece, l'immagine speculare e "necessaria" di una sofferta
motivazione interiore.
Questo alternarsi vuoto/pieno, parola/silenzio, assenza/presenza, possiede
un suo ritmo interno, una sua dinamica espressiva, un movente autentico
ed aperto che trattiene il percorso linguistico al di qua di schematismi
ripetitivi. Nei venti brevissimi testi di Epigrammata 1985 possiamo seguire
un articolarsi che dalla coscienza della finitudine illusoria ritrova
nelle percezioni visivo-tattili una possibilità di contatto con
una naturalità pre-umana e sacrale (quella medesima che aveva motivato
i riuscitissimi testi della sezione matria savana di Disorizzonte) permettendo
il ricupero di una verbalità dove si corrispondono il motivo dell'origine
con quello dell'oltre e dell'altrove: occhi compiangono/il cuore esausto...
levità di microsorrisi / velluto degli occhi... pelle dolce di
panna/peluria incolore di petali sono segnali linguistici maggiormente
resistenti alle delusioni e alle contraddizioni, e trovano il loro compiersi
nella "invocazione" finale: il soave acero / tenere latifoglie
/ agganciate al materico blu / il soave acero / il soave acero / il soave
acero.
Qui la iterazione allitterativa si pone,
infine, come densissimo approdo di senso: l'amore sacrale per il mondo
agreste, mentre implica il limite struggente dell"intatto amore",
si rivela come possibilità di ascesi mondana e di veritiera catarsi.
Paolo Leoncini
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