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       GIAMPAOLO ZAGONEL  
       
        MICHELE COLOMBO E LA SUA FIGURA DI LETTERATO 
        BIBLIOFILO E POLIGRAFO NEL 2500 ANNIVERSARIO DELLA 
        NASCITA. 
      Michele Colombo nacque il 5 aprile 1747 a Campo di Pietra, 
        una frazione del comune di Salgareda (Treviso), da una modesta famiglia 
        e morì, carico di anni, tra molti riconoscimenti ufficiali, il 
        17 giugno 1838 a Parma. Della sua vita conosciamo pressoché tutto 
        ed è quindi inutile qui riproporre il suo itinerario biografico(1). 
        Purtroppo la sua fama venne progressivamente spegnendosi con l'avanzare 
        della seconda metà del!' Ottocento, come conseguenza del mutato 
        clima culturale e letterario venutosi a formare con l'Unità del 
        nostro paese e con l'affievolirsi delle polemiche linguistiche legate 
        al Romanticismo. Le edizioni delle sue opere si andarono rarefacendo, 
        poi scomparvero dal mercato librario, dai banchi delle scuole; finirono 
        con l'essere dimenticate, e lo sono ancora oggi(2). E se non fosse per 
        l'amicizia contratta in gioventù con il 
      1) Le prime notizie apparvero lo stesso anno 
        della morte in un opuscolo dal titolo Aiquanti cenni intorno alla vita 
        di M. C. di Angelo Pezzana, Parma, Giuseppe Paganino, 1838. L'autore del 
        libretto si era servito in gran parte di notizie manoscritte che M. C. 
        aveva redatto negli ultimi anni di vita. Da questo lavoro hanno attinto 
        tutti i biografi successivi, fino a F. Tadeo, estensore della voce Michele 
        Colombo per il Dizionario Biografico degli Italiani, XXVII, 1982, pp. 
        238-41. Uno studio recente (che contiene in più tutti i ritratti 
        di C.) è quello di Nicoletta Agazzi, Intorno all'abate M. C., Vittorio 
        Veneto, H. Kellermann, 1995. 
        2) Fa eccezione l'operetta Trattatelli tradotti dalla lingua malabarica 
        nell'italiana favella, riproposta in un'antologia di Scrittori di aforismi 
        (vol. I) a cura di Gino Ruozzi per la collana Meridiani di Mondadori nel 
        1995. Nel volume, al capitolo Ottocento, M. C. sta in buona compagnia, 
        insieme con Giacomo Leopardi e Niccolò Tommaseo. 
      
       
      GIANPAOLO ZAGONEL. Laureato in Economia e Commercio, dirigente industriale. 
      Appassionato di studi letterari, ha al suo attivo numerose ricerche di letteratura 
      italiana pubblicate in diversi periodici.
 
      
       
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        condiscepolo del seminario di Ceneda Lorenzo Da Ponte(3) del suo ricordo, 
        già offuscato, si sarebbe persa probabilmente la traccia nella 
        sua terra natia. Per fortuna egli vive ancora a Parma dove ci sono molti 
        segni tangibili e indelebili rimembranze del suo operato. Per di più 
        la Biblioteca Palatina ebbe la ventura di vedersi donata, qualche anno 
        dopo la sua morte, l'intera biblioteca, nonché gran parte dei manoscritti, 
        autografi e carteggi(4). 
      ********** 
      
      La svolta della sua vita - quella che gli procurò 
        per il resto dei suoi giorni un'esistenza serena anche sotto l'aspetto 
        economico - avvenne nel 1796 (all'età di quarantanove anni) quando 
        accettò l'invito di recarsi a Parma, in qualità di precettore 
        del diciottenne Giovanni Bonaventura Porta, rampollo di una famiglia di 
        elevata condizione sociale. 
        Lì Colombo mise radici. In breve il suo impiego perse la connotazione 
        di maestro trasformandosi in un legame di reciproca ed affettuosa amicizia. 
        Verso la fine dei suoi anni, poi, Colombo divenne un'istituzione della 
        famiglia Porta, stante la fama universale che ormai circondava il vecchio 
        letterato. 
        Man mano che scorre il tempo Colombo può quindi dedicarsi completamente 
        alla sua attività preferita, alla raccolta e classificazione di 
        testi e manoscritti della letteratura italiana, alla compilazione di repertori 
        bibliografici, allo studio della lingua, alla cura editoriale di alcuni 
        nostri classici e attendere alla pubblicazione dei suoi scritti. 
        Da giovane Colombo si era avventurato nei campi della poesia scrivendo 
        versi per quelle raccolte chiamate di circostanza o d'occasione, che gli 
        aristocratici commissionavano alle persone colte (o supposte tali) per 
        celebrare eventi lieti o dolorosi che accadevano nelle loro famiglie. 
        Erano così solennizzate nascite, nozze, vestizioni religiose, lauree, 
        morti e altri avvenimenti per mezzo di raccolte, in genere diversi, composte 
        da più autori, quasi sempre pescati nell'ambito territoriale in 
        cui dimoravano queste famiglie. 
        Era la moda del tempo e naturalmente le composizioni, non essendo frutto 
        di ispirazione, ma dettate appunto da circostanze, agli occhi nostri, 
        ma non solo(5), appaiono - salvo rare eccezioni - fredde, stereotipe, 
        noiose, 
      
      3) Cfr. Gino Buttazzi, Storia di un'amicizia: 
        Michele Colombo e Lorenzo Da Ponte, in "Il 
        Flaminio", Vittorio Veneto, Anno III, n° 3, settembre 1984. 
        4) La storia della raccolta e successiva collocazione della biblioteca 
        colombiana alla Palatina 
        di Parma è descritta da Nicoletta Agazzi, op. cit, pp. 29-32. 
        5) A questa moda non si sottrassero neppure letterati di fama come ad 
        esempio i fratelli Gozzi 
        e in gioventù Giuseppe Panni e Giuseppe Baretti. Stava però 
        montando l'onda contraria a 
      
      64 
         
        ridondanti di incomprensibili erudizioni accademiche e mitologiche. Servivano 
        però ai praticanti poeti a fare i primi passi nell' accidentato 
        terreno delle lettere e a mettersi in mostra davanti alle persone colte 
        e benestanti del tempo. 
        A questa usanza non poté certo sottrarsi il nostro povero abate. 
        Per molti anni diede anch'egli un discreto contributo, concorrendo con 
        canzoni e sonetti a raccolte di circostanza, soprattutto negli anni di 
        Ceneda e Conegliano(6). La sua produzione in versi cominciò a diradare 
        nei soggiorni di Venezia e Padova, ma non cessò del tutto neppure 
        a Parma(7). Qualche sonetto lo continuò a comporre pure in vecchiaia 
        - ne conosciamo uno scritto in occasione del suo novantesimo genetliaco 
        - ma fu poi sempre restio nel darli alle stampe. 
        Più tardi, quando a Parma provvide personalmente a pubblicare i 
        propri scritti oppose un costante e categorico rifiuto a chi lo invitava 
        ad inserire nella raccolta la sua produzione in versi. Vi radunò 
        solo pochi sonetti, ripudiando quasi tutta la poesia scritta in gioventù, 
        considerandola solo frutto di esercitazioni di irrilevante valore e lasciando 
        manoscritti i versi composti nella maturità(8). 
      ********** 
      
      
      
       queste pletoriche composizioni, con a capo 
        Francesco Algarotti, che le apostrofa col nome di "dissenterie incredibile 
        di sonetti e d'ogni altra maniera di poesie". Sull'argomento cfr. 
        Francesco Colagrosso Un 'usanza letteraria in gran voga nel Settecento, 
        Firenze, Le Monnier, 1908. 
        6) Nel Saggio di Bibliografia del Vittoriese di Vincenzo Ruzza, Vittorio 
        Veneto, 1987 l'elenco delle opere del Colombo, per questi anni non è 
        completo. Vi mancano almeno: 
        - 1773. Componimenti poetici in occasione che vestì l'abito religioso 
        di 5. Domenico nell 'insigne monistero di 5. Rocco di Conegliano la nob. 
        Sig. Co. Donata Zuliani col nome di Maria Domenica, In Ceneda, nella stamperia 
        Cagnani, 1773 (contiene versi di M. C.). 
        - 1780. Poesie per il solenne ingresso di 5. E. Mss. Zorzi Pisani procuratore 
        di 5. Marco... (Contiene un sonetto di M. C.). 
        - 1794. Anno poetico, ossia Raccolta annuale di poesie inedite di autori 
        viventi, Venezia, Tipografia pepoliana, 1794 (contiene tre sonetti e una 
        poesia anacreontica di M. C.). 
        - 1796. Tributo dell'amicizia al Rev. Sig. Piovano Giuseppe Bassi nel 
        giorno del suo ingresso alla chiesa di 5. Luca, Venezia, Palese, 1796 
        (è un lavoro a due mani di Angelo Dalmistro e Michele Colombo). 
        7) Per le nozze degli illustrissimi Signori Giuseppe Ziliani e Maria Conti, 
        versi dedicati all'egregio genitore dello sposo da Michele Colombo, Parma, 
        Bodoni. 1805. (Non segnalato nella Biblioteca, op. cit., di Vincenzo Ruzza). 
        8) Scriveva infatti nel 1819, a proposito della poesia, "che pochissimi 
        sono i favoriti d'Apollo: 
        e quanto agli altri, meglio sarebbe che impiegassero il tempo nell'esercizio 
        di qualche utile professione quel tempo che gittan via nel far cattivi 
        e stucchevoli versi" (cfr. Lettera ad un amico intorno al regolamento 
        degli studi di un giovanetto di buona nascita, p. 140). 
      
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        L'unica opera in prosa che vide la luce prima del trasferimento a Parma 
        - poi compresa nell'edizione definitiva dei suoi scritti - fu la Lettera 
        al dott. Giovanni Nardi intorno ad alcune specie di animalini acquatici 
        osservati col microscopio. Scritta a Conegliano nel 1786 venne pubblicata 
        l'anno seguente a Venezia nel quarto volume del Giornale per servire alla 
        storia ragionata della medicina(9). Lo scritto è un resoconto scientifico, 
        redatto in forma di lettera, ad un amico-medico di Conegliano ed è 
        significativo almeno per due aspetti meritevoli di una breve sottolineatura. 
      Il primo è la sorprendente preparazione scientifica 
        dell'autore, che non può risalire agli anni del4 seminario di Ceneda 
        dove si seguiva un diverso percorso di studi. Come racconta nella sua 
        biografia, raccolta da Angelo Pezzana, chiamato, poco tempo dopo l'uscita 
        dal seminario, ad istruire i figli del conte Folco Lioni a Ceneda, si 
        rese conto delle sue lacune nel campo della matematica e delle scienze 
        in genere. Si mise alacremente a studiare e "in poco tempo tanto 
        si addomesticò co' teoremi e co' problemi di quel gran geometra 
        (Euclide) che, riflettendovi un poco sopra,d'ordinario ne trovava la soluzione 
        e la dimostrazione da sè, senza ricorrere a quella che n' avea 
        data l'autore... Con egual piacere si diede poi allo studio dell'algebra 
        e dell'analisi, e con questi aiuti volse l'animo allo studio della fisica(10)". 
        Il secondo motivo ci lascia invece stupefatti per la prosa. A mio parere 
        trova pochi riscontri per chiarezza, sinteticità, concretezza e 
        facilità di comprensione negli scrittori di scienze della fine 
        del Settecento. Ancora nel campo scientifico egli propose delle modifiche 
        e migliorie da apportarsi al microscopio e qualche anno più tardi, 
        a Venezia, si intrattenne più volte a colloquio con il naturalista 
        Lazzaro Spallanzani proprio sui metodi da tenere nella sperimentazione 
        e osservazione dei fatti naturali. 
        Fu solo nell 812 (all 'età di sessantatré anni) che si risolse 
        a pubblicare un volume dal titolo Catalogo di alcune operette attinenti 
        alle scienze, alle arti e ad altri bisogni dell'uomo... Aggiuntevi tre 
        lezioni su le doti di una culta favella(11). 
        Questo lavoro, trattenuto manoscritto da gran tempo, lo aveva fatto 
      
      9) Durante il soggiorno di Conegliano, mentre 
        attendeva all'istruzione del figlio del conte Pietro Caronelli, venne 
        ascritto nell'Accademia degli Aspiranti della città. Cominciò 
        da qui a usare lo pseudonimo di Agnol Piccione che mantenne in alcuni 
        scritti successivi e col quale firmava a volte scherzosamente la corrispondenza 
        con gli amici più intimi. (Anche questo scritto colombiano non 
        è riportato nella Bibliografia, op. cit. di Vincenzo Ruzza). 
        10) Angelo Pezzana, op. cit. p. 15. 
        11) L'opera stampata a Milano da Luigi Mussi in una pregevolissima edizione 
        (oggi molto ricercata) ha per titolo completo Catalogo di alcune opere 
        attinenti alle Scienze, alle Arti e ad altri bisogni dell 'Uomo, le quali 
        quantunque non citate nel Vocabolario della Crusca, meritano per conto 
        della lingua qualche considerazione. Aggiuntevi tre lezioni su le doti 
        di una culta favella. 
      66 
      circolare solo nelle mani di pochi intimi, che tessendone 
        gli elogi ne caldeggiavano la pubblicazione. Quando fu costretto a cedere 
        alle insistenze degli amici, la sua proverbiale modestia e ritrosia lo 
        convinsero a pubblicarlo anonimo, anche se l'autore non poteva sperare 
        di passare in incognito, data la rilevanza e l'interesse che il volume 
        avrebbe destato. 
        Venne così alla ribalta del pubblico colto un ammirabile quanto 
        documentato bibliofilo e un insigne linguista. Colombo fu considerato 
        da quel momento - senza esagerazione - un punto di riferimento per letterati 
        ed editori di Milano, Venezia e Firenze. Erano anni ricchi di fervore 
        editoriale, di dibattiti sulla nostra lingua, di promozioni di ristampe 
        dei nostri classici. Anni che presero il via con il Regno d'Italia e con 
        una spinta che non si esaurì neppure con la Restaurazione seguita 
        al Congresso di Vienna. 
        Che Colombo non avesse sprecato invano la sua vita lo testimonia indirettamente 
        la corrispondenza ed i nomi con i quali teneva relazioni epistolari('2). 
        Per sua stessa ammissione, gli anni trascorsi a Venezia e Padova furono 
        ricchi di studi, di opportunità sfruttate a dovere, di occasioni 
        irripetibili, di ricerche e conoscenze ineguagliabili. A testimonianza 
        di ciò basterà una prova sola: la lettera del 26febbraio 
        1787 da Padova a Girolamo Tiraboschi autore della prima moderna Storia 
        della letteratura italiana edita in più volumi a Modena, tra gli 
        anni 1772-82. Nella lunga lettera Colombo passa in rassegna, collazionandoli, 
        due esemplari del Canzoniere La bella mano di Giusto de' Conti. Oltre 
        a riportare le varianti fra le due edizioni del 1589 e 1595, con appropriate 
        considerazioni, riassume la storia di quelle e delle edizioni successive. 
        A sostegno delle sue tesi dichiara di essere in possesso dell'edizione 
        dell 589 e di confrontarla con un'altra presa a prestito da una biblioteca 
        patavina. Da anni si accingeva a raccogliere edizioni antiche dei nostri 
        classici per future riedizioni critiche(13). 
      ********** 
       12) Lettere dell'Abate Michele Colombo, 
        raccolte dal cav. Angelo Pezzana, Bologna, Tipografia all'Ancora, 1856, 
        vol. I. (La lettera a Girolamo Tiraboschi è alle pp. 309-19). Con 
        l'occasione rileviamo che Angelo Pezzana(1772-1862) bibliotecario della 
        Palatina e intimo amico di M. C. aveva in animo di raccogliere in più 
        volumi le lettere di Colombo, ma si fermò purtroppo al primo volume. 
        Inoltre, seguendo una norma dell'epoca, le lettere osservano il criterio 
        alfabetico dei corrispondenti e non quello cronologico. Mancano poi totalmente 
        anche di brevi ragguagli dei corrispondenti, sono del tutto prive di note 
        e purtroppo contengono numerosi errori. Con tutti questi difetti, non 
        essendoci nulla di meglio è pur sempre un utile documento a disposizione 
        degli studiosi. Certo che non sarebbe male provvedere ad una moderna e 
        più completa edizione critica di tutte le lettere di M. C. 
        13) Le annotazioni di M'C., riguardanti l'opera di Giusto de' Conti furono 
        inserite da Bartolomeo Gamba nel suo Serie dei testi di lingua..., Venezia, 
        Co' tipi del Gondoliere, 1839, p. 116. In una postilla sulle ultime pagine 
        del volume Gamba dichiara in questa edizione di aver aggiunto nuove osservazioni 
        bibliografiche "lasciate inedite dal chiarissimo uomo 
      
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        Come dicevo poc'anzi, partito da Conegliano, Colombo entrò in qualità 
        di istitutore a Venezia nella casa del patrizio Giovan Battista Da Riva, 
        persona di ragguardevole cultura e provvista di una ricca biblioteca con 
        volumi in tutte le lingue europee. Colombo ne approfittò ampiamente 
        per i suoi studi ed anche per conoscere e stringere amicizia con i numerosi 
        letterati che frequentavano e la biblioteca e la casa. Incontrò 
        così Carlo Gozzi(14), Jacopo Morelli(15) e soprattutto Angelo Dalmistro(16). 
        E' probabile che risalga a quel periodo anche la conoscenza di Bartolomeo 
        Gamba, ancora dipendente dei Remondini di Bassano, che spesso si recava 
        a Venezia per effettuare controlli e supervisioni nella prestigiosa libreria 
        che gli editori bassanesi possedevano nella città lagunare. Ma 
        non disdegnava le conversazioni scientifiche con il già ricordato 
        Spallanzani e i contatti con lo scultore Antonio Canova. Quando Da Riva 
        venne nominato podestà e capitano di Padova, non volle privarsi 
        della presenza di Colombo e lo portò con sé nella città 
        del Santo. Poco tempo dopo Colombo venne introdotto nel Gabinetto di lettura 
        della città, cui si accedeva soltanto per riconosciuti meriti, 
        e che era quasi esclusivo appannaggio di professori dell'università 
        patavina. 
        Fra i membri di questo club( 17) Colombo ricorderà Melchiorre Cesarotti( 
        18), Simone Stratico(19), i fratelli Girolamo e Niccolò Da Rio(20) 
        e Daniele 
      
       
        Michele Colombo". Osserviamo che già in una 
        precedente edizione (del 1812) in Serie dei testi di lingua..., stampato 
        a Milano, Bartolomeo Gamba scriveva" sappiasi intanto che alla bontà, 
        allo zelo, all'amicizia principalmente di due dottissimi e cortesissimi 
        amici l'abate Michele Colombo, ora domiciliato in Parma, e ..., debbo 
        un'assistenza indefessa e utilissima 
        Credo sia il primo riconoscimento pubblico che compare in un volume del 
        valore, come bibliografo, di M. C. 
        14) Carlo Gozzi (1720-1806), fratello minore di Gasparo, fu autore di 
        testi di teatro, di favole, della Marfisa bizzarra e di un libro biografico 
        dal titolo Memorie inutili. 
        15) Jacopo Morelli (1745-18 19) ebbe per oltre un quarantennio l'incarico 
        di responsabile della Biblioteca Marciana. l~enne una sterminata corrispondenza 
        con i maggiori letterati europei del suo tempo. 
        16) Angelo Dalmistro (1754-1839) dopo l'ordinazione sacerdotale si impiegò 
        presso lo stampatore veneziano Zatta come correttore, ma nello stesso 
        tempo ebbe incarichi di istitutore in diverse case patrizie della città. 
        Ricordiamo che per un breve periodo (1788) ebbe come allievo il giovanissimo 
        Ugo Foscolo. Fu il compilatore dell "Anno poetico" (1793-1800) 
        una pubblicazione in cui companivano annualmente poesie inedite di autori 
        viventi (cfr. sopra nota 6). Autore di poesie, sermoni, traduttore dei 
        poeti inglesi Alexander Pope e Thomas Gray, curò la prima edizione 
        completa delle opere di Gasparo Gozzi. Tra lui e Colombo sorse un vero 
        sodalizio che si trasformò successivamente in una intensa corrispondenza 
        epistolare. 17) Il circolo letterario portava proprio il nome inglese 
        di Club. 
        18) Melchiorre Cesarotti (1730-1806): lo ricordiamo qui solo per le sue 
        battaglie linguistiche che lo vedevano in una posizione equidistante tra 
        il rigore purista e gli eccessi innovatori. 19) Simone Stratico (1730-1824) 
        originario di Zara, studiò a Padova dove per lunghi annni insegnò 
        medicina, matematica e nautica. Fu autore di un Dizionario di marina in 
        tre lingue 
      
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        Francesconi(21). Sfogliando ancora le sue lettere non mancano altre importanti 
        relazioni nate negli anni padovani. Citiamo i nomi di Pierantonio Meneghelli(22) 
        e Giovanni De Lazzara(23). Si era costruito una fitta ragnatela di amicizie 
        che per la maggior parte si cbllocavano tra linguisti, bibliofili, poligrafi 
        e lessicografi del suo tempo. Trasferitosi a Parma, oltre che a provvedere 
        all'istruzione del giovane Porta ebbe l'incarico di compiere numerosi 
        viaggi, sia in Italia che all'estero con l'allievo e a volte con più 
        discepoli. Così visitò la Toscana ed a Firenze avvicinò 
        lo scontroso Vittorio Alfieri(24) e gli studiosi più eminenti della 
        città, ed inoltre potè entrare in diverse biblioteche nobiliari, 
        in primo luogo in quella di Angelo Maria D'Elci, rinomato cultore di letteratura 
        greca e latina. In seguito andò in Spagna, Francia e Inghilterra 
        e in queste occasioni non si lasciò mai sfuggire (soprattutto a 
        Parigi e Londra) le aste dei libri antichi di classici italiani. E pur 
        con le sue modeste possibilità economiche mise assieme una preziosa 
        biblioteca(25). 
      ********** 
      Possiamo ora entrare nel merito di questa pubblicazione 
        colombiana del 1812 per cercare di capire la sua risonanza nell'ambito 
        letterario. Come già 
      
      (italiano, francese e inglese). Durante la 
        sua lunga vita ricevette continue onorificenze per meriti scientifici, 
        prima dalla Repubblica Veneta, poi dal Regno italico e più tardi 
        dall'imperatore d'Austria Francesco I. Negli anni giovanili era stato 
        in amicizia e corrispondenza con Giacomo Casanova. 
        20) Girolamo e Niccolò Da Rio, padovani, fondatori e direttori 
        del Giornale dell'ltaliana Letteratura. 
        21) Daniele Francesconi (1761-1835) nato a Cordignano studiò a 
        Padova dove conseguì la laurea in legge nel 1782 e qualche anno 
        più tardi fu consacrato sacerdote. Dopo vari incarichi il governo 
        veneziano lo nominò nel 1793 precettore di geometria e fisica nel 
        collegio di S. Marco a Padova. Fu considerato un vero portento poichè 
        i suoi studi spaziano in campi vastissimi dalla fisica alla matematica, 
        dalle lettere alla filologia ed ebbe in comune con Colombo l'amore per 
        i libri preziosi e rari. Più volte e per molti anni ricoprì 
        l'incarico di bibliotecario all'Università di Padova. 
        22) Pierantonio Meneghelli professore a Vicenza e poi vice-bibliotecario 
        e custode del Gabinetto numismatico dell 'Università di Padova. 
        23) Giovanni De Lazzara ebbe dalla Repubblica veneta l'incarico di conservatore 
        del patrimonio artistico della città di Padova. 
        24) Invano M. C. chiese un colloquio a Vittorio Alfieni che gli fu negato. 
        Allora si procurò una bella edizione delle opere di Sallustio e 
        con questo stratagemma superò tutte le reticenze del poeta tragico. 
        25) La biblioteca colombiana venne venduta alla Palatina nel 1843. Comprendeva 
        6700 volumi, corredati da molte note manoscritte, volumi che si trovano 
        attualmente smembrati nelle varie sezioni della Palatina stessa. Tra le 
        rarità bisogna almeno ricordare il Tesoro di Brunetto Latini, edito 
        a Treviso nel 1474. 
      
      70 
         
        recita il titolo del volume, si tratta di un repertorio alfabetico di 
        un centinaio di autori (con oltre duecento titoli) che parte dagli inizi 
        del Cinquecento per finire al Settecento inoltrato. Il catalogo è 
        preceduto da una lunga prefazione nella quale l'autore si lamenta che 
        i lessicografi redattori della recente edizione del Vocabolario della 
        Crusca, pur incrementando il numero dei testi che i precedenti compilatori 
        avevano trascurato, ne escludessero ancora una quantità considerevole. 
        Scrive Colombo che "la massima parte di questi novelli testi di lingua 
        apparteneva ancor essa alle belle lettere; pochissimi affatto a studi 
        più gravi. Ciò è tanto vero, che di quegli Autori 
        medesimi che in ambidue questi generi avevano esercitate le loro penne, 
        furono adottate le Opere pertinenti alla bella letteratura, e quelle che 
        trattavan di Scienze, dimenticate"(26). Deplorando quindi la scarsità 
        di vocaboli tratti da testi di scienze osserva che "sarebbe necessario 
        pertanto che altri si pigliasse la briga di rendere il Catalogo de' nostri 
        Testi di Lingua più ricco in quelle parti spezialmente in cui tutt'ora 
        esso è povero anzi che no, acciocché poscia principalmente 
        di là fossero tratti que' vocaboli e quelle maniere di favellare, 
        che sono le più proprie della lingua e le più acconcie ad 
        esprimere ciò che concerne le Scienze, le Arti meccaniche e le 
        liberali, ed altre materie di questa sorte"(27). Continua quindi 
        scrivendo"m'arrischierò non già di eseguire, ma solamente 
        di tentare un lavoro riserbato a mani più esperte, e verrò 
        indicando alcune delle opere de' migliori nostri scrittori, le quali, 
        quantunque non allegate nel Vocabolario della Crusca, né mentovate 
        nella Giunta che fu proposta nel 1786, mi sembrano meritevoli per lo vantaggio 
        che può ridondarne alla nostra favella di venir ancor esse infra 
        le classiche degl'italiani scrittori in qualche maniera annoverate"(28). 
        Sempre nella prefazione ci informa di un altro criterio seguito nella 
        compilazione del repertorio, che dimostra la sua scelta di campo tra i 
        linguisti contemporanei "...mi sembra egualmente ingiusto e il non 
        voler concedere una sorta di preminenza quanto alla purgatezza ed eleganza 
        della lingua agli scrittori toscani; e il voler talmente ristrignere ad 
        essi questa bella prerogativa, che non abbiano a parteciparne eziandio 
        quelli dell'altre provincie dell'Italia, i quali facendo un lungo studio 
        sopra i migliori maestri dello scrivere, possono molto bene divenir ancor 
        essi eleganti e tersi scrittori. Chi nacque sulle rive dell'Arno, succiata 
        avendo col latte una lingua quasi così pura com'essa si scrive, 
        ebbe senza dubbio un vantaggio grandissimo sopra quelli che nati in altre 
        parti d'Italia la succiarono impurissima e corrottissima. 
      
       26) Cfr. ed. cit. p. XIII. 
        27) Op. cit. p. XVIII. 
        28) Op. cit. pp. XIX-XX. 
      
      71 
         
        Sono pertanto i Toscani naturalmente atti ad esprimere le cose con maggior 
        purità di favella che quelli dell'altre italiche contrade... Ond' 
        è che io preferirò a qualunque altro il più che io 
        potrò gli autori toscani; ma verrò ricordando eziandio alcuni 
        di quelli ch'ebbero fuori dalla Toscana la culla, sì veramente 
        che coll'avere molto studiata la lingua siensi acquistati fama essi pure 
        di purgati scrittori"(29). 
        Riportiamo infine la chiusa della prefazione che mostra con disarmante 
        candore la modesta considerazione che aveva di sé: "se tuttavia 
        sarà trovata questa mia opericciuola troppo manchevole e difettosa, 
        e troppo ancora lontana dal poter conseguire quel laudabil fine che io 
        mi sono proposto, che altro da far mi resta? Due cose ancora: da pregare 
        istantaneamente coloro i quali ne rileveranno le imperfezioni, che vogliano 
        usarle alcuna indulgenza, e da sperare che uomini più di me intelligenti 
        e di maggior senno dotati conducano a compimento ciò, a che io 
        mi sono arrischiato di por mano sospintovi dall'amor di una lingua che 
        richiede tutte, e tutte merita senza dubbio le nostre cure"(30). 
        Un altro aspetto non trascurabile dell'opera è che Colombo non 
        si limitò a considerare solo testi della nostra letteratura, ma 
        vi inserì traduzioni dal francese e dall'inglese di scelti scrittori 
        toscani(31). 
        In margine al catalogo uno studio dal titolo Delle doti di una culta favella, 
        suddiviso in tre lezioni, diretto ai giovani studiosi. Da questa appendice 
        "emerge la sua teoria della lingua e dell'educazione linguistica 
        che, partendo da un'esigenza di chiarezza e semplicità nell'eloquio, 
        è indirizzata verso un moderno purismo secondo il modello dei trecentisti"(32). 
      ********** 
       Come abbiamo detto, la pubblicazione riscosse un largo 
        successo che si materializzò in poco tempo nella nomina a socio 
        di diverse accademie. Nel 1816 fu eletto socio onorario dell'Ateneo di 
        Treviso e nel 1817 socio corrispondente dell'Accademia della Crusca, dopo 
        aver vinto un concorso indetto nel medesimo anno(33). Iniziò quindi 
        con alcuni editori la collabora- 
      
       
        29) Op. cit. pp. XXIII-XXIV. 
        30) Op. cit. p. XXIX. 
        31)1 titoli spaziano dall'economia all'educazione, dall'idraulica alla 
        religione. 
        32) Nicoletta Agazzi, op. cit., pp. 33-34. 
        33) Ne diede notizia all'amico lontano Lorenzo Da Ponte con una lettera 
        del 6novembre 1818. 
        "Io ti manderei, s'io sapessi come, due miei libriccini, uno de' 
        quali ottenne la corona 
        dall'Accademia della Crusca. Arde oggidì gran guerra fra' letterati 
        d'Italia, i quali si odiano 
        cordialissimamente, e si mordono e si lacerano come cani arrabbiati. Vedi 
        urbanità e 
        gentilezza che attignesi a' fonti della letteratura!" (Cfr. Lettere 
        di M. C., op. cit., p. 35). 
       
        72 
         
        zione per la riedizione di classici italiani tra i quali ricordiamo il 
        Decameron di Giovanni Boccaccio(34), La Gerusalemme liberata di Torquato 
        Tasso(35) e Le cento novelle antiche secondo l'edizione del 1525(36). 
        Entrato in corrispondenza con il lessicografo Antonio Cesari(37) e sollecitato 
        ad intraprendere lavori di più ampio respiro nel campo linguistico, 
        rispose con solita modestia, questa volta frammischiata con sottile arguzia, 
        che "il lavoro al quale Ella mi esorta, non è cosa da farsi 
        da un povero vecchio di settant'anni, e per giunta indisposto della salute, 
        qual son io; e mattezza sarebbe la mia, se io sol vi pensassi(38)". 
        Nel 1817 l'ex allievo Porta convolò a nozze con Elena Bulgarini 
        e Colombo donò agli sposi una pubblicazione, non più in 
        versi, dal titolo Lettera ad un amico intorno al regolamento degli studi 
        di un giovanetto di buona nascita. In queste pagine il curriculum di studi 
        proposto da Colombo prevedeva prima le discipline scientifiche, poi la 
        logica e la metafisica, quindi lo studio delle lingue: italiano, latino 
        e greco e come lingue straniere la francese e l'inglese. Per ultimo consigliava 
        l'eloquenza. L'operetta è piena di concetti pedagogici innovativi 
        per il periodo nel quale Colombo opera, come quando afferma che per la 
        diversità di caratteri e delle disposizioni di un giovane rispetto 
        ad un altro "un metodo di studi plausibile ed eccellente quanto si 
        voglia, non dee un abile educatore attenersene fedelmente ed 
      
      
      34) Decameron di Messer Giovanni Boccaccio, 
        corretto ed illustrato con note, Parma, dalla Stamperia Blanchon, 1812-1814 
        in 8 voll. In una lettera ad Antonio Cesari (Parma, 26 febbraio 1817) 
        a proposito di questa ristampa scrive, con la solita modestia: "Nella 
        impressione, che si fece qui, del Decameron del Boccaccio io non ho avuta 
        altra parte che quella del correggere la stampa e nell'apporvi qualche 
        postilluzza o dove m'è paruto che la lezione adottatasi nella edizione 
        di Milano non fosse la migliore, o dove qualche altra somigliante cagione 
        mi ci ha indotto. Del resto io era tanto lontano dal promuovere la ristampa 
        di un libro sì pericoloso alla gioventù, che anzi mi adoperai 
        quando seppi acciocchè non si facesse, ma sull' animo dello stampatore 
        l'allettamento del guadagno ebbe più forza che le mie dissuasioni". 
        (Cfr. Lettere di M. C. op. cit., p. 40) Questa edizione del Decameron 
        è considerata una delle più corrette dell'Ottocento. 
        35) La Gerusalemme liberata, poema di Torquato Tasso, ridotta a miglior 
        lezione; aggiuntov i il confronto delle varianti tratto dalle più 
        celebri edizioni, con note critiche sopra le medesime, Firenze, presso 
        Giuseppe Molini, 1824. 
        36) Le cento novelle antiche secondo l'edizione del 1525, corrette ed 
        illustrate con note, Milano, per cura di Antonio Tosi, 1825. La prefazione 
        e la cura del testo sono di M. C. che ancora una volta non firma il suo 
        lavoro. 
        37) Antonio Cesari (1760-1828) scrisse su tanti argomenti,ma il suo nome 
        è legato alle dispute linguistiche come propugnatore di un ritorno 
        alla purezza della lingua trecentesca ancora esente da influssi stranieri. 
        38) Cfr. Lettere di M. C., op. cit., p. 40. 
      
      73 
         
        invariabilmente, ma dove ristringere, dove ampliare; e qui aggiungere, 
        e là toglier via(39)". 
        Purtroppo dopo solo due anni Giovanni Bonaventura Porta rimase vedovo 
        e in uno stato di grande depressione. Colombo colse l'occasione per tessere 
        un elogio di Elena Bulgarini, con un libretto, in caratteri bodoniani, 
        di poco più di cento pagine, nelle quali approfittò per 
        tracciare un modello ideale di educazione per una giovane(40). 
        Non è però da credere che Colombo fosse solo dedito agli 
        studi gravi e a volte pedanti come quelli linguistici e bibliografici. 
        Sapeva da buon educatore divulgare e discettare su argomenti non attinenti 
        alle lettere, e lo diede a vedere con Il giuoco degli scacchi renduto 
        facile a' principianti. Trattatello tradotto dall'inglese con annotazioni 
        ed aggiunte, edito a Parma, dal Paganino nel 1821, mostrando così 
        l'eclettismo dei suoi interessi e la vastità del suo panorama culturale. 
        Scrive nella prefazione "....essendomi pervenuto alle mani un libriccino 
        di questa fatta, ed avendolo io trasportato nella nostra favella per mio 
        passatempo, è paruto ad alcuni de' miei amici che questa opericciuola 
        potesse essere di qualche vantaggio a que' giovinetti che cominciano ad 
        addestrarsi agli scacchi; e mi hanno perciò confortato a pubblicarne 
        la traduzione(41)". Di nuovo uno stimolo pedagogico fa da spinta 
        alla risoluzione di dare al pubblico questo lavoro, che ebbe un largo 
        successo e vide decine di edizioni, in ogni parte d'Italia, fino alla 
        metà dell'Ottocento, per comparire subito nelle edizioni delle 
        sue opere. 
      ********** 
      
      Colombo, pur raggiungendo un'età molto al di sopra 
        della media, eccezionale per i suoi tempi, fu soggetto a lunghe malattie, 
        anche negli anni giovanili, malattie che lo lasciarono lungamente prostrato. 
        Durante le convalescenze, per scacciare la noia ed il malumore - come 
        confermarono spesso i suoi amici - componeva dei piccoli racconti o novellette. 
        Osserva in proposito Angelo Pezzana: "quanto valesse il Colombo nello 
        stile festivo e 
      
       
        39) La Lettera... fu ripubblicata, ampliata, nel 1820 assieme 
        ad altre "cianciafruscole", come chiamava M. C. i suoi lavori, 
        sempre a Parma da Giuseppe Paganino (cfr. pp. 145-46). Ancora una volta 
        nella pubblicazione non compare il suo nome, ma nella breve introduzione 
        l'editore scrive che "l'Autore non fu mai dominato da altra ambizione 
        che quella di rendersi giovevole alla gioventù; ed a questo scopo 
        tiravano sempre i suoi scritti. Nutrendo ancor io la medesima brama, m'avvisai 
        di mettere insieme le sopraddette cose, e ripubblicarle in un volume, 
        stimando che con ciò si sarebbe renduto a' giovani studiosi un 
        utile servigio". 
        40) Elogio di Elena Porta nata Bulgarini, Parma, co' tipi bodoniani, 1819. 
        41) Da Opere dell'abate D. M. C. di Parma, Milano, Silvestni, 1824, (p. 
        338). 
      
      74 
         
        nella piacevolezza del novellare già è noto a' cultori delle 
        lettere italiane per le novelle che di lui sono a stampa sotto il nome 
        di Agnolo Piccione(42)". L'autore ne pubblicò solo tre, altre 
        rimasero manoscritte, ma tutte ripropongono temi della narrativa antica 
        con uno stile e un linguaggio che richiamano modelli tre-cinquecenteschi. 
        Un curioso episodio è legato alla novella Di una marioleria di 
        Franceschin da Noventa. Colombo, per mettere alla prova il giudizio dei 
        letterati contemporanei, fece passare un proprio scritto per un inedito 
        del poeta-umanista opitergino Giambattista Amalteo(43). I fatti si svolsero 
        in questo modo. Un letterato padovano, il conte Antonio Maria Borromeo 
        stava raccogliendo testi inediti di novellieri antichi per farne una pubblicazione. 
        In relazione epistolare con il nostro abate (siamo nel 1793) gli chiese 
        di procuragli materiale raro o, ancor meglio, inedito, ma non riuscendo 
        Colombo ad accontentarlo, gli venne in mente di scrivere, quasi per celia, 
        un racconto sul gusto dei cinquecentisti. Composta la novella la inviò 
        a Borromeo facendola passare per un ritrovamento inedito dell'Amalteo, 
        citando falsi manoscritti, per render più credibile la cosa, dai 
        quali avrebbe copiato il racconto. 
        Possiamo immaginare la soddisfazione di Colombo quando apprese che i letterati 
        erano caduti nella trappola di questo suo parto. Solo allora fu certo 
        di aver imitato alla perfezione lo stile del Cinquecento. Meno entusiasta 
        fu quando vide la novella, sotto il nome di Giambattista Amalteo, compresa 
        nel volume, curato da Borromeo, Notizia dei Novellieri Italiani, stampato 
        dai Remondini di Bassano nel 1794. 
        Il tema di non attenersi ai soli modelli del Trecento, fu ripreso nella 
        quinta delle sue lezioni sulla lingua Del modo di maggiormente arricchire 
        la lingua senza guastarne la purità, pubblicata nel 1824. Era un 
        lungo articolo preparato per l'Ateneo di Treviso con il titolo di Ragionamento. 
        In sintesi un'ulteriore conferma del suo credo sulla bontà della 
        matrice toscana della nostra lingua con poche integrazioni da trarre dai 
        testi scritti nei successivi secoli, in particolare nel Cinquecento. 
        Non mancò Colombo di pubblicare (nel 1820) un libretto di sentenze 
        dal titolo Trattatelli tradotti dalla lingua malabarica nell 'italiana 
        favella(a). 
       
        42) Angelo Pezzana, op. cit., p. 43. 
        43) Giambattista Amalteo (1525-1573) letterato, segretario per lungo tempo 
        della Repubblica di Ragusa (Dubrovnik), poi di San Carlo Borromeo, autore 
        di composizioni poetiche in italiano e latino, ma non di prose. Appunto 
        per questo M. C. - conterraneo dell'Amalteo - per rendere più facile 
        l'inganno, attribuì il racconto ad un autore di cui non ci fosse 
        nessuno scritto in prosa italiana, onde evitare i confronti. 
        44) La prima edizione venne inserita negli Opuscoli letterari, Nobili, 
        Bologna, 1820. Le edizioni successive, a partire da quella parmigiana 
        del Paganino del 1824, vedono aumentato il numero degli aforismi, che 
        passano da cento a centosette. 
      
      75 
         
        Comprende una sequenza di cento aforismi che l'autore finse di aver tradotti 
        (scegliendoli fra migliaia) da un manoscritto recuperato sulle coste di 
        un immaginario paese, il Malabar appunto. Sotto le sembianze dell'autore 
        malabarico, Colombo ci propone una raccolta di sentenze morali, in genere 
        brevissime battute di poche righe, dove non mancano frecciate contro i 
        vizi dei letterati. I modelli a cui si rifà si possono facilmente 
        individuare in Teofrasto e nel suo epigono Jean de La Bruyère. 
        E' del 1826 invece la prima edizione della Breve relazione della Repubblica 
        dei Cadmiti, ghiribizzo diA gnolo Piccione illustrato daAgnolino suo figliuolo(45). 
        Non volendo entrare direttamente nel merito delle polemiche che scuotevano 
        il mondo dei letterati, Colombo si trincera ancora una volta dietro il 
        paravento dello pseudonimo e "polemizza ironicamente contro la repubblica 
        dei letterati per le inutili e artificiose contese, attraverso una presunta 
        relazione sulla fantomatica Repubblica dei Cadmiti. In una nota esplicativa 
        dell'allegoria, Colombo, nelle vesti del presunto autore, manifestava, 
        sempre nella chiave burlesca da lui scelta, il risentimento per l'incontentabilità 
        dei critici, e ironizzava sulla moderna narrativa francese mista di tragico 
        e di patetico(46)". Questo suo "ghiribizzo" non poteva 
        certo passare inosservato e la recensione che se ne fece nella rivista 
        Biblioteca italiana, ancora nell'ottobre dello stesso anno, anche se non 
        negativa, fu critica nei confronti della forma, del modo ironico e quasi 
        irridente con il quale scendeva nell'agone delle polemiche letterarie 
        l'oramai famoso Colombo. Si vide pertanto costretto a scendere in lizza 
        con tanto di nome e cognome nel 1827 con il Ragionamento intorno le discordie 
        letterarie di oggidì, dove, stemperando i toni, con il consueto 
        garbo, senza nessuna acrimonia, affrontava storicamente, pur condannandoli, 
        gli abusi delle polemiche letterarie, per arrivare infine ai suoi giorni 
        ed entrare nella critica al Romanticismo, considerando egli estranei alla 
        nostra indole il carattere e l'immaginazione di una letteratura che arrivava 
        da Oltralpe. 
      ********** 
      Nella brama di allargare la cerchia dei lettori, gli editori 
        italiani, a partire dagli anni 1820, misero sul mercato dei libriccini, 
        chiamandoli strenne o almanacchi, aventi di solito periodicità 
        annuale. Coinvolgendo autori di lettere affermati si tentava di avvicinare 
        un vasto pubblico allettandolo con cosette amene, leggere, in genere sentenze 
        di varia umanità, ma di non grande impegno letterario. Il nome 
        di Michele Colombo era ormai conside 
      
       
        45) Edizione a cura di Bartolomeo Gamba a Venezia, nella 
        tipografia di Alvisopoli, 1826. 
        46) Cfr. F. Tadeo, Colombo, op. cit., p. 240. 
      
      76 
         
        rato un richiamo di grande risonanza se gli venne chiesta una collaborazione. 
        Per tre anni di seguito (dal 1828) comparve il suo nome su un almanacco 
        che ebbe rispettivamente i titoli di Paralipomeni(47), Nuovi paralipomeni 
        e i Paralipomeni dei paralipomeni. Anche se di modesto valore è 
        giusto darne notizia, poiché i biografi non ne fanno cenno o li 
        tengono in scarsissima considerazione, ma sono pur sempre operette che 
        il nostro autore curò, come tutti i suoi lavori, con estremo scrupolo. 
        Abbiamo sotto mano la prima edizione del 1828 (che riproduce in antiporta 
        un suo ritrattino) contenente cento sentenze tratte ancora - precisano 
        gli editori - dal manoscritto malabarico, ma dove si pesca a piene mani, 
        citandolo più volte, dal già ricordato Jean de La Bruyère. 
        Nonostante, a partire dal 1829, lo colpissero sempre più lunghe 
        e gravi malattie, che lo costringevano a letto per molti mesi, l'attività 
        di Colombo pubblicista non conosceva soste. E' del 1830, ad esempio, un'operetta 
        di poche paginette: Diceria in difesa dello scrivere con purezza, nella 
        quale contesta l'accezione negativa attribuita al terminepurismo dai suoi 
        detrattori, che consideravano riduttivo non ammettere nella lingua italiana 
        locuzioni straniere. Ironicamente scrive: "lodato sia il cielo, ché 
        finalmente s'è discoperto il vero modo di dare al dir nostro e 
        chiarezza e forza e armonia e grazia, e colore quanto si vuole: basta 
        ad ottener tutto questo imbrodolar nelle nostre carte ben bene la nativa 
        favella di frasi venuteci dalla Senna, dal Tamigi, e dal Danubio. Peccato 
        che non ci si metta anche un po' di Svezzese, e di Russo, per renderla 
        ancor più nobile, e dignitosa: ma egli è da sperare che 
        sien per far questo i posteri nostri; ché alla fine egli è 
        bene lasciare anche ad essi una porzione di cotal gloria(48)". Fino 
        agli ultimi giorni di vita prende parte attiva alle dispute letterarie, 
        direttamente o indirettamente legate alla lingua, mentre le sue opere, 
        che avevano ricevuto apprezzamenti da famosi letterati - Vincenzo Monti 
        per tutti(49) - ottengono sempre più lusinghiere recensioni, come 
        quella di Giuseppe Montani sull'Antologia fiorentina del Vieusseux nel 
        1830(50). 
      
      47) Paralipomeni dell'abate Don Michele Colombo 
        di Parma, Milano, presso gli editori Pietro e Giuseppe Vallardi, coi tipi 
        di Felice Rusconi, s. d. ma 1828. (Manca alla Bibliografia di Vincenzo 
        Ruzza). A onor del vero C. dichiarò nella Gazzetta di Parma del 
        3 gennaio 1829 che "quell'almanacco era tutta farina d'altro sacco 
        e che di suo non ha là dentro ne pure una sillaba", ma la 
        sua smentita non è del tutto convincente. 
        48)Cfr.pp. 10-11. 
        49) In più occasioni Vincenzo Monti loda M. C. dicendo che "gli 
        italiani non diventano classici che dopo la morte, il Colombo è 
        classico vivente". Inoltre nel 18371 'Accademia della Crusca promosse 
        un'edizione corretta della Divina Commedia: nella prefazione è 
        riferito un giudizio di M. C., che viene chiamato con l'appellativo di 
        "maestro" in fatto di lingua. 
        50) Lezione dell 'ab. M. C. intorno alfavellare e scrivere con proprietà, 
        Parma, Paganino, 1830 in "Antologia", XXXIX (1830) pp. 144-45. 
      
      77 
         
        Verso la fine del 1837 un editore di Parma, volendo ristampare il romanzo 
        di Alessandro Manzoni, chiese a Colombo di fare una breve prefazione. 
        Egli, che aveva sempre manifestato una chiara contrarietà verso 
        i romanzi storici, non si tirò indietro, avendo in precedenza apprezzato 
        I promessi sposi e il suo autore: consegnò allo stampatore un breve 
        scritto esprimendo un giudizio altamente positivo. Il libro uscì 
        agli inizi del 1838(51), quando il Colombo era ancora in vita, e il suo 
        nome spicca in grassetto nel frontespizio dell'opera manzoniana. 
        Morì serenamente, sempre in piena attività fino agli ultimissimi 
        giorni(52), in casa di Giovanni Bonaventura Porta, il 17 giugno 1838 all 
        'età di novantuno anni. Gli furono tributate solenni esequie e 
        la salma venne tumulata nel cimitero pubblico nella tomba della famiglia 
        Porta, mentre una lapide in marmo, a perenne memoria, venne apposta all'interno 
        della chiesa di Sant'Andrea apostolo, dove si trova tutt'ora. Non si contarono 
        nella città di Parma le cerimonie pubbliche in suo onore culminate 
        in una sottoscrizione per il conio di una medaglia commemorativa. La prima 
        sottoscrivente fu la duchessa Maria Luisa alla quale venne poi consegnata 
        l'unica medaglia d'oro appositamente coniata. 
        E per concludere non troviamo pensiero più bello di quello pubblicato 
        pochi giorni dopo la morte da un amico, che scrisse sollecitando una biografia 
        del Colombo: "In questo semplice annunzio della morte di lui mi sia 
        conceduto il dire, che il biografo farà opera utilissima ai presenti 
        e futuri, se narrerà distesamente la naturale soavità dell'indole 
        sua, la candidezza della fede, e l'amore della giustizia; se celebreràla 
        fermezza nelle amicizie, l'affetto purissimo agli studi e agli studiosi, 
        e la modestia sua; se noterà la moderazione delle sue opinioni, 
        la tolleranza di quelle altrui, il facile compatimento agli errori d'altri, 
        e la severità usata solo verso sé medesimo; se descriverà 
        l'amor ch'egli aveva agli uomini tutti, la compassione ai miseri, la carità 
        fervida ed operosa, la sua pietà, la semplicità e schiettezza, 
        l'affabilità ed accostevolezza con tutti quelli che o per consiglio 
        o per sola riverenza traevano a lui, la cortesia nelle maniere, e ancor 
        più nell'opere, e la gratitudine per la quale contraccambiava con 
        più doppi ogni atto di gentilezza che ricevea(53)". 
      
       
        51) I promessi sposi, storia milanese del secolo XVII scoperta 
        e rifatta da A. Manzoni, Parma, 
        dai tipi di Pietro Fiaccadori, 1838, 2 voll. 
        52) Angelo Pezzana ci informa che l'ultimo scritto uscito dalle mani di 
        M. C. fu un sonetto, 
        composto due o tre giorni prima di morire, in omaggio a Clelia Maestri, 
        una ragazza morta a 
        ventun anni, figlia di un avvocato e letterato parmense. 
        53) Cenno necrologico intorno all'abate M. C., di Giovanni Adorni, Parma, 
        dalla Stamperia 
        Carmignani, 26 giugno 1838, pp. IV e V. 
       
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