Rassegna Bibliografica
IDO DA ROS. 1915. Lettere dal fronte, Ed. Dario De Bastiani
- 1998
In verità è molto difficile ascrivere questo
libro ad una specifica categoria:
non é un saggio perché non esamina la materia, non é
un documento perché le lettere sono già state ridotte (a
detta dell'autore) dalla censura militare e da quella del "Gazzettino"
che, a suo tempo, le pubblicò e non si tratta di una ricerca storica
perché degli autori delle lettere, tranne il vittoriese Ettore
de Gregori, non ci viene detto nulla.
Quindi si tratta di un lavoro di copiatura con tre paginette e mezza di
introduzione.
Ed è proprio quest'introduzione a creare alquante perplessità,
nel suo contraddirsi e nell'esprimere valutazioni scarsamente attendibili.
In essa il curatore dichiara che si éaccinto a fare il lavoro di
copiatura per riempire il vuoto di epistolari sulla Grande Guerra, ma
tale vuoto sarebbe stato logico riempirlo consultando gli Archivi, i vari
Musei o chiedendo, ad esempio, ai discendenti di quanti combatterono in
quegli anni, non ricopiando le pagine dei giornali.
Inoltre il Da Ros scrive: "risulta difficile credere che quelli espressi
nelle lettere fossero sentimenti autentici del soldato italiano in guerra
o, per meglio dire, della maggioranza dei soldati. Tuttavia, pur tenendo
conto della censura (non così onnipotente e onnipresente) va accordato
alle lettere un certo grado di veridicità". A questo punto
é bene chiarire: i sentimenti espressi sono autentici oppure no?
É più logico ritenere che la minoranza dei soldati che sapeva
leggere e scrivere si occupasse della corrispondenza propria e di quella
della, purtroppo, larga fetta di commilitoni analfabeti che aveva al fianco,
da qui l'uniformità delle espressioni e dei concetti. Dubito che
le frasi d'affetto venissero tagliate dalla censura, piuttosto si trattava
del pudore di uomini d'altri tempi che, soprattutto dovendo dettare ad
un' altra persona, non amavano mettere in mostra i propri sentimenti e,
altro particolare dimenticato, non volevano urtare la sensibilità
dei parroci dei paesi d'origine eletti, dai destinatari, quali lettori
privilegiati delle missive dal fronte.
Perché meravigliarsi dell'esultanza di un soldato per aver visto
passare il Re? Ai nostri tempi si fa di peggio, quando folle in delirio
quasi si ammazzano per vedere un attore o quattro scombinati che miagolano
in un microfono.
Se davvero, come dice il curatore, le lettere esprimono "i comportamenti,
gli stati d'animo di giovani partiti per il fronte armati di forti motivazioni
e di solide convinzioni" perché in altra parte afferma che
quasi tutti partirono perché costretti a farlo? E i molti volontari?
Sembra che tutti facciano a gara a dimenticarsene.
E un vero peccato che queste lettere non siano servite come trampolino
di lancio per una ricerca capillare sugli uomini che scrissero o fecero
scrivere le lettere, sulla realtà quotidiana che si lasciarono
alle spalle partendo per il fronte, se erano mariti o padri e se tornarono.
Leggerle così non ha senso, é solo un esercizio di lettura
che non dice nulla nè al cuore, nè all 'intelletto ed é
perlomeno discutibile affermare che quanti partirono vedevano la guerra
come spettacolo, come festa e divertimento.
Mi creda, caro Da Ros, la guerra ésolo dolore, lacrime e sangue!
Loredana Imperio
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