GIANCARLO FOLLADOR
SAN GREGORIO BARBARIGO ED I RAPPORTI CON LE
COMUNITÀ VALDOBBIADENESI
Solitamente, nei libri di storia locale, quando c'è stato il tentativo
di parlare della parrocchia, si è spesso confuso la vita cristiana
di una comunità con la descrizione dettagliata dell'edificio chiesa,
delle sue opere d'arte, delle imprese realizzate dai vari parroci che
si sono susseguiti nella Cura.
E nello scalino più alto sono stati posti, con dovizia di cenni
biografici, i preti come fossero stati i soli motivi della straordinarietà
e della quotidianità dell'esperienza religiosa vista poi nella
luce e non nelle ombre.
Dunque una immagine assai deludente di questo aspetto che, forse, per
secoli, è stato più importante di quello politico.
Questo atteggiamento è stato il risultato di un certo rifiuto da
parte degli storici locali di prendere in mano ed analizzare le fonti
documentarie:
soprattutto quel poderoso materiale sotto la voce "Relazioni delle
visite pastorali".
Anche se questo tipo di fonte può risultare parziale, essa offre
la possibilità allo studioso, con una certa continuità temporale
di dieci-vent' anni, dal 1400 ai giorni nostri, di addentrarsi nel mondo
variegato delle parrocchie e scoprire l'anima della sensibilità
religiosa rurale.
Certo i documenti sono curiali, ma ogni vescovo che per uno o due giorni
rimane nel ristretto villaggio lascia un segno, perchè egli riesce
a trovare il positivo ed a mettere in evidenza anche il negativo della
vita socio-morale dei suoi fedeli, lasciando ordini diretti ai rettori,
ai parrocchiani, alle confraternite.
Il vescovo non dimentica di indagare sulla corretta gestione delle entrate
GIANCARLO FOLLADOR. Laureato in lettere, giornalista pubblicista, insegnante,
autore di numerose pubblicazioni su temi storici interessanti prevalentemente
il trevigiano, curatore e coordinatore di importanti testi di storia locale
121
e delle uscite del Beneficio, della Luminaria, della gestione dei legati
messe, delle entrate delle cosiddette "casselle" delle varie
fraglie presenti ed annesse agli altari.
Il vescovo arriva come super-visore e deve sapere. E tutti: massari, parroco,
giurati, devono rispondere alle sue domande e alle interrogazioni dei
visitatori.
Il Concilio di Trento ha cercato di mettere ordine in questa intricata
matassa e sotto tutti gli aspetti. Ma il lavoro è stato difficile
e lento. Non èstato facile modificare costumi, relazioni e trasparenze.
Nella Diocesi di Padova, Gregorio Barbarigo, ha realizzato innovazioni
profonde. Nel tempo in cui ha coperto la sede, per quattro volte ha voluto
passare in rassegna il suo territori. Scrive Liliana Billanovich: "Percorrere
l'intera diocesi di Padova era di per sé una lunga e pesante fatica.
Diocesi amplissima, comprendeva un territorio del tutto disomogeneo, anzi,
per esattezza, due territori nettamente distinti, essendo a quell'epoca
formata da due tronconi privi di continuità. A nord una vasta e
composita area montana
- pedemontana - ben distante dal centro della diocesi e in gran parte
impervia ed isolata - si estendeva dall'Astico al Piave, fino ad inglobare
il distretto di Valdobbiadene, includendo l'intero altopiano dei sette
comuni e il settore meridionale delle alpi feltrine... A sud si protendeva
la grande regione di pianura(1)". E nonostante le difficoltà,
questo vescovo arriva nel territorio
1) L. Billanovic Vitale. Per uno studio delle visite pastorali
del Barbarigo. 1. Note introduttive alla prima visita (1664-1671) in Fonti
e ricerche di storia ecclesiastica padovana XIII, Padova 1982, p. 45.
Questa è la procedura della visita pastorale come è stata
ricostruita dalla Billanovich: "La visita, generalmente compita dai
coordinatori del Barbarigo, seguiva questo ordine: Eucarestia e tabernacolo
(di solito visitati dal vescovo), battistero, olii santi, altare maggiore
e singolarmente ogni altare, confessionali, sacrestia e suppellettili,
libri parrocchiali (registri di anagrafe, registro delle messe, registro
dei battesimi, registro dei morti, registro dei matrimoni), tutta la chiesa
(con osservazioni sull'edificio, sul suo stato di conservazione), cimitero,
campanile e campane, casa parrocchiale (il suo stato e indicazione di
chi coabitava col parroco).
Per ciascuno degli oggetti esaminati vi erano, in particolare, determinati
aspetti da ispezionare: se per gli olii santi, ad esempio, la preoccupazione
principale era di verificare la corretta e sicura conservazione (in quale
luogo erano collocati e in quali contenitori riposti, chi teneva le chiavi
etc.), per i confessionali l'attenzione era portata al loro numero, onde
stabilire s'erano sufficienti, oltre che "ad formam"; così
il visitatore, recandosi nel cimitero, osservava soprattutto se era ben
chiuso e protetto, e nella sacrestia, mentre posava lo sguardo su più
cose, mai trascurava di controllare s'era esposta, e regolarmente compilata,
la tabella con gli scomunicati, i casi riservati, con le feste e vigilie
di precetto, con gli oneri di messe etc.
Il parroco e i singoli sacerdoti erano personalmente visitati dal Barbarigo,
che a ciascuno dava ordini, consigli e moniti. Del rettore e di ogni sacerdote
voleva i dati anagrafici, corredati da quelli riguardanti l'ordinazione
e le informazioni dettagliate delle modalità e circostanze
122
valdobbiadenese per ben quattro volte. Nessun vescovo di Padova aveva
dedicato tanto del suo tempo a visitare queste parrocchie emarginate della
pedemontana: 1666; 1674; 1686 e 1694.
La visita pastorale programmata non arriva all'interno della comunità
in modo improvviso. Il vescovo ne dà le direttive precise: avvisa
i rettori, manda i missionari "a raddrizzare le vie storte e ad appianare
le erte" e questo attraverso la predicazione.
Insomma per una visita pastorale tutto si mette in moto. Il personaggio
che più soffre è il rettore. Per la data fissata dell'impatto,
tutte le cose devono essere nella normalità: chiesa, oratori, canonica,
libri parrocchiali di anagrafe di battesimo, matrimonio, morte, registri
del Beneficio e della Luminaria.
È facile mandare messaggi dal pulpito inneggianti al dovere delle
offerte per imbiancare le pareti ammuffite della chiesa, per riparare
la canonica, per rattoppare le pianete, per mettere in condizioni decenti
gli altari.
Spesso la comunità non raccoglie il messaggio e le cose rimangono
come stanno, anche perchè i villici sono qualche volta stanchi
di essere comandati da Padova da una parte e da Venezia dall'altra.
In fatto di soldi Dominante e Chiesa si assomigliano. Il contadino, il
villico, valdobbiadenese, deve sempre e sempre, bestemmiando, inchinarsi
ai proprietari di quella terra dalla quale, pagando il dovuto, non riesce
a mettere da parte un soldo per riscattare un livello pattuito.
Sta di fatto che in quel lontano settembre 1666, dal primo al sette, Gregorio
Barbarigo è nel Vicariato di Valdobbiadene e visita la Pieve, Bigolino,
San Pietro di Barbozza, Guia, San Giacomo, Santo Stefano, San Vito e Segusino.
Poi se ne va in quel di Quero.
Giunge nella Pedemontana in carrozza assieme al vescovo di Chioggia Francesco
De Grossi. Prima aveva fatto due tappe: una Camposampiero, presso il cugino
Marcantonio Barbarigo e poi a Fanzolo presso i conti Emo. Prima di lui,
le parrocchie del vicariato erano state invase dai predicatori per "radrizzare
le vie torte e ad appianare le erte".
Il cerimoniale rimane sempre, in tutte le quattro visite, immutabile.
Per il vescovo è una gran fatica, per il suo seguito un po' meno
(ha la possibilità di mangiare e bere a dovere), per il volgo sono
giorni di festa. Per una volta tanto quelle giornate diventano memorabili
e ci si può vestire a festa: di
dell'investitura e dell'immissione nel possesso del Beneficio,
con riferimento alla relativa documentazione esibita.
Della visita ai massari e del controllo sull'amministrazione delle confraternite
generalmente se ne occupava il Chiericato che metteva a verbale i nomi
dei governatori, le eventuali notizie sulla fraglia, il reddito annuo
ed altri dati variabili a seconda delle situazioni circa le spese sostenute,
crediti o debiti, tenuta dei libri contabili.
Al termine della visita il cardinale lasciava gli "ordeni" da
eseguirsi sotto pena".
123
mezzo c'è anche la cresima e per l'occasione religione e tavola
ben si conciliano. Per i rettori delle parrocchie sono anche giorni infuocati
di tensione e preoccupazioni.
Il Barbarigo non è un vescovo qualsiasi: per lui vivere il cristianesimo
non significa solo edifici in ordine, conti perfetti, ma insegnamento
della dottrina, frequenza ai sacramenti, onestà dei rettori fuori
dalle tentazioni del sesso femminile, osservanza scrupolosa dei decreti
tridentini. Il Barbarigo interroga, indaga, ascolta le lamentele della
gente, consiglia, rimedia al male, indica la strada delle possibili redenzioni.
Vuole e pretende che il curato abbia compilato scrupolosamente il questionario
fatto pervenire a suo tempo sullo stato materiale e morale della Cura,
non ammette assenteismi, non accetta che il prete o i preti si diano a
gozzovigliare spesso e volentieri nelle case dei notabili del paese. Non
perdona che qualche parrocchiano sia passato a miglior vita senza aver
ricevuto il sacramento dell'Estrema Unzione.
E per verificare questo, come si è detto, riceve di persona i massari
degli altari e delle confraternite ed accetta di buon grado che, in piena
sincerità, chi abbia lamentele, le dica.
I suoi decreti non perdonano nessuno.
Il Barbarigo si sente un pastore di anime e soprattutto uomo di chiesa
che cerca di capire il suo secolo da una parte e quello che il Concilio
di Trento ha dato nelle direttive.
Purtroppo le cronache lasciate negli atti sono fredde e spesso stereotipate
e solo attraverso piccoli fatti si riesce a capire la portata dell'evento
"visita" e radiografare lo stato spirituale di una parrocchia.
E così arriva il vescovo: sul sacrato della chiesa parrocchiale
il popolo èinginocchiato in perfetta riverenza. Gli uomini si levano
i cappelli, le donne si inchinano. Le notabili sono in prima fila, le
popolane, stanno più indietro a capo chino, rosse in volto, coperte
da "fazuoli", ma più linde che mai. Intorno si leva il
canto dei fanciulli. La mano tesa del vescovo è pronta per benedire
e per essere baciata dagli astanti. Scorre qualche lacrima di commozione.
Tanti non hanno mai visto un vescovo. E poi tutto quel codazzo di preti
al seguito fornisce una coreografia indescrivibile. Molti sono magri,
soprattutto chierici, altri paciocconi dal viso rubicondo e già
stanchi prima di iniziare il lavoro di sali e scendi per quelle vie impervie
del valdobbiadenese e del segusinese.
L'ingresso in chiesa verso l'altare Maggiore è solenne. Poi viene
il sermone. È l'attimo in cui i popolani, fedeli di Dio, spalancano
gli occhi:
sentono il Vescovo parlare di vizi, di virtù, di peccati, di volontà
di riconciliazione con la Chiesa e con Cristo che ha patito e trovato
la morte in croce.
E facile immaginare che qualche parrocchiano brontoli fra sè, visto
che i sermoni son sempre diretti verso i poveri, che già hanno
tanto da tribolare.
124
Nella sua immaginazione vorrebbe un vescovo incisivo contro
chi èpadrone della terra, che pretende le regalie di capponi, uova,
frutta, contro il prete mai contento di offerte, oboli e prestazioni per
mantenere chiesa e canonica.
Ma il villico è abituato ad ascoltare a testa bassa e bruciare
i suoi rancori nelle viscere dello stomaco, troppo spesso vuoto. Magari
potrà dire la sua, dopo che il vescovo ha fatto le valigie, in
una bettola del paese, nella quale con un boccale divino in pancia, senza
farsi sentire dai preti si può dire anche la propria ragione e
a voce alta.
Sul coro i notabili tengono la testa alta. Le signore si guardano per
verificare il miglior vestito e la migliore acconciatura.
Il sermone termina e le cerimonie continuano. Viene impartita la Cresima.
Poi il vescovo visita il cimitero. Nel pomeriggio c'è l'incontro
con i ragazzi della Dottrina Cristiana, la visita agli oratori ed il ricevimento
di tutti coloro che hanno da comunicare con il prelato.
Per la ricognizione alle chiese campestri, spesso il Barbarigo, già
affaticato, demanda ad altri il compito di raggiungere gli edifici sacri
situati in montagna, ad esempio San 'Alberto nellaparrocchia di San Pietro
di Barbozza. Ma vuole poi avere in mano una relazione dettagliata dei
casi. Anzi pretende che nella relazione siano descritte le rendite, gli
eventuali debitori del beneficio, gli usurpi, quali sono i massari, come
e quando si celebra.
Non è una impresa facile. Nel valdobbiadenese le chiese sono tante.
Già quelle di matrice parrocchiale richiedono finanziamenti continui
per la manutenzione, altre campestri sono in abbandono, alcuni oratori
di jus privato sono a discrezione dei proprietari, come quello di San
Biagio di Stana jus di un arciprete di Montegalda, poi lasciato, quasi
in affitto, a dei mercanti Ferrari di Venezia, i quali hanno acquistato
tutte le proprietà circostanti.
E poi c'è il convento dei Cappuccini a San Gregorio. Una spina
nel fianco per il Monsignore della Pieve di Valdobbiadene. Il convento
distoglie i popolani dalla sua Cura, esso è una attrazione devozionale
che non riesce a digerire, e protesta: il convento rappresenta una violazione
di "jus"; e poi i frati sono molto più accondiscendenti
nelle confessioni e poi, a dir il vero, le offerte che vengono lasciate
in San Gregorio, non vengono riposte nelle cosiddette "casselle"
della chiesa matrice di Santa Maria Assunta. Ancora, dalla sua prima visita
pastorale, il Barbarigo si trova di fronte ad una insistente protesta
del clero valdobbiadenese. I preti sono stanchi di far parte della Pieve
di Quero. Vogliono essere autonomi ed incitano il prelato a dividere quelli
al di là e quelli al di qua del Piave. Lamentano che è difficile
passare "la Piave" soprattutto in periodo di piena, lamentano
la distanza e poi, sotto sotto, non si sentono minimamente legati a Quero.
Già la vallata valdobbiadenese da Segusino a Guia San Giacomo è
per estensione consistente ed i problemi non mancano. Nella seconda visita
pastorale poi deve risolvere anche la ormai decennale diatriba fra San
Giacomo di Guia e Santo
125
Stefano. Le due comunità non vogliono assolutamente più
stare insieme, perchè un solo prete non è sufficiente neppure
a seppellire i morti e dare il battesimo ai neonati: sono in lotta da
più di cento anni.
Il Barbarigo è paziente: ascolta tutti, sente i bisogni, cerca
di rimediare, non vuole che le due comunità siano in continuo conflitto,
perchè ha capito che spesso gli interessi di confini vengono scambiati
con faccende di fede.
Venendo alla cronaca spicciola: nella prima visita del settembre 1666,
a Segusino il vescovo rileva che nell'oratorio di San Gervasio c'è
un eremita, ma questi deve sottostare al parroco.
E un certo fra Pietro Curzato da Sarcedo vicentino. In quella chiesa non
si celebra messa, perchè è diroccata. La sua elezione, dato
interessante, avviene da parte della Regola di Segusino(2).
Rettore della parrocchia è don Antonio Rochesan il quale, nella
sua relazione annota che il vescovo deve cresimare ben 92 persone. Circa
gli abusi confessa al Barbarigo che i banchi della parrocchiale sono disposti
malamente, tanto che sono di impedimento a tutti coloro che vanno all'altare
maggiore per la Comunione. Continua il Rochesan: "Alcuni uomini stano
in su la porta delle done et molte volte da me ammoniti non volgiono desistere(3)".
115 settembre 1666 il Barbarigo è in Guia San Giacomo. Fra le tante
cose in discussione, il Cardinale vuole sapere, ancora una volta, l'identità
di un altro eremita presente in paese. Questo proliferare di frati che
occupano oratori abbandonati non gli va a genio. Troppi cadono in errore
dottrinale e spesso il volgo rimane attratto inconsapevolmente da questi
nuovi asceti. Il tutto deve essere ricondotto nei confini della Chiesa
post-tridentina. Gasparo Poletti, rettore, a garanzia, così dichiara
per iscritto al vescovo: "Attesto io infrascritto a Vostra Eccellenza
Reverendissima come l'eremita fra Giacomo Da Genova, hora abitante in
Guia, Diocese di Padova per lo spatio d'anni nove habbi visuto e vive
di buonissimo essempio e di vita lontana d'ogni scandolo e frequenta le
sante confessioni e communioni nella chiesa parochiale di San Giacomo
di Guia e per tanto humile riccorre alla benignità di Vostra Eminenza
per esseer confirmato nel suo Eremo(4)".
In Bigolino il 3 settembre, dalla relazione del rettore Carlo Mazzolenis
si viene anche a conoscere che la chiesa contiene altari di pregio. Quello
maggiore titolato a San Michele Arcangelo è ligneo e dorato con
una pala di cui non si conosce l'autore; quello dedicato alla Vergine
Maria è ancora di legno con "le imagini di rilievo tutto dorato";
quello di Sant'Antonio Abate
2) Archivio Curia Vescovile Padova, Visitationes, voi. XXXIII,
f. 90r.
3) Ibidem, f. 86r.
4) Ibidem, f. 87r.
126
ha la stessa architettura del precedente ed il quarto, del Rosario, di
legno, porta "una pitura bellissima(5)".
Complessa è la visita nella Pieve di Santa Maria Assunta in Valdobbiadene.
L'allora arciprete don Domenico Pateano diligentemente fornisce al Barbarigo
ogni tipo di informazione relativa alla struttura sia materiale che spirituale
della parrocchia.
Oltre l'interessantissima descrizione di ciò che contiene l'edificio,
la varietà delle confraternite annesse agli altari, il numero dei
legati, non dimentica gli oratori,i benefici, il numero dei preti, dei
medici e delle comari.
Ma in particolare si sofferma al capitolo caro al Barbarigo, quello della
Dottrina Cristiana.
Infatti scrive: "La Dottrina Cristiana s'insegna et questa si prattica
nel seguente modo. Ogni domenica dopo il mezo giorno si da il segno tre
volte, in breve spatio, con la campana minore, tratanto nel confine della
parochia verso oriente incominicano alla Villa di Riva, se ne viene verso
la chiesa un homo da bene guidando fanciulli con una croce et nel confine
verso occidente (dov'è la parochia più numerosa) due altri
huomini pur con la croce, cantando le Litanie della Beata Vergine, vanno
guidando come sopra.
Dopo di questo, distribuiti i fanciulli mezzi per parte del coro, più
o meno et divisi in sei classi, conforme i segni affissi et asiegnato
per ciascun luoco un maestro o anco due conforme il numero de maestri
e di figlioli, s'è l'insegnano ai più piccoli il Pater e
l'Ave ad uno ad uno et così similmente in un altro luoco il Credo,
latino e volgarmente. In un altro i Comandamenti, in un altro i Sacramenti,
in un altro il resto della Dottrina breve, hauto sempre riguardo alla
capacità de' figlioli, li quali per lo più non sanno leggere
et sono idioti et grossolani et nella penultima classe, dove io sogli
assistere, oltre la precisa del testo della Dottrina, procuro d' eccitarli
con qualche interrogatione et dichiarationi con qualche espressione breve,
facile e famigliare. Et il sestile, in altro loco dei Commandamenti, suol
praticare un altro maestro sacerdote, che è il signor don Regino,
il quale anco ha cura di sciegliere quei che sanno leggere et imparano
la Dottrina a mente et li manda nel sesto luoco a studiare la loro lettione,
et nel fine della Dottrina s'ellegono di quelli, due et alle volte quattro,
che ripetino con voce alta sopra de pulpitini a tal uso, una parte o due
della Dottrina breve. Il che fornito, si canta in Choro le Litanie, il
Pater, l'Ave Maria, il Credo etc. come nel fine della Dottrina et in ultimo,
la Laude et poi si dice il Vespro consueto".
Questa descrizione è forse una delle più interessanti e
complete riportate nei questionari forniti dal vescovo. Spesso esse sono
incomplete, mancano di dettagli, si rivolgono con qualche accenno: segno
questo che la Dottrina
5) Ibidem, f. 38r.
127
Cristiana si insegna a bocconi. A volte il discorso si chiude con l'affermare
che questa fondamentale pratica religiosa viene penalizzata perchè
i fanciulli sono addetti ai lavori campestri, a pascolare capre, pecore
e vacche, a fare fienagioni. Oppure incide la stagione con neve, pioggia.
Stadi fatto che nelle piccole parrocchie rurali, insegnare la Dottrina
è un vero proprio dramma. E questo anche perchè i genitori
poco sono propensi a mandare i propri figli a questa scuola, visti gli
impegni all'interno della casa. Tante volte il parroco cala le "braghe"
e si appella al vescovo che rimproveri i fedeli a mandare i fanciulli
alla Dottrina, considerando un tale insegnamento fondamentale per la vita
spirituale.
Ed il Pateano conclude la sua relazione: "Li maestri per l'ordinario
sono il Reverendo signor Reghini, singolarmente assiduo, il signor Giovanni
Prodocimo, cappellano; il signor don Gregorio Zanoni, sacerdote, don Horatio,
chierico, Agostino Bello da Ron, Piero Dall'Acqua da Martignago, Simone
Vernazza da Funer, Domenico detto Croppo (che conducono anco fanciulli
alla Dottrina massime questi due ultimi), Antonio De Vidi detto Romano.
Vengono poi spesse volte don Tomaso Schirato, don Antonio Bottignolo,
Domenico Picolo da Ron et altri ancora. Io sempre procuro d'intervenire,
mentre io non sono da legittimo impedimento trattenuto.
Il numero de' figlioli è vario conforme la varietà de tempi
et affari di contadini. Io havendo la mira al numero cento cinquanta de
fanciulli e figliuoli che si ritrovano nella parochia veduto ciò
dalla Descrittione delle Anime, procuro d'esser non spesso i padri e madri
ad esser in ciò solleciti, perchè venghino et l'inverno
et la Quadragesima sogliono essere molto numerosi.
La dottrina per le figliole s'insegna nella chiesa di Santa Giustina nella
soddetta guisa rispective, cioè distribuita in diverse classi.
V'intervengono maestre la signora Felicita relitta del quondam signor
Valentin Dalle Armi, sua figlia Bona, madonna Maria figlia di messer Andrea
Dalle Armi, madonna Marietta moglie di messer Zuanne Dal Ceio, Maria moglie
di Zuanne Martinello, Margarita relitta del quondam Francesco Bioto et
altre diverse. Et vi sono anco molte putte che recitano della dottrina
breve a mente. Molte volte l'ho vedute ch'empiono la chiesa et alle volte
anco pocche conforme ai tempi et suoi affari(6)".
La seconda visita pastorale Gregorio Barbarigo la compie nel mese di ottobre
del 1674.
Alla Pieve di Valdobbiadene ad attenderlo è sempre 1' arciprete
Giovanni Domenico Pateano il quale si lamenta con il prelato di alcuni
abusi che non riesce a togliere nei suoi fedeli.
6) Ibidem, ff. 12v-13r.
128
In primo luogo i parrocchiani sono soliti "star con poca riverenza
in chiesa e ciò appoggiati agli altari e dentro li cancelli, come
altresì in certi luochi troppo in prospettiva alle donne".
Qualcuno sarebbe poi da scomunica in quanto è spesso propenso a
metter mano alle armi e a scatenare risse all'interno del cimitero, senza
alcun rispetto al luogo sacro. E continua:
"Parmi un grande abuso quello che pur spesso avviene et è
che a petitione del terzo e del quarto a sacerdoti si celebri missa in
dì festivo in vanii oratorii di questa parochia avanti la missa
parochiale, anco che sia per sodisfattione di qualche legato, potendosi
e dovendosi ciò diferire, aciò non resti smembrato il popolo
con tanto danno delle anime dalla loro chiesa principale e in questo sarà
di molto bene anzi necessità che Vostra Eminenza ne faccia Decreto,
aciò aprendino l'importanza del fatto. Di più: che per segno
di ossequio alla Matrice, che almeno una volta all'anno, il dì
di Pasqua, si cessi anco di celebrar in detti oratori o chiese, ma si
dia la messa in la chiesa Matrice soddetta".
Ma al Pateano sta a cuore un altro disordine: "Vi è anco un
altro abuso et è di quelli e quali sopravenendo qualche accidente
d'infermità incognita alla loro pocca capacità, overo ai
loro figlioli subito credendosi d'essere maleficati, corrono a farsi segnare
o benedire da padri cappuccini, dove dandosi, com'è giusto, le
beneditioni et essorcismi della Chiesa, ma andarli a ricevere con suppositione
d'aver il male senza sufficiente segno e fondamento, è una cosa
fomentatrice di mormorationi, di giudicii temerarli, di odii, di denigration
della fama, come l'esperienza m'insegna e tanto più se avviene
che chi lo segna parli con poca cautella". E non è finita
la sequenza delle lamentele: "Vi è in questa parochia un altro
abuso o disordine infra gl'altri si essorbitante e massimo che solo esso
vale per mille et è la trascuratezza la maggior parte de parochiani
di venir a messa et altri divini uffici la festa questa chiesa parochiale.
Ascoltano una semplice messa nella chiesa de padri cappuccini (situata
nel cuor della parochia, il che è l'unica cagione di questo disordine)
nel resto addio dottrina Cristiana e mill' altre cose che infra l'anno
doverebbero venir a sentire dalla boca del paroco, quindi nasce, a mio
credere, l'ignoranza di tante cose necessarie per questa colpevole ommissione
e negligenza e per questa causa Dio non provvede, sarà sempre questa
parochia al vero irreparabile. Vego difficile il rimedio, trattandosi
di Regolari, innamovibili il vero per mille altri capi, ma per questo,
sempre poco utili in luoco". E conclude abbastanza ferocemente!'
arciprete: "Tuttavia se Vostra Eminenza ha qualche authorità
l'eserciti, che certo sarà molto ben impiegata e se non in altro,
almeno può essercitarla verso il popolo suo suddetto in quel modo
che si dice(7)".
7) Ibidem, Visitationes, voi. XLIII, ff. l85r-186v.
129
L' 11 ottobre il Barbarigo è in Bigolino. Ed in questa parrocchia
non ci pensa due volte a sospendere "a divinis" il parroco don
Carlo Mazzolenis, responsabile di non insegnare la Dottrina Cristiana.
Infatti, il vescovo iniziato l'esame della Dottrina e questo pubblicamente,
chiese al rettore il registro. Si sentì rispondere che non l'aveva
ancora fatto e che non c'erano nè classi, nè "operarii",
nè elenchi di iscritti. Il Barbarigo volle interrogare il popolo
di queste manchevolezze gravi e ricevutane risposte allarmanti non fece
altro che rimuovere il prete, ammonirlo di non aver eseguito gli ordini
della visita del 1666 e di delegare il cappellano nell'amministrazione
dei Sacramenti(8).
1113 ottobre il vescovo arriva a San Pietro di Barbozza. Fra le altre
cose si trova a dover risolvere una penosa questione dagli abitanti del
colmello di Saccol, i quali protestano che appartenendo alla Regola di
Bigolino, ma da sempre alla parrocchia di San Pietro, sono costretti a
pagare alla chiesa di "san Michiel di Bigolin" delle "spese,
nè utili, nè necessarie, nè meno superflue o arbitarrie".
Dunque chiedono al Barbarigo un Decreto che ponga fine a questo scandalo.
Ed il Barbarigo non si fa attendere: "uditi gli oltrascritti habitanti
in Sacol, addimandanti che essendo retti in spirituale dal parocho di
San Pietro, non siano rattati alle spese della visita di Bigolino et altre
spese concernenti il governo spirituale della chiesa di Bigolino... concorrendo
a quella di San Pietro senza pregiudicio nel resto delle colte temporali(9)".
E finalmente il 15 ottobre il cardinale, in visita a Guia San Giacomo,
pone fine al secolare scontro tra le due comunità di San Giacomo
e Santo Stefano, istituendo la parrocchia autonoma di Santo Stefano.
Così afferma il Barbarigo: "Devono i pastori d'anime attendere
sempre alla salvezza di quelle, sia procurando quanto è necessario
a sostentarla, sia rimuovendo quanto è di ostacolo. Abbiamo dunque
appreso nella presente visita pastorale alle popolazioni e alle chiese
di Guia e di Santo Stefano, che gli abitanti del paese e del Comune di
Santo Stefano possono attendere a questa chiesa di San Giacomo di Guia
per ricevere i sacramenti ed assistere gli uffici divini solo con grandi
difficoltà, per la distanza e l'asprezza delle vie. D'altra parte,
neppure il parroco e la popolazione di Guia per gli stessi motivi possono
facilmente raggiungere la chiesa di Santo Stefano. Inoltre, a causa della
pretesa di quelle popolazioni di udir messa a feste alterne in dette chiese
di San Giacomo di Guia e di Santo Stefano, sono divampate liti, non solo
con grandi spese, ma che con pericolo e pregiudizio della salvezza eterna.
8) Ibidem, ff. 195v-196r.
9) Ibidem, f. 268r-v
130
Perciò volendo, come siamo tenuti, rimediare a questi mali, sia
in virtù della nostra autorità ordinaria, sia agendo per
delegazione della Sede Apostolica, secondo le disposizioni del sacro Concilio
di Trento, col presente Decreto separiamo l'una dall'altra le dette chiese
e popolazioni di San Giacomo di Guia e Santo Stefano e costituiamo ed
erigiamo in parrocchiale la chiesa di Santo Stefano con la concessione
del Fonte Battesimale e con tutti gli altri diritti propri delle chiese
parrocchiali(10)".
La terza visita il Barbarigo la compie nel maggio del 1686.
Il 22 è presso la Pieve, dove trova sempre l'arciprete Pateano,
il quale fa presente al cardinale ancora degli abusi persistenti: "abuso
è in questi luochi di villa l'amoreggiare secretamente i giovani
e le giovane nubili che parlano da soli e sole con permissioni de loro
genitori et indi ne nasce il darsi clandestinamente e fede di futuro matrimonio
quale poi o non mantengono o gli serve di occasione d'avanzarsi a maggiori
eccessi. Abuso è lasciar dormir assieme i figlioli e le figliole
dopo arrivati ad una certa età e molto peggiore il tenerli seco
coniugati senza le dovute cautele(11)".
Non era facile risolvere questo problema. Le case dei contadini erano
piccole, spesso abitabili erano solamente due stanze: la cucina e la camera
degli sposi. Quando c'erano due camere era un lusso.
Nel momento in cui la famiglia tendeva ad aumentare, i problemi venivano
risolti semplicemente ricoverando i vecchi in cucina e piazzando i figli
nel piano superiore, in tutta promisquità; quelli che non trovavano
spazio nel luogo destinato, dovevano per forza dormire con i genitori,
i quali spesso, non aspettavano di certo che i figli fossero presi dal
sonno per adempiere ai doveri matrimoniali. E poi c'era il costume di
far dormire in un unico letto i maschi al capezzale e le femmine al "cavezale".
Certamente, a quindici anni l'incrociarsi delle gambe, i cosiddetti toccamenti
involontari, erano diventati motivo di confessione ed il Pateano si preoccupa,
anzi èconsapevole della gravità del problema ed è
pur consapevole che tanti nascituri vanno a finire presso gli esposti
di Treviso.
Dunque al vescovo non si può nascondere questa verità. Non
si preoccupano assolutamente gli altri parroci della Valdobbiadene, i
quali tacciono e fanno finta di non conoscere assolutamente quello che
succede all'interno delle case coperte a paglia. La Pieve di Valdobbiadene
raggiunge i duemila abitanti, le parrocchie soggette dalle ottocento alle
cinquecento anime e dislocate non solo in centri abitati, ma in quelle
case sparse fra le colline raggiungibili con difficoltà. Perciò
il rettore può sapere o non sapere ciò che
10) Ibidem, Dismembrationes.
Il) Ibidem, Visitationes, voi. LIV, f. 20 r.
131
accade in casa. Ha solo in mano, al momento della visita pastorale, la
certezza che le anime da Comunione hanno assolto l'obbligo della Confessione
e della Comunione Pasquale, perchè ha visto il penitente accostarsi
al confessionale ed alla balaustra. Per tutto il resto è buio assoluto.
Ed è facile immaginare che nessun villico si sia recato dal parroco
a lamentarsi che la sua casa non è in grado di contenere le persone:
vecchi, figli, genitori, parenti e che possono accadere certi fatti.
Diventa spesso un fatto scontato e con tutte le conseguenze.
In Bigolino, il 24 maggio, il Barbarigo trova finalmente la parrocchia
funzionante, Don Pietro Mazzolenis, sospeso "a divinis", ha
cominciato veramente a fare il rettore e tralasciare gli affari della
sua famiglia. Ha presentato, per l'occasione, una relazione puntigliosa
e corretta dello stato della sua Cura, sia a livello materiale che spirituale.
Ha ripreso a funzionare anche la Dottrina Cristiana, la quale nella visita
precedente era stata motivo di dolorosi ed inqualificabili provvedimenti.
E così scrive per il cardinale:
"La Dottrina Cristiana s'insegna ogni domenica e perciò per
il buon progresso della medesima sono destinati gli operarii e sono distribuite
le classi con li loro maestri e silentieri notati nella cartella nella
quale anco si legono li fanciulli a' quali devono insegnare.
Ogni domenica si fanno fare le dispute sì de fanciulli, come de
fanciulle se vene sono, si fa la interogatione et ogni cosa si registra
dal cancelliere destinato.
Ogni giorno che si fa Dottrina, con chiarezza maggiore da me et anco da
altri viene spiegata la dottrina punto per punto et nel fine si fanno
cantare una delle Lodi, il Pater Noster, l'Ave Maria come nella Dottrina
medesima ci vien prescritto et in questa pia opera non si scorge nessun
abuso(12)".
In San Pietro di Barbozza, il 25 maggio il Barbarigo è in visita.
Non si lascia un momento di tregua. E non solo lui, ma anche le popolazioni
soggette che da mesi si son messe in agitazione ed apprensione.
Il 26 è nelle due parrocchie di Guia e Santo Stefano. In Guia,
il parroco
è esasperato perchè le donne durante le processioni sono
distratte dai maschi
e nelle funzioni in chiesa gettano sguardi altrove, invece di seguire
la messa.
Afferma: "Queste sono degne d'esser riprese dall'Eminentissimo che
ne
sperarà frutto doppo esser avvertite dall 'Eminentissimo( 13)".
E questo diventa eternamente un problema: le donne, come la maledizione,
l'immagine della perversione, la corruzione degli uomini perfetti, sia
in casa che in chiesa. Dunque separare. Mettere veli in chiesa per non
contaminare i sessi, intervenire all'interno delle pubbliche processioni,
soprattutto
12) Ibidem, 22r-v.
13) Ibidem, f. 68r.
132
fatte di sera, come quella del Venerdì Santo, dove l'occhio e le
mani navigano. Dunque terrore che il sesso diventi un simbolo e schiacci
la fede, le regole, l'educazione cristiana costruita sugli oposcoli del
libretto della Dottrina Cristiana e sulla Sacra Famiglia.
Tutto questo secolo è infatti attraversato da tensioni relative
a questo aspetto. I documenti delle visite pastorali lasciano filtrare
queste preoccupazioni dei rettori.
Dopo esser passato per San Vito, il vescovo si reca in Segusino. Ed anche
qui il rettore calca la mano sull'aspetto prima accennato: "li abusi
sono che volgiono continuare con li suoi filò, benchè siano
avertiti li padri et madri di haver cura de suoi figlioli et figliole(14)".
Fortunatamente inconfessi non ce ne sono, pubblici bestemmiatori neppure,
ma gli uomini, in chiesa non si comportano nel modo dovuto: "Circa
la iriverenza alle chiese è che alcuni stano su la porta delle
done mentre si celebra la Santa Messa ed altri divini offitii". Le
donne, per gli uomini, secondo il curato, diventano più importanti
delle celebrazioni dell 'Eucarestia. Il Barbarigo deve intervenire con
un suo decreto.
Ed il cardinale, nel 1694, già aggravato degli acciacchi, intraprende
in settembre la sua quarta e ultima visita pastorale nel territorio valdobbiadenese.
Morirà tre anni dopo, già a voce del popolo da canonizzare.
Il 24 è in Santa Maria Assunta e a riceverlo, ormai da tanto tempo
è il vecchio arciprete Pateano. Come sempre la sua relazione è
impeccabile e non trascura di fornire l'elenco di tutti gli ecclesiastici
che celebrano nei vari oratori della parrocchia e dei quali pretende la
dovuta soggezione.
Fra i tanti nomina don Angelo Fabro, cappellano e confessore; don Pietro
Salvadri, confessore; don Giuseppe Dall'Armi, di anni 35, il quale celebra
all'altare di San Bartolomeo; don Giovanni Antonio Bindoli, sacerdote
oblato di anni 30 e che fa scuola; don Giovanni Canal di anni 59 alle
dipendenze del conte Collalto; don Giovanni Battista Marconi, priore di
Santo Spirito; don Domenico Donadini di anni 27, insegnante; don Francesco
Laverzari di 32 anni e don Pietro Biasiotto, chierico di anni 18, il quale
fornisce i suoi servizi nella chiesa. Di più nel convento dei cappuccini
a San Gregorio, vivono dodici frati. Con questi, la polemica sembra finita,
visto che si limita a citarne la sola presenza. Il Pateano ha un cruccio
nello stomaco: l'unico inconfesso è il signor Lodovico Marconi
il quale coabita con don Giovanni Battista Marconi nel Priorato di Santo
Spirito. Ma di questo personaggio, i cui atti notarili dell'epoca sono
pieni zeppi, non sa dire altro(15).
14) Ibidem, f. 96v.
15) Ibidem, Visitationes, voi. LX, ff. 45r. e segg.
133
Fra il 25 ed il 26 settembre è in Bigolino. In questa occasione
merita segnalare un episodio significativo. Come si è detto, il
vescovo dedica parecchio del suo tempo ad ascoltare il popolo per cercare
di risolvere i problemi. Questa domenica del 26 chiede udienza un certo
Pasquale Bartolomeo del fu Barochei, da poco tempo rimasto vedovo. Deve
assolutamente denunciare al prelato per "scarico" della sua
coscienza, che nella sua parrocchia di San Pietro di Barbozza, una vecchia
abitante nella Regola di Barbozza, dal nome Mattia De Poi, vedova Zotta,
è una "dottora che va da per tutto" ad esercitare i suoi
riti magici per guarire, a suon di lucro, le persone. Pasquale è
un testimone diretto dei fatti. Un mese prima, la megera sarebbe entrata
nella sua casa sapendo che sua moglie Lucia era in attesa di un bambino
e "havendola veduta gravida", con certi raggiri, le avrebbe
chiesto che "in caso la sua creatura nascesse con una teleta gliela
rancurasse", visto che altre due donne partorienti erano state disponibili
a mettere da parte questa "teleta". Il cancelliere del cardinale
non trascura nulla di questa confessione animata di Pasquale e così
trascrive: "Ho inteso dire che queste disgraziate che procurano haver
dette telete, quando le hanno, le mettono sopra la pietra sacra ove il
sacerdote celebra e che poi la levano e le danno a qualch'uno, quale portando
detta teleta adosso non può essere offeso con alcun arma(16)".
Immediatamente il Barbarigo si preoccupa di questa situazione che certo
mette scompiglio all'interno della comunità (il parroco di San
Pietro di Barbozza non denuncia nessun abuso in merito) e fa convocare
la donna, il giorno dopo, mentre è in visita pastorale a Guia San
Giacomo. Le voci immediatamente si spargono nelle Regole. La gente vuole
sapere. Ma il Barbarigo, come sempre, vuole essere discreto. Non ripete
il gesto del parroco di Bigolino, ma chiama la donna in una stanza delle
canonica di Guia. Il Cardinale è ben consapevole di come queste
favole siano di dominio pubblico e va immediatamente al sodo. Fa una sola
domanda: "Se habbi mai ricercato alcuna donna gravida che in caso
la creatura nascesse con una teleta gliela rincurase". La povera
Mattia di Poi "tremebunda", esasperata di tutta questa storia
calata sulle spalle senza rendersene conto, in paesi poi amici,
16) Ibidem, f. 101 r-v. In merito nel suo saggio L. BILLANOVIH VITALE
in Contributi alla storia della chiesa padovana nell'età moderna
e contemporanea 2, Padova, p. 96, n. 204 "Ècorrente nel dialetto
veneto l'uso di "teleta" per mambrane divario tipo, anche corporee:
nel contesto non può che trattarsi di placenta. Del resto il caso
qui presentato è espressione chiara di una tradizione culturale
assai viva e diffusa che attribuiva alla membrana amniotica virtù
magiche (basti il richiamo ai benandanti che traevano dall'essere nati
avvocati nella "camicia" il segno della loro elezione) e il
rito cui si fa riferimento è ben attestato nella cultura popolare,
proprio nella medesima versione della placenta che posta sotto la tovaglia
dell'altare acquisiva il potere di rendere invulnerabili".
134
non può altro che, baciando l'anello del Barbarigo, rispondere:
"Signor no, Signor no, che non faccio di queste cose". Ma poi
una affermazione a suo discreto: "Son bene stata ricercata da Valentin
Liroi da San Piero a trovarli una teleta, ma li dissi non voler trovar
niente, che non faccio di queste cose". Il Barbarigo non vuole procedere
oltre. Qualla povera donna, forse ingiustamente accusata di atti di stregoneria,
non aveva nessuna colpa di essere ulteriormente inquisita. Mattia avrà
fatto certamente tre volte il segno della croce nel momento in cui il
Cardinale le avrà detto: vai! Da quel momento le cronache tacciono.
E credibile anche che le mormorazioni all'interno della parrocchia di
San Pietro di Barbozza abbiano avuto termine. Il Barbarigo non era un
uomo qualunque.
Questa visita pastorale per il Cardinale è la più difficile;
per arrivare a San Pietro di Barbozza dovettero trasportarlo in una portantina,
"vulgo sedia" e come afferma il verbale "ex causa viarum
nimis arduarum".
E più difficoltà trova arrivando in Santo Stefano a visitare
la parrocchiale situata proprio sotto la montagna e distante dal paese
abitato.
Ed il parroco Giovanni Battista Bertuolo si lamenta: "Pocca frequenza
in chiesa di tutto il popo1o per esser questa così incommoda e
lontana, dalla quale infrequnza nascono disordini e nè matrimonii
e nell'osservare le vigilie e feste commandate e che si raccomandarono
alla messa parocchiale, onde è di necessità levar l'abuso
e la causa e questo si leverà col trasportar il Santissimo Sacramento
alla chiesa di San Rocco per essere questa natta, anco fabbricata ad uso
e beneficio del Commun di San Stefano, oltre il pericolo et rischo che
si espone di qualche svaliggio delle suppeletili sacre in detta chiesa
di San Stefano, per esser così lontana dalli habitanti et rischio
di lasciar pure l'anime senza il Santissimo Viatico alli poveri infermi,
essendo questo pure preceto divino e ciò m'è ocorso più
volte per essere gl'infermi lontani et lontana et incomoda la chiesa.
Tanto più che la maggior parte della popolazione concorre col suo
parere al Jus patronato de Balii, ma servirsi di quella per puro commodo
de fedeli et del proprio parocho".
Dunque il Barbarigo non può in questa visita far finta di non conoscere
i problemi della comunità. Ma non interviene, lascia le cose come
stanno. La popolazione dovrà attendere il 24 febbraio 1784 perchè
la chiesa parrocchiale fosse definitivamente trasferita nel centro del
paese dove era situato l'oratorio di San Rocco e sempre dietro interminabili
dispendi di energie in fatto di petizioni, di accordi e a tutto scapito
del buon vivere.
Ma in quell'ultima visita del Barbarigo, Il Bertuolo ha altre cose da
dire
al cardinale. In parrocchia ci sono usurai, un certo Francesco Messedaglia
e Paolo Follador e donna Marina Pilizzata moglie di messer Piero. Questi
comprano e vendono. Tengono una sorta di banco dei pegni. La gente ricorre
a loro per bisogno, poi insorgono le tragedie.
E non solo. Nella parrocchia di Santo Stefano il mansionario di San Rocco,
Bartolamio Zaniboni non assolve gli obblichi della mansioneria,
135
secondo i fondamenti della sua istituzione nella seconda metà del
Cinquecento. Dopo aver ascoltato le parti interessate, il Cardinale ordina
allo Zaniboni di pagare i suoi debiti di parecchi ducati a Cattarina Dalla
Rossa ed ai suoi figli e questo sotto pena di "sospentione a divinis
per facto incurrenda in caso di contraffation& 17)"
Nei giorni successivi, il Barbarigo visita le altre parrochie. ascolta
i villici e detta gli ordini ai rettori perchè entro breve termine
il tutto debba funzionare a seconda dei canoni predisposti: altari, casa
canonica, arredi sacri, e soprattutto registri dei battesimi, cresimati,
matrimoni, morti, dottrina cristiana, confraternite, Benefici.
Il Barbarigo prima di partire vuole lasciare un segno, ma non solo quello,
delle sue osservazioni. La sua chiesa è dentro la comunità,
è educazione, prima dei preti, poi dei ragazzi, poi delle persone
mature. Perdona gli errori della gente, non perdona quelli dei parroci.
Il Barbarigo, in effetti, prima di considerarsi vescovo, si sentiva nell'animo
il più povero pastore di anime.
17)Ibidem, ff.136v-137r-v
<<<
indice generale |