MARIO ULLIANA
IL PAESAGGIO VITTORIESE NEGLI SCRITTI DI TITO ANTONIO SPAGNOL
Il paesaggio vittoriese entra di prepotenza all'inizio di uno di quei
romanzi thriller che hanno reso famoso T.A. Spagnol, un giallo Mondadori
del 1935: La bambola insanguinata.
C'è un medico convalescente, che arriva in treno dalla capitale,
accolto dallo zio, don Poldo (una specie di Padre Brown di Chesterton,
trapiantato nella quiete della provincia italiana): "Mentre uscivamo
dalla stazione, gli raccontai della mia malattia. "Bene, bene, ora
ti rimetterai presto. Senti che aria? Qui si respira, altro che a Roma!"
e mi trascinò ad una balaustrata in fondo al breve piazzale della
stazione: "Guarda che bellezza! ".
Così, tra l'ironico e l'affettuoso, il nostro scrittore approfitta
per fare un pò di propaganda turistica a favore della città
natale. "Sotto di noi si spiegavano magnifici giardini e una piazza
armoniosa. (E la fotografia-standard, la cartolina illustrata del centro
di Vittorio). Tutto intorno si innalza vano le colline verdi e dietro,
le montagne azzurre ed aspre dai nudi dorsi. "Prima della guerra
- continua don Paolo - c'era gente che veniva qui perfino dall 'Egitto
a villeggiare e a fare le acque. A te che sei medico interesserà
sapere che qui abbiamo delle fonti termali eccellenti..." (Continua
il cliché pubblicitario).
Quel ritorno, per Spagnol, è quasi autobiografico: per lui, irrequieto
e avventuroso, abituato a girare il modo, per lui che è stato a
Parigi e poi negli States, ad Hollywood, dove ha lavorato come sceneggiatore,
a fianco del
MARIO ULLIANA. Già Sindaco di Vittorio Veneto e Assessore Regionale
all'Urbanistica, attualmente Presidente dell'Istituto per la Storia della
Resistenza e della Società Contemporanea della Marca Trevigiana,
è autore di varie pubblicazioni di argomento vittoriese.
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grande Frank Capra, e poi in Messico, in Canadà ... Anche quando
si èfermato in Italia, idealmente ha continuato a viaggiare, grazie
all'ottima conoscenza di molte lingue - da giovane aveva snobbato gli
studi regolari e non aveva neppure un diploma di scuola media superiore
- spaziando nel campo della letteratura internazionale con pregiate traduzioni
di opere di autori stranieri (vedi "Gerusalemme, Gerusalemme !"di
Dominique Lapierre e Lany Collins). Si era affermato come romanziere con
"La griffe du lion" nelle prestigiose edizioni Gallimard ed
i suoi gialli più famosi erano tradotti in molte lingue ed edizioni.
Un po' il complesso dell'emigrante ce l'aveva. E lo stato d'animo di chi,
spinto dalla nostalgia, torna al proprio paese, lo si avverte in un racconto
di Bassa marea, intitolato appunto L'emigrante, che - guarda caso - gli
offre lo spunto per un rapido, ma efficace appunto ambientale su quel
Montaner, che tra pochi anni diverrà la prima base della Resistenza
del vittoriese dopo l'8 settembre.
"Serafino non era nato a Sarmede, dove aveva costruito la sua casa,
ma in una frazione di Sarmede, Montaner. Come lo lascia intendere il nome,
Montaner è aggrappato alle ultime zolle di terra nera che riescono
a tenere i crepacci di una montagna aspra e nuda. La gente di Montaner
contende alle rocce la sua vita, che è dura e difficile. I suoi
uomini fanno i contadini in paese, ipastori nelle maighe e i carbonai
nei boschi che rivestono la vetta e l'altro versante della montagna, e
cacciano difrodo il tasso e la volpe per le balze scoscese. Essi amano
i loro luoghi, ma guardano con invidia alle terre più grasse delle
colline e del piano, e il loro sogno è di scendervi e di stabilirvisi.
Perciò emigrano per il mondo, e così decise di fare Serafino,
quando ebbe finito difare il soldato..."
L'emigrante che ritorna! Quante volte è tornato, realmente o col
pensiero, T.A. Spagnol alla sua "odiosamata" Vittorio! È
tornato da amare esperienze, dalla guerra, da esaltanti avventure giocate
sull'assurdo e sulla temerarietà, è tornato da importanti
successi nell'attività di pubblicista, di narratore, di critico,
di inviato speciale. E sempre lo accoglieva la sua Vittorio. Anche per
lui, appena passato il Piave e man mano che il baluardo delle Prealpi
si avvicinava, si ripeteva la sensazione di entrare in un anfiteatro accogliente,
nel quale la città - come un fiore che si gode il sole contro un
muro rivolto a mezzogiorno - si adagia serenamente, quasi usufruendo di
una protezione, nel grande abbraccio delle colline che la cingono da ogni
parte; un abbraccio rafforzato - quasi per maggior sicurezza- dagli spalti
possenti del Visentin e del Pizzoc, i quali, a ricordo di lontane vicente
geologiche, continuano ad affrontarsi, come pachidermi preistorici caduti.
Dalle linee sinuose della vasta plaga coltivata si passa ai rilievi più
a diretto contatto con l'insediamento urbano: groppe di colli rinconentisi,
con affioramenti di creste e di corde e caratteri di ruvida scontrosità.
(Per inciso: quante volte Tiziano Vecellio, che di qua transitava nei
suoi
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viaggi tra il Cadore e Venezia, ha dipinto questo paesaggio e lo ha posto
a sfondo delle tele destinate ai grandi della terra!
Per goderselo si era fatta costruire, in cospetto di esso, una casa in
quel di Castel Roganzuolo, sul Col di Manza. Di là poteva guardare
il profilo dei monti che gli nascondevano le sue Marmarole, aperti solo
dalla breccia attraverso cui si apriva la sua strada il fiume Meschio,
e il grande arco delle colline, punteggiate da torri barbariche su cui
l'uomo aveva gradatamente sovrapposto le chiese cristiane. Il paesaggio
di Vittorio Veneto, anche per questi contrastanti aspetti di lotta e di
pace, comunica un senso di segreta orgogliosa bellezza).
T.A. Spagnol, vittoriese purosangue, anche se sovente 'prestato' all'estero,
tutte le volte che può, esalta la pecularietà e il fascino
di questo ambiente, e al tempo stesso mette in evidenza, lui che ha al
suo attivo tante esperienze metropolitane, i vantaggi di vivere in una
città, - talvolta la ridimensiona a paese - a misura d'uomo, la
quale, pur con tutti i limiti e le angustie dei piccoli centri, possiede
la grandissima prerogativa di avere la natura a portata di mano, in godimento
diretto. È un privilegio da non poco.
Scrive ne Il ramarro, un racconto del 1968: "... Chi non abita in
città smisurate, ma in piccoli centri ha la natura, si può
dire, fuori della porta di casa. Io vivo in uno di questi luoghi, fortunatissimo
perchè giace tra colli dolci e aspri, sotto alti monti. Dorsi,
pendii, valli e vallette, fratte, macchie e boschi, ruscelli e prati,
tutti a due passi. (Anche se nessuno più li compie quei due passi)".
La parentesi è sua.
Ne La bambola insanguinata è presente questo contatto della città
con l'immediata collina: "La strada, appena fuori della città,
costeggia il piede delle colline, poi si addentra principiando a salire
tra siepi di gelsi e di acacie, su per i fianchi delle brevi vallate coperte
di vigneti, di macchie di noccioli e di prati. Le colline non sono alte,
ma erte... ".
Tale sistema collinare, nel periodo tra il '43 e il '45, faciliterà
la guerriglia e sarà teatro di tanti scontri che qui si consumarono.
Anche la casa, che divenne la sede clandestina del Comitato di Liberazione
Nazionale, la casa di Gandin, fruiva di questa collocazione: "...
giorni caldi, anzi roventi, racconta in Memoriette marziali e veneree
- con morti e sparamenti perfino fuori dell'uscio di casa sua, che sorgeva
in una strada al limite della città vecchia, donde con un balzo
s'era sui viottoli delle colline e da qui sui sentieri per la montagna
".
Anche le notazioni meteorologiche sono intonate all'ambiente e ritraggono
fedelmente la situazione climatica. Ne La bambola insanguinata: "La
giornata si preannunciava afosa. Masse di vapori leggeri coprivano i monti
vicini e si distendevanofilacciosi nel cielo torbido e velato ".
Ne abbiamo un altro esempio in un elzeviro, comparso su "Il Corriere
della sera" nel febbraio 1941, col titolo Sul campanile di roccia.
È qui di scena il Pian delle lastre, una zona di malghe sotto il
Monte Cavallo, uno
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degli epicentri delle imminente vicenda partigiana del Cansiglio: "...
le nubi gonfiarono su dalle valli quasi all'improvviso, avvolgendoci nelle
loro filaccefumose efredde. Poi tra tuoni e saette grandinò per
mezz 'ora, e infine un vento gagliardo disperse le nuvole .... al di sotto
di noi erano le pareti lucide e nere della montagna, e la conca verdissima
dell'Alpago o lo specchio celeste del lago che spiendevano". E più
avanti: "... il lago incastonato nella conca verde duemila metri
più sotto...
In Memoriette, egli ci spiega il perché della sua familiarità
con la zona, perché era così pratico del Cansiglio: "In
fanciullezza vi avevo trascorse lunghe stagioni percorrendo la selva per
ogni verso in compagnia di mio padre che era un gran cacciatore, e la
amavo legato ancora ai ricordi dei miei primi contatti con la natura selvaggia
e misteriosa. Vi avevamo anche una specie di villa a qualche chilometro
dal passo della Crocetta, sulla fascia esterna dell'altipiano coperta
dal ceduo che precede la foresta d'alto fusto: è da qui che muovevamo
andando a caccia ".
La costruzione esiste ancora ed è nota come Villa Natalia: "Quella
casa era annidata in una valletta della macchia nelle cuiforre ci era
concesso di aggirarci" ci informa in un altro racconto Andar per
funghi su "Il Gazzettino" del marzo 1964- ma solo in compagnia
del vecchio pastore Toni del Col delle Stelle, la cui malga era sulla
vetta della collina dal bel nome (in realtà è Pian de le
Stele, che è un' altra cosa n.d.r.) che sovrastava la nostra dimora
che egli custodiva durante l'inverno, abitandola col compito di mantenervi
la giusta temperatura al semebachi che mio padre gli affidava per l 'ibernazione
".
Per comprendere il passo citato, bisogna sapere che, in assenza dei frigoriferi,
al fine di ottenere la schiusura del semebachi al momento desiderato,
si soleva farlo ibernare in qualche sito di montagna. Il padre di Spagnol,
Girolamo, aveva lo stabilimento bacologico in via Bella Venezia (ora via
Beniamino Labbi) e col fratello Giuseppe ne possedeva un altro in via
Garibaldi, angolo con via Rivetta.
In Andar per funghi: "Avevamo lasciata la casa avanti l'alba e raggiunto
il Passo della Crocetta c'eravamo inolt rati per la foresta, risalendo
la oscura Valle dell'Orso fra i grandi fusti degli abeti e dei faggi ..."
Nei racconti dello Spagnol c'è questa specialità: con rapidi,
indovinati tocchi, che non disturbano l'andamento del racconto, egli sa
darci informazioni, anche sotto l'aspetto socio-antropico, sull'ambiente
in cui si svolge l'azione.
Ecco sul Cansiglio alcune note essenziali, panoramiche (in Memoriette).
"Il Cansiglio è una vasta conca che si invasa entro un perimetro
di una trentina di miglia, costituito dai crinali dei monti che la cingono.
L'interno della conca è ricoperto dalla foresta, tranne nella sua
parte più bassa che forma un 'ampia zona prativa, lievemente ondulata,
costellata di malghe, ove con la buona stagione vi monticano un migliaio
di vacche: il Pian del
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Cansiglio, come è chiamato, al cui centro, in vetta alla maggiore
elevazione, sorge un albe rghetto, il 'Palazzo' e una villa, residenza
estiva dell 'Ispettorato della foresta.
L 'altipiano si raggiunge da Vittorio Veneto lungo una tortuosa rotabile
che per il passo della Crocetta lo attraversa, sboccando in un 'altra
grande conca alpestre, quella dell'Alpago, che divalla verso il lago di
Santa Croce. Pochi altri sentieri, sovente impervii e malagevoli, lo raggiungono.
L'acqua sorgiva vi manca, poiché la struttura geologica dell'altipiano
è di tipo carsico con foibe e inghiottitoi che smaltiscono le nevi
e le piogge, tuttavia la foresta è lussureggiante, grazie alle
frequenti precipitazioni e alle condense notturne, che nella stagione
asciutta coprono con uno strato di nebbia la conca del piano.
Nel suo insieme i 'altipiano costituisce una specie difortezza naturale,
di accesso difficile, facilmente difendibile. Il paesaggio, col suo manto
oscuro di abeti, di faggi, di lanci è imponente e severo, quasi
nordico ".
La natura, selvaggia e misteriosa, sedimentata nei ricordi della fanciullezza,
diventa prepotentemente teatro di lotta: "La guerra partigiana prese
ad accendersi anche nel mio paese che sorge ai piedi delle Prealpi e prossimo
all'altipiano del Cansiglio, che si protende con le pendici verso la pianura
tra il confine della Marca Trevigiana e il Friuli. L'altipiano è
una specie di grande conca guardata ali 'in giro da una fila di monti
che dalla pianura appaiono nudi, ma la conca è rivestita da una
grande foresta, il 'Bosco da remi di San Marco' della Repubblica di Venezia
che ha una estensione di oltre seimila ettari e che è, se non sbaglio,
la maggiore foresta demaniale italiana ".
Circa l'estensione della foresta è giustificato l'inciso dubitativo,
perché il Cansiglio non è sicuramente la maggiore foresta
demaniale italiana, superata com'è dai 18.000 ettari di quella
di Tarvisio e anche da quella della Sila. Quanto alla qualità del
prodotto e alla bellezza, si può discutere.
Egli trova modo di accennare anche ai Cimbri, i radi abitanti dell'altipiano,
gente di ceppo ladino (doveva dire 'germanico') emigrativi nel 1700 dai
Sette Comuni e ridotti ormai a poche famiglie.
Citando l'attività degli indigeni, descrive la gial (andrebbe scritto
jal), lo spazio rotondo dei vecchi carbonili, una delle poche risorse
della grama economia della zona (la troviamo anche ne L'aviatore americano),
un racconto uscito nel dicembre del 1948 su "Il Ponte" di Pietro
Calamandrei, dove si sofferma ancora sulla natura carsica dell'altipiano
e sul Bus de la Lum.
"Tra le forre del Cansiglio trovarono rifugio i primi sbandati che
si davano alla macchia, e i soldati caduti nelle mani dei repubblichini
e dei tedeschi che riuscivano a saltare dai treni avviati in Germania
per la linea Venezia Tarvisio ".
Presto corse voce della presenza di costoro, le cui file andavano progres57
sivamente infoltendosi; ma i partigiani erano pur presenti in forze sull'opposto
Col Visentin, le cui estreme propaggini vanno, una trentina di chilometri
oltre, a formare una spalla della stretta di Quero, attraverso la quale
scende il Piave; e il movimento si salda così con lo scacchiere
bellunese.
Mentre la tracotanza nazista, con sovrano disprezzo verso l'alleato di
Salò, proclama l'annessione dell'Alpenvorland, la Resistenza trevigiana
e bellunese realizza un'unità funzionale tattica e strategica,
confermata dalle missioni alleate, a cavallo delle Prealpi.
Si attua così un'integrazione-scambio tra le due province: tanto
da far deplorare oggi che la collaborazione non sia continuata nel dopoguerra,
tali erano le esigenze e i problemi comuni che avrebbero potuto essere
affrontati più proficuamente insieme. Ma questo è un altro
discorso.
Tito A. Spagnol, che stava progettando di tornare a Milano, dove suoi
amici già lavoravano nella Resistenza, entra nel Comitato di Liberazione
Nazionale vittoriese (avvicinato da Celante; di lui gli ha parlato Guggino),
prende contatto con Giovanni Gandin, che, dal suo seggiolone di miastenico,
con sprezzo del pericolo, tira le fila della cospirazione. Con lui dividerà
il carcere nelle prigioni veneziane.
Dal fascismo Spagnol era stato fuori, anzi tenuto a vista. In famiglia
aveva avuto uno zio paterno, l'avvocato Luigi, originale figura di politicante,
democratico, strenuo difensore dei poveri (le filandiere cantavano: "Viva
Spagnol, Viva Spagnol, via Luvigi il nostro protetòr! "),
sempre in lotta con i clerico-moderati e regolarmente battuto in tre successive
elezioni alla Camera.
Ora, col nome di battaglia 'Tommasi', Spagnol opera nel C.L.N., che ha
il compito di sostenere le formazioni che gravitano sulla città,
in special modo il Gruppo Brigate Cansiglio, mentre le altre formazioni
possono attingere a Belluno e a Conegliano. Situazione non facile, se
si pensa che Vittorio Veneto, con due caserme e numerosi altri accantonamenti,
è sede di Brigate Nere e poi della X Mas, di comandi tedeschi,
tra cui l'Intendenza della Luttwaffe. Spagnol accredita la notizia che
qui avrebbe trovato sede anche l'Ufficio Cartografico della Whermacht
in Italia (notizia che sarebbe oltremodo interessante anche per questo
nostro convegno imperniato sulla Geografia della Resistenza, ma che non
ha trovato riscontro in alcuna altra fonte consultata).
Lui salirà in Cansiglio per accompagnare il Battaglione territoriale
"Trentin" e lì i suoi capelli bianchi e il bastone fecero
una certa impressione: era uno dei partigiani più anziani (a conti
fatti aveva quarantotto anni!).
Ci arriva nel momento peggiore, perché è già nell'aria
il grande rastrellamento. E sarà protagonista di un singolare episodio.
La situazione sta precipitando. Già si delinea l'attacco concentrico,
da più direttrici, di consistenti forze nemiche. I tedeschi hanno
fatto un colpo di mano alle Prese, fino alle malghe, sfruttando la sorpresa.
"Era una maledetta
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montagna, con quella sua costiera boscosa e intersecata da innumerevoli
valioni sul versante tra Santa Croce e Farra, lungo i quali ci si poteva
inerpicare senza esser visti e uditifino al margine dei prati. Qualche
giorno di poi una voce minacciosa e nuova si fece udire: i cannoni da
149 che i tedeschi ave vano piazzato sulle colline vittoriesi che formano
l'antemurale ai dossi del Pizzoc. Altre batterie di minor calibro, dal
fondo della vallata del Fadalto battevano le creste del Millifret e di
Monte Prese. A sera tutte le macchie di ceduo che pezzano i dorsali esterni
di questo lato dell'altipiano erano in fiamme e i loro riflessi illuminavano
sinistramente il Piano del Cansiglio. Di notte il cannone non smetteva
di tuonare, le vampe delle granate sprizzavano sulle cime del Pizzoc ".
Ormai la situazione è insostenibile: i tedeschi avanzano e premono
da tutte le parti. E allora viene ordinato il ripiegamento: nel più
grande silenzio le brigate avrebbero abbandonato le posizioni fino allora
tenute, prendendo la via di Candaglia e di qui per Pian Cavallo e la Val
Cellina a ricongiungersi con le formazioni friulane della Osoppo. L'unica
via per sottrarsi ll'accerchiamento.
Secondo le tabelle di marcia: partenza alle tre del mattino.
Nella notte ci dovrebbe essere un lancio, ma gli aerei sorvolano due volte
e se ne vanno, forse disorientati dagli incendi.
Affranto, con le gambe che lo reggono a stento, Spagnol si sdraia in un
giaciglio nella 'dependance' dell'albergo e cade in un sonno di piombo.
Si sveglia alle sei. Non c'è nessuno. Sente crepitare mitragliatrici
tedesche. Che era avvenuto? L'alpino che doveva svegliarlo, lo ha scosso,
ha avuto risposta, ha preso il suo sacco e se ne è andato, convinto
che l'altro lo avrebbe seguito. Ora si trova solo, unico topo in una così
grande trappola.
E comincia un'allucinante odissea. Muove verso Candaglia, ma viene a sapere
da due partigiani sbandati che c'è stato un contrordine: non più
verso Candaglia; gli uomini hanno avuto l'ordine di scendere alla spicciolata
in pianura, cercando di filtrare tra le maglie dell'accerchiamento. Coi
due, che sono di Nove, decide di cambiare direzione, puntare a destra
verso Vallorch, salire verso l'orlo del Millifret, tra Pian de la Pita
e Col delle Fede. Una salita sfibrante, durissima.
L'aspetto della natura, fino ad allora descritta da lontano, ora attanaglia
in presa diretta: "... tutto un seguito diforre, di vailoni scoscesi,
di gobbe, di ertipendii che si intersecavano caoticamente. Il fusteto
era altissimo, senza una radura".
E poi la scelta della discesa vertiginosa per il Fafon. "Mi feci
spiegare cosa era il Fafon. Era un burrone che smaltiva le acque di Pian
de la Pita, svasandosi poi in un amplissimo conoide che finiva sopra la
strada di Ailemagna, nel punto in cui si immette quella che scende dalle
centrali idroelettriche di Basso Fadalto, sulle rive del Lago Morto..,
quasi a picco sotto di noi... come un vassoio opaco di peltro, 1200 metri
più in basso ".
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Al buio, per un sentiero a perpendicolo lungo le pareti del canalone,
senza sapere dove si posava i piedi, e poi il ghiaione con le continue
frane di sassi e i tedeschi allarmati che dal basso sparavano a casaccio.
Finito il ghiaione, cominciò l'altro tormento, quello dell'intrico
dei rovi e della sterpaglia, la prova più stressante, finché
riescono ad arrivare alla nazionale. "Tolteci le scarpe, in fila
rasente al muraglione, iniziammo quella che si riteneva la parte più
rischiosa della nostra impresa, ma che invece si svolse nel modo più
tranquillo. La strada era deserta, di notte i tedeschi amavano poco muoversi,
così senza incontri arrivammo alle prime case di Nove, ove presso
il cavalcavia c'era una fontana: erano dodici ore che non toccavamo acqua
".
Dopo una cena improvvisata in una casa amica di un minuscolo borgo che
sorge più in là (Borgo Piccino Borgo Simoi), e un sonno
ristoratore, il Nostro torna a Vittorio in bicicletta, ben vestito. Al
posto di blocco i tedeschi guardano appena la carta di identità:
i capelli bianchi e le rughe sono il miglior lasciapassare.
In Cansiglio ci si accinge a ricostituire le formazioni disperse. Anche
se non c'è più un fabbricato, una casera, una baita in piedi
(così riferiscono le staffette), resta il Comando della Divisione
e del Gruppo Brigate, resta l'ospedale con cinquanta feriti intrasportabili
e un gruppo di ex prigionieri alleati, celati in un recesso della foresta,
dove i tedeschi si sono ben guardati dal penetrare.
Per ricostituire le formazioni occorrono mezzi di ogni sorta e il C.L.N.
si accinge alla nuova fatica, raccogliendo aiuti più abbondanti
di prima.
Fin qui le Memoriette.
T.A. Spagnol, dopo la guerra, è intervenuto con altri scritti a
commento della Resistenza, ha detto la sua anche polemicamente, ha partecipato
all'ampio dibattito che si è sviluppato sulle scelte e sui modi
della guerra partigiana.
Ma quest'ultimo scritto, quello che lui ha chiamato Memoriette del tempo
nero e che noi abbiamo abbondantemente citato, resta il tributo più
bello che egli ha rivolto a quella stagione di eroismi oscuri, scritto
con uno stile realistico senza enfatizzazioni, da "buon artigiano
della scrittura", come amava definirsi, forse con un pizzico di civetteria.
Il paesaggio del vittoriese e del Cansiglio sembra assumere in queste
pagine una particolare valenza: quasi un ruolo di coprotagonista, accanto
agli uomini, alla loro dura vita, alle fatiche, ai rischi, ai sacrifici
anche supremi.
Essi lottavano per la libertà della loro terra. E il paesaggio,
da insieme visivo di profili, di rilievi, di alberatura, di coltivi, assume
valore metafisico, sintesi di natura, di storia, di fedeltà e di
fierezza.
E la 'propria terra', il 'proprio paese' per quegli uomini. Diventa una
forza. Rappresenta per i volontari della libertà l'immagine viva
degli ideali per i quali combattevano e morivano.
NOTA
Memoriette marziali e veneree è stato
stampato in Vicenza - Arti Grafiche delle Venezie nel dicembre del 1970,
editore Mario Spagnol.
T.A. Spagnol avverte in premessa: "Queste pagine, pubblicate per
la prima volta da Leo Longanesi su 'L'italiano' e 'Omnibus', e da Mario
Fannunzio su 'il Mondo', sono state qui raccolte secondo l'ordine temporale
dei fatti e degli avvenimenti narrati
L'autore del presente testo ringrazia il signor Nino Roman per l'aiuto
fomitogli nella ricerca dei brani citati di T.A. Spagnol.
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