I CASTAGNETI DELLE PREALPI TRE VIGIANE
Come è noto, la provincia di Treviso, detta un tempo
Marca Trevigiana, è considerata comunemente una provincia di pianura
posta all'estremità orientale del Veneto a confine con la regione
Friuli - Venezia Giulia.
Verso l'estremità settentrionale essa presenta, però, una
serie di rilievi collinari e montani (a confine con la provincia di Belluno)
sui quali è presente il 90% dei suoi boschi e tutti quelli di castagno.
Le due zone, collinare e montana, possono essere comprese in un ideale
rettangolo molto allungato che si estende dal Monte Grappa al Cansiglio.
Il limite settentrionale è dato dalla serie di cime delle cosiddette
Prealpi Bellunesi, quello meridionale dalla strada nazionale "Pontebbana"
e dalla provinciale "Schiavonesca". I confini orientali ed occidentale
sono dati, rispettivamente, dal fiume Meschio e dal limite di provincia
con Vicenza.
Questo rettangolo è diviso in due parti disuguali dal Piave, parti
che in seguito verranno chiamate sottozone: la Destra (dal Grappa al fiume)
e la Sinistra (dal fiume al Cansiglio) in analogia a quanto fu determinato
dalla statistica agraria e forestale del 1929. Fra la zona collinare e
quella più propriamente montana, di diversa origine geologica,
corre una strada che in pratica ne segna il limite.
Una caratteristica dei comuni "pedemontani" è quella
della loro topografia allungata, tale da occupare il monte, il colle e
il piano. Questo fenomeno, particolarmente evidente in Destra Piave, è
probabilmente legato alla storia dell'origine e dell'evolversi di quei
Comuni, i cui abitanti potevano godere
PROF. ANTONIO GABRIELLI. Già funzionario del Corpo Forestale dello
Stato e Consigliere dell'Accademia Italiana di Scienze Forestali di Firenze.
Studioso ed esperto di storia forestale, del paesaggio e di selvicoltura.
27
dell'agricoltura (in piano) dei pascoli e della legna (in colle ed in
monte). Analoga la situazione in Sinistra Piave ma assai meno evidente,
date le scarsissime pianure interposte, saldandosi spesso la parte montana
a quella collinare sottostante.
Se l'ISTAT divide la provincia di Treviso nelle due zone orografiche di
pianura e di collina, la legge sulla montagna del 1952 ebbe a classificare
"montani" ben 15 comuni (3 interamente e 12 parzialmente). In
tal modo la superficie "montana" della nostra provincia assume
un valore di un certo rilievo portandosi al 12,2% di quella territoriale,
con una superficie di oltre 30.000 ettari (pari al 29% di tutta l'area
d'indagine) mentre l'area collinare raggiunge 73.000 ettari costituendo
quasi il 30% dell'intera superficie della provincia.
Su 3990 ettari di boschi di castagno, fra cedui e fustaie, 1029 ettari
appartengono al bacino del Soligo, il più importante della zona
in Sinistra Piave.
Le Prealpi Trevigiane, ed in particolar modo la parte sub-alpina e collinare,
sono abitate ininterrottamente fin da epoche preistoriche. Ritrovamenti
antropici del Paleolitico si sono avuti ad Asolo, Castelcucco, Crespano
del Grappa.
Più abbondanti i reperti del Neolitico in alcune zone di pianura
o di bassa collina (Fonte, Maser, S. Zenone degli Ezzelini) che stanno
a dimostrare come quei popoli avessero trovato in loco un ambiente favorevole
di vita (pendici esposte al sole, anfratti e caverne, sorgenti d'acqua).
Nel secondo millenio a.C. arrivano i Veneti (Paleoveneti) dall'Illiria,
di tradizioni mercantili, che giungono nella regione in un periodo climatico
caldo-arido (il cosiddetto optimun climatico postglaciale) e si trovano
di fronte a boschi di tipo xerotermico, in presenza di numerose specie
mediterranee (leccio, rosmarino, fillirea, ecc.).
Successivi periodi climatici più freschi ed umidi dovrebbero aver
consentito la "discesa" del faggio se, come risulta da documenti
medievali, le pendici settentrionali del Montello furono occupate da questa
specie in consociazione col castagno.
In alcune ricerche palinologiche della Bertolanì-Marchetti, (1974)
effettuate nei pressi di Arquà Petrarca, "il castagno compare
e si afferma in concomitanza di un aumento del querceto misto ed una diminuzione
del faggio" e non comparirebbe "prima del periodo subatiantico
(dall'800 a.C. in poi) nell'area d'influenza della cerchia alpina, in
quantità apprezzabili, anche se era già presente in tracce
nel periodo precedente subboreale (dal 2500 all'800 a.C.)".
Secondo Lorenzoni (1977) "lo smoderato utilizzo del querceto nei
boschi prealpini ha fatto sorgere un'associazione diversa, quella dell'ostrieto,
caratterizzata da carpino nero, orniello, bagolaro. I querceti vengono
così ad assumere un'importanza del tutto marginale tanto da pensare
ad un ostrieto climax mentre esso è una formazione secondaria.
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Quindi troviamo gli ostrieti un po' dappertutto nelle situazioni mesofile
e termo-mesofile con eccezione di ambienti troppo umidi dove invece troviamo
il castagneto".
L'antica presenza di zone boscate è confermata da numerosi toponimi,
come quelli di origine germanica (Longobardi) (gai, braida, silvarotunda)
latina e veneta (selva, castagne, roveredo, radego). Il nome Refrontolo,
oggi comune autonomo ma un tempo frazione di Pieve di Soligo, sembra derivare
da un "rex frondium" cioè di zona disboscata. Tutta la
vasta zona, compresa fra Refrontolo, S. Pietro di Feletto, Barbisano e
Collalto, sembra che fosse, fino a circa due secoli or sono, una grande
boscaglia di castagni, faggi e roveri dove vivevano diverse famiglie dedite
al taglio dei legnami per conto della Serenissima.
Verso la metà del Secolo XVI tutto il territorio trevisano aveva
una densità di popolazione di circa 70 abitanti per chilometro
quadrato ed in una relazione del Capitano di Treviso Bragadin, fatta al
Senato veneto nel 1537, si diceva "che mò è stà
disboscando e redutto a pascoli comuni da circa 130 mille campi"
cioè un'estensione pari a L. 70.000 ettari essendo il campo trevisano
poco più di mezzo ettaro.
Analogamente in un'altra relazione del Podestà di Conegliano del
1609 si legge che "è assai ristretta la terra di Conegliano
al presente di legne per esser stati distrutti i boschi ed in particolare
cimate e stramate moltissime roveri... ed è manchevole medesimamente
di legna da fabbricare e di carboni servendosi di questi da Serravalle
e Ceneda e del resto dal Cadore e Cividale". Va detto anche che negli
statuti del comune di Conegliano (che fu libero fin dal 1112) era prescritto
che si facessero obbligatoriamente piantagioni di viti e di ulivi, mentre
nel '600 e nel '700 vigeva ancora, sul territorio comunale, il diritto
di pensionatico per i bestiami di passaggio.
Altrove, come a Cison Valmarino (il cui toponomi sembra derivare da cesa
= bosco tagliato) si sviluppava una intensa attività agricola,
ad opera della famiglia feudale dei Brandolini, che tenne la località
per più di tre secoli ,con abbondanti vigneti e pascoli per le
greggi che rifornivano di lana alcuni opifici dislocati sulla pedemontana.
Forse uno dei motivi per i quali il comune di Borso del Grappa non ha
avuto castagneti era quello della prevalenza dei pastori i quali ,alla
fine del XIII secolo, si ribellarono alle autorità comunali per
i limiti loro imposti all'accesso e all'uso dei boschi e dei pascoli.
L'agricoltura della Trevisana, come del resto quella di tutto il Veneto,
si dilata enormemente nel XVII e XVIII secolo ed anche i pascoli cominciano
a far difetto, come risulta da una relazione di Domenico Pisani del 1762.
Per rifarsi delle enormi spese subite con la guerra di Candia, la Serenissima
fu costretta alla vendita di una parte dei beni comunali, cioè
di quelli che si stimavano superflui rispetto ai fabbisogni locali. In
tal modo vastissime
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estensioni di terre furono allineate o quanto meno sottratte ad ogni restrizione.
L'esercizio continuo del pascolo e l'intensa produzione di carbone portarono
alla definitiva scomparsa di molti boschi, specialmente sui Lessini, in
tutta la bassa montagna e nelle colline dove un tempo c'erano anche estesi
castagneti.
Un indice indiretto della "colonizzazione agraria" della repubblica
veneta può essere fornito dalla presenza delle ville patrizie nell'entroterra,
le quali hanno rappresentato centri di progresso agricolo. Il Sereni (1962)
ne ha fatto una statistica notando che su un complesso di 1411 ville di
interesse artistico oggi esistenti nella regione, non più di 22
risalgono ai secoli tra l'XI e il XIV, 84 al secolo XV, ben 257 al XVI,
322 al XVII e 403 al XVIII secolo.
Già dal 1756 la Serenissima aveva imposto, con una legge agraria,
la piantagione, per ogni campo di terreno adatto, di quattro piante di
ulivo o, in mancanza, di quattro castagni o altri fruttiferi. Le ripetute
gelate che si verificarono fra il 1782 ed il 1789 spensero completamente
l'olivicoltura nella Marca Trevigiana. Fra i boschi si salvarono, ancora
per poco tempo, quello demaniali, fra i quali l'esempio più famoso,
nella zona che ci riguarda, è quello del Montello.
Andrea Saccardo, in una breve nota del 1894, scriveva che il Montello
"alla fine del Medio Evo non era una foresta compatta ed uniforme
giacché vi rimanevano inclusi degli appezzamenti lavorati (detti
masi) appartenenti a diversi proprietari che causavano molti danni al
bosco". Di questi si ha notizie in una relazione di Angelo Correr
del 1539 che dice di aver visto ceppaie tagliate fra le due terre e ricoperte
in modo da non essere notate. Per questi motivi Venezia indemaniò
il Montello nel 1587 facendo abbattere le case ivi esistenti. Nei governi
che succedettero dopo la caduta della Serenissima, i danni aumentarono
quanto più furono severe le leggi per contrastarli, ed in tal modo
si arrivò alla completa distruzione del bosco.
Il Montello fu infatti sdemanializzato e quotizzato nell' 892 ed il commissario
ripartitore delle terre fu, ironia della sorte, il noto ispettore forestale
Carlo Giacomelli, che provvide a spartire i 5913 ettari del bosco in 1224
quote di circa 2 ettari e mezzo l'una da concedere ai "bisnenti"
(poveri nullatenenti) e l'altra metà in 389 poderi, della superficie
variabile da 6 a 14 ettari, da porsi in vendita dopo l'apertura dii 29
chilometri di strade poderali.
Il Saccardo (1984) notava che anche "dopo l'avvenuta distruzione
dell'alto fusto di quercia, le ceppaie vegetano meravigliosamente e daranno
in breve un ricchissimo ceduo".
Tuttavia "a nostro sommesso parere - continua l'insigne botanico
- il ripristinamento del bosco, specie di castagno, più utile ai
privati della quercia, sarà il prodotto più numerativo che
si possa cavare dal Montello".
In base alle ricerche di Giampaolo Cagnin (s.d.), il castagno si trova
citato nella zona del Montello fin dal 1291, in un contratto livellare
a Giàvera; in un altro del 1331 a Volpago ed un altro ancora a
Castegnè del 1344. "Nei
30
contratti d'affitto - nota l'Autore - troviamo il castagno presente in
una grande varietà di situazioni: in boschi di piccole dimensioni,
sui prati, accanto a talvolta dentro i seminativi (dimidietatem nucum
et castanearum dicte pecie arratorie)". Ma nel complesso dei contratti
"le clausole riguardanti il castagno costituiscono una minoranza
quasi trascurabile. Forse questa prassi, comune nell'Alto Medioevo, sembra
dovuta al fatto che le attività economiche silvo - pastorali sfuggivano
alla contrattazione scritta". Lo stesso Cagnin, infatti, informa
"di non aver mai trovato negli elenchi di scorte alimentari, raccolte
negli inventari, alcun accenno alla presenza di castagne". Inoltre
"all'interno di grandi comunità, come i monasteri, la castagna
come alimento appare appena di sfuggita. Nei bilanci dell'abbazia di Follina,
ma siamo nel sec. XVI, si trova solo uno statio (Kg. 76 circa) ed una
calvia di castagne, contro 530 statia di frumento, 101 di miglio, 50 di
sorgo e 8 di fave".
Oggi il Montello è coperto da un bosco quasi puro di robinia (introdotta
nel Lombardo - Veneto verso la fine del Settecento) ma anche una sessantina
di anni fa il castagno aveva, come vedremo, superfici modeste.
In Destra Piave il Comune di Pederobba possiede "il più antico
statuto che parli di castagni ed è un probabile frutto della grande
carestia del 1347 e successiva peste del 1348 quando i cittadini decideranno
lo sfruttamento alimentare della castagna che prima aveva un ruolo del
tutto marginale" (Cagnin, op. cit.).
Bisognerà arrivare alla metà del XV secolo per sentire la
necessità di obbligare le comunità agricole a piantare o
incalmare annualmente un certo numero di pedali di castagno.
Comunque, sempre in Destra Piave, il documento più antico che parli
di castagni è del 1192 a proposito di un bosco chiamato "Castagnedum".
Identici toponimi troviamo a Paderno nel i325, a Crespano nel 1342 e ad
Obledo nel i367.
È interessante fare qualche altra osservazione.
Pare ormai accertato che le migliori cultivar di marroni presenti nelle
Prealpi Trevigiane siano da ascrivere, con lievi varianti, alla coltivar
del "marrone fiorentino o casentinese". I possibili interrogativi
che si pongono a questo proposito potrebbero riguardare la sua origine,
se sia stata individuata in loco o introdotta e quindi comunque diffusa
e coltivata nell'alto Trevigiano. Può darsi che nel pedemonte di
Miane, di Combai odi Cison di Valmarino questa varietà sia stata
naturalmente presente, apprezzata dalle popolazioni locali per i suoi
frutti e da esse propagata artificialmente nelle migliori situazioni pedelogiche,
climatiche, morfologiche ed economiche delle varie comunità. Del
resto il Gera(i838) nel suo Dizionario nota che "è da credere
che in più di un luogo l'agricoltore abbia incontrato, fra le infinite
varietà di castagni, quella pianta a frutto straordinario e l'abbia
moltiplicata. Questo caso accaduto in più luoghi, ha fissato molte
varietà a frutto grosso
31
tutte distinte da qualche leggiera differenza, ma però così
somiglianti fra loro che sono state credute una sola e hanno ricevuto
il nome della prima che la coltura ha posto in commercio".
Ma quando possono essersi verificati questi miglioramenti? E impossibile
dare una risposta certa.
Le notizie riportate da Danilo Gasparini (1986) nei tre volumetti sulla
"Civiltà del castagno", relative agli atti preparatori
del catasto austriaco del distretto di Valdobbiadene, indicano una scarsa
produttività sia quantitativa che qualitativa di quei castagneti.
Va notato, tuttavia, che gli atti del catasto hanno una veridicità
opinabile trattandosi di uno strumento fiscale. Del resto le stesse caratteristiche
di scarsa produttività si ritrovano anche nei castagneti in Destra
Piave.
Questi fatti potrebbero spiegare un miglioramento delle piante avvenuto
dopo il 1825 che, peraltro, sembra testimoniato da una relativa "gioventù"
dei soprassuoli (100-150 anni). Ma "1' incalmatura" con innesti
pregiati e più produttivi poteva essersi verificata fin dal XV
secolo o anche prima, come sostiene Gasparini, poiché, come si
è visto, la Signoria veneta imponeva alle comunità di piantare
ed innestare castagni.
Forse che le marze di "marrone fiorentino" furono importate
nella Marca Trevigiana? La cosa certa è che Venezia e l'entroterra,
e la Trevisana in primo luogo, furono centri di affari per molti mercanti
fiorentini, fra i quali si distinsero, per durata, gli Alberti del Giudice,
le cui carte sono state indagate da Armando Sapori (1982). Essi furono
attivi in Venezia almeno dal 1302 al 1350 secondo i libri di commercio
superstiti. Famiglia originaria del Casentino (Alpe di Catenaia), gli
Alberti tennero vari e vasti Possedimenti, oltre che in Firenze, anche
nel contado. Fra questi ultimi un nucleo di proprietà si era formato
in Val di Lamone nell'Appennino di Marradi. Si noti che in Casentino,
sull 'Alpe di Catenaia e a Marradi, il marrone diffusamente coltivato
è il "marrone fiorentino o casentinese"!
Gino Luzzato (1961), nella sua storia di Venezia, afferma che i panni
fiorentini erano presenti nel Trevigiano fin dal XV secolo e che quelli
che affluivano a Venezia dovevano essere mandati a lavare in terraferma
per scarsità di acqua dolce in città. Comunque la data più
antica, documentariamente rintracciabile, della presenza dei panni fiorentini
nella città lagunare, è il 1225.
Infine un ultimo caso, quello dei Soderini, non mercanti ma profughi da
Firenze. Un tal Mico Soderini fu confinato a Treviso nel 1356. Niccolò
fu esule anch'esso a Treviso nel 1466. Da un Antonio Soderini "procede
un ramo stabilitosi a Venezia dove conseguì il patriziato nel 1656"
per aver prestato alla Serenissima ben 140.000 ducati per la sfortunata
guerra di Candia. Questo ramo dei Soderini ebbe una villa presso Nervesa,
affrescata dal Tiepolo intorno al 1754 e distrutta durante la prima guerra
mondiale.
Un'ultima interessante notizia è quella secondo la quale il "marrone
32
fiorentino", sembra sia stata "importato" nella media Valsugana
(comuni di Torcengo, Roncegno, Strigno e Spera) verso la metà del
XVIII secolo su sollecitazione dell'imperatrice d'Austria Maria Teresa
che lo aveva, probabilmente, apprezzato presso i suoi stretti parenti
in Toscana. Non è da escludere che esso provenisse da sud, forse
proprio dal Trevisano o dal Vicentino, o che sia stato introdotto contemporaneamente
nelle due regioni.
I boschi di castagno e le loro vicende
La statistica forestale ISTAT (1987) assegna alla provincia
di Treviso 20.862 ettari in complesso, mentre per quelli di castagno il
dato riguarda solo le fustaie: 641 ettari, di cui 389 da frutto. I cedui,
dati in cifra globale e non distribuiti per specie, sono 13.128 ettari
fra semplici e matricinati.
Dall'inventano dei boschi non pubblici del Veneto (1987) si desume che,
per la provincia di Treviso, il ceduo di castagno rappresenta oltre il
25% di tutti i cedui, con 3349 ettari i quali, sommati a quelli della
fustaia, danno 3990 ettari di boschi a prevalenza di castagno. Essi rappresentano
poco più del 19% di tutti i boschi della provincia, che si colloca
così a prima provincia castanicola del Veneto (per i boschi non
pubblici).
La superficie dei castagneti a livello comunale è stata desunta
planimetrando le relative superfici rappresentate nella Carta Forestale
del Veneto del 1981, che risulta essere stata elaborata anche con rilievi
a terra. Nella Tab. i sono riassunti i dati relativi alle zone di Destra
e Sinistra Piave ed alle rispettive aree collinari e pedemontane.
Per il passato le informazioni statistiche sono assai frammentarie ed
incerte. Fanno eccezione i dati catastali riportati da Scarpa(1963) e
quelli del catasto forestale del 1929 ai quali ultimi si farà costante
riferimento.
I dati dello Scarpa riguardano le tariffe d'estimo del catasto austriaco
del 1980-45. In essi il castagneto da frutto (inserito fra i frutteti)
si estende per
1248 ettari, il "bosco ceduo con castagni" per ettari 209, il
"bosco castanile" per ettare 455, il "bosco castanile da
taglio con castagni" per ettari 15. Sorgono delle perplessità
sul modo di intendere in termini attuali questa classificazione. In particolare
il bosco castanile, che non si trova né fra i cedui né fra
i frutteti, poteva essere forse una fustaia da legno. In quell'epoca,
infatti, nel comune di San Pietro in Feletto sembra si ricavasse del legname
da opera di castagno nella misura di due taglie per pianta (circa 6 metri
di tronco per albero). Ed ancora il bosco Castanile da Taglio con castagni
poteva essere, forse, un ceduo matricinato o composto, oppure una fustaia
da legno con qualche pianta da frutto.
Il catasto austriaco fa menzione del castagno anche in altre qualità
di coltura, come nei prati e nei pascoli. Sembrerebbe trattarsi di prati
e pascoli alberati con piante di castagno, il tutto per una superficie
di circa 1300 ettari.
33
In conclusione il dato certo è che il castagno (da frutto, da legno
e ceduo) in provincia di Treviso, verso la metà del secolo scorso,
è presente su 1930 ettari.
Dalle brevi descrizioni fornite dallo Scarpa pare che la densità
media di piante nei castagneti da frutto in Destra Piave fosse di 90 piante,
con un minimo di 20 ad Asolo ed un massimo di 140 a Caerano. In Sinistra
Piave la densità media doveva essere di circa 40 piante ad ettaro.
Il ceduo sembra avesse un turno dai 5 agli 8 anni.
La situazione dei castagneti della Trevisana (fustaie e cedui) nel 1929,
secondo il catasto forestale, è riassunta nella Tab. 2 dove le
fustaie sono divise tra quelle a prevalente produzione legnosa (F.L.)
e quelle a prevalente produzione di frutto (F.F.) Per ciascuna di esse
è indicata la produzione annua media di legno e di frutto rispettivamente
in mc./ettaro e qli./ettaro. Va notato tuttavia che i comuni presenti
nel 1929 sono in numero minore di quelli attuali poiché alcune
frazioni sono passate, nel dopoguerra, a comune autonomo. Va detto, inoltre,
che nella statistica della Tab. 2 sono stati considerati solo quei comuni
che nel 1929 possedevano soprassuoli di castagno.
In conclusione il catasto forestale censiva per la provincia di Treviso
1140 ettari di fustaia di castagno da legno, 1671 ettari di castagneto
da frutto e 1009 ettari di ceduo semplice e/o matricinato. La Provincia
aveva quindi una superficie complessiva castanicola di ettare 3820 che
la poneva seconda in tutto il Veneto dopo quella di Vicenza. Di questa
superficie, il castagneto puro occupava 2950 ettari mentre gli altri 870
erano costituiti da boschi a prevalenza di castagno. A suo volta il castagneto
puro si ripartiva in 998 ettari di fustaia da legno, 1671 di fustaia da
frutto, 157 ettari di ceduo matricinato o composto, 124 di ceduo semplice.
Nei novant'anni intercorsi fra il catasto austriaco e quello forestale
italiano, si inseriscono i dati dell'inchiesta agraria Jacini del 1878
(solo per la Sinistra Piave) con i quali possiamo fare un interessante
raffronto che dimostrerebbe come alcuni comuni collinari abbiano perduta
molta superficie a castagneto a favore di altre colture.
|
1878
|
|
1929
|
|
ettari->
|
Fustaia
|
Cedulo
|
Fustaia
|
Cedulo
|
Vittorio Veneto
|
100
|
-
|
86
|
10
|
Cison di Valmarino
|
128
|
-
|
30
|
207
|
Follina
|
50
|
-
|
158
|
17
|
Revine Lago
|
25
|
-
|
186
|
15
|
Tarzo
|
190
|
500
|
249
|
16
|
Conegliano
|
81
|
102
|
1
|
-
|
Pieve di Soligo
|
-
|
480
|
38
|
4
|
S. Pietro in Feletto
|
-
|
205
|
36
|
6
|
Susegana
|
-
|
300
|
-
|
-
|
Valdobbiadene
|
233
|
-
|
245
|
165
|
Farra di Soligo
|
65
|
160
|
16
|
10
|
Miane
|
127
|
-
|
245
|
125
|
Segusino
|
70
|
-
|
47
|
-
|
Sernaglia della B.
|
2
|
-
|
-
|
-
|
Vidor
|
-
|
-
|
13
|
3
|
Totali
|
1071
|
1922
|
1350
|
578
|
Il ceduo sarebbe diminuito di 1344 ettari. In parte, forse, convertito
in fustaia ed in parte eliminato per far posto ad altre colture viticole,
con un decremento netto di oltre 1000 ettari.
In uno studio dell'Accademia di agricoltura di Verona, relativo alla dinamica
delle qualità di coltura nel Veneto nei secoli XIX e XX, si nota
che nella provincia di Treviso le colture legnose agrarie sono più
che raddoppiate nel periodo 1878-1929, passando da 1958 ettari a 4651,
mentre i seminativi passano da 149.000 a 163.000. Del resto anche in una
relazione ministeriale del 1874 si legge che "nel Coneglianese vi
è la tradizione da parte di amministratori e di amministrati a
sradicare le selve.., e crescere a dismisura il prezzo del combustibile
con impedimento reale dei lavori del fabbro ed altri artefici mentre il
carbone fabbricato nelle Alpi vicine non è sufficiente a somministrare
il combustibile richiesto dal giornaliero bisogno". Il catasto forestale,
facendo uguale a 100 la superficie boscata nella Trevisana, individuava
come questa si sarebbe ridotta col passare del tempo:
|
1870 |
1904 |
1910 |
1929 |
Collina |
100 |
89,5 |
72,4 |
61,4 |
Pianura |
100 |
60,5 |
57,6 |
24,8 |
Provincia |
100 |
86,2 |
70,7 |
57,4 |
Con la sola legge del 1877 furono svincolati inizialmente,
in tutta la provincia di Treviso, ben 6712 ettari di bosco, pari a circa
il 30% di tutta la superficie boscata del 1870. Ciò renderebbe
inattendibile il dato del 1904.
Dall'altro lato sta l'aumento della popolazione che, da una densità
di circa
109 abitanti per chilometro quadrato (di tutta la provincia) alla caduta
della
Serenissima, si porta a 119 nel 1857, a 142 nel 1871, a 166 nel 1901 e
a ben
226 nel 1931. Nel 1981 la densità della popolazione in Destra Piave
è di 225
abitanti (260 in collina e 147 nella pedemontana) con sensibili variazioni
da
comune a comune. In Sinistra Piave la densità media è di
250(328 in collina
e 121 nella pedemontana) anche qui con sensibili variazioni locali.
Un dato interessante è quello relativo alla popolazione che vive
sparsa per
35
la campagna, la cui media generale (su 17 comuni considerati) è
di 123 abitanti per chilometro quadrato con 154 in Destra Piave e 99 in
Sinistra.
I dati del catasto forestale del 1929 inducono a fare alcune considerazioni.
Innanzi tutto le due sottozone presentano, in valore assoluto, quasi la
stessa superficie investita a castagno.
In valore relativo, cioè in rapporto alla totale estensione della
sottozona, si nota che in Destra Piave si hanno 4,38 ettari di castagneto
per chilometro quadrato mentre in Sinistra il rapporto scende a 3,30 ettari.
In particolare, fatta uguale a 100 l'estensione del castagneto, in Destra
Piave il 39% spetta alla fustaia da legno, il 38% al castagneto da frutto
ed il 23% al ceduo. In Sinistra la situazione è alquanto diversa.
La fustaia da legno occupa circa il 21%, il castagneto da frutto va oltre
il 49% ed il ceduo si estende per oltre il 29%. È bene chiarire
che per fustaia da legno o a prevalente produzione legnosa non si possa
intendere una fustaia allevata per scopi commerciali. Si tratta essenzialmente
di piante non innestate a scarsissima produzione di frutto. Infatti nei
documenti esaminati non compare mai alcuna industria dedita al commercio
del legname di castagno locale.
Riguardo ai castagni del Montello, che il Saccardo stimava più
utili delle querce per la proprietà privata, i dati del 1929 riportano
68 ettari di fustaia da legno e 8 di ceduo negli allora comuni di Arcade,
Nervesa, Volpago e Montebelluna: un cinquantesimo di tutto il castagno
della Trevisana ed appena il 5,6% della superficie boscata dei quattro
comuni ora ricordati.
Comunque, nella zona di Ciano in Comune di Crocetta esisteva, verso il
1880, l'industria della fabbricazione delle ceste e dei panieri, che utilizzava
i vimini del greto del Piave e i piloni di castagno della zona dando lavoro
ad
una cinquantina di persone per due mesi l'anno con una produzione, fra
ceste
e panieri, di diecimila pezzi.
Circa la produttività del castagno della Trevisana, essa rimaneva
piuttosto bassa: su 2,2 metri cubi di incremento medio annuo. La più
bassa di tutte le principali specie forestali, poiché il faggio
dava mc. 2,9, la robinia 5,3, il carpino 3,4 e la rovere mc. 4,1. Queste
cifre potrebbero spiegare l'enorme diffusione avuta dalla robinia in tutto
l'ex Lombardo-Veneto.
All'impianto di questa specie nei campi del Veneto si erano interessati
alcuni scrittori di agronomia della prima metà dell'Ottocento,
entusiasti delle caratteristiche ecologiche e sevicolturali della pianta,
che si dimostrava un ottimo succedaneo agli ormai distrutti boschi di
querce. Gli autori esortavano contadini e proprietari a formare nei loro
campi siepi e filari di robinia o addirittura ad accantonare la parte
meno produttiva del possesso per dedicarla alla costruzione di boschetti
di questa pianta.
Fra le cause delle basse produzioni, comuni a tutti i boschi
di castagno, sia fustaie che cedui, gli atti del catasto forestale indicavano
la mancanza di
36
cure colturali, l'eccessivo pascolo e la raccolta dello strame; secondariamente
il substrato pedologico poco adatto o la bassa densità.
Anche il Caldart (1952), parlando dei castagneti contermini di Alano di
Piave e di Seren del Grappa, in provincia di Belluno , riferisce che "nessuna
cura si dedica attualmente (1950) al castagno... anche nei castagneti
veri e propri l'agricoltore non entra che al momento di cogliere il frutto:
nessuna potatura, nessuna rimodernatura dei rami secchi, nessuna lavorazione
del terreno e men che mai concimazioni di alcun genere ma, anzi, asportazione
della lettiena".
Un raffronto fra la situazione dei castagneti della provincia di Treviso
nel 1929 e quella attuale, desunta dalla carta forestale del Veneto del
1981, è riportato nella Tab. 3.
Ciò che a prima vista colpisce in questo raffronto è che
in destra Piave sono praticamente scomparse le fustaie (il cui esempio
più vistoso è nel comune di Asolo), in parte convertite
in cedui ed in parte scomparse per far posto ad altre colture o insediamenti
urbani. Lo strano tuttavia è che, in una indagine del Bergamini
(1980) sulle cultivar di castagno nella Trevisana, il 40% di esse proverrebbe
dalla zona di Cavaso del Tomba dove non ci sarebbero che 357 ettari cedui;
potrebbe trattarsi di matricine da frutto.
In Sinistra Piave si assiste ad un generale regresso della fustaia, ma
in qualche caso anche ad un aumento in cifra assoluta ed in particolar
modo col ceduo, legato, forse, alla fiorente industria viticola della
zona. In questa parte le cultivar più pregiate si trovano a Combai
- Miane: insieme a quelle di Cavaso, esse forniscono il miglior prodotto
per l'industria dolciaria.
In conclusione, nella Marca Trevigiana il bosco puro di castagno o, quanto
meno, a prevalenza di questa specie, è praticamente rimasto inalterato
nel tempo nonostante le avverse vicende economiche e patologiche che possono
aver favorito lo spostamento della fustaia al ceduo.
Peraltro la specie risulta assai diffusa come componente
secondaria negli altri cedui di Destra Piave costituiti per lo più
da robinia, roverella, carpino nero e frassino. La partecipazione del
castagno nei cedui misti si aggira mediamente sul 30%. In Sinistra Piave
la partecipazione del castagno nei cedui misti è meno abbondante
ed è riscontrabile solo nella fascia pedemontana dove la sua presenza
è mediamente del 25%. Praticamente assente nelle basse colline
di Refrontolo, Pieve di Soligo, San Pietro in Feletto, Farra di Soligo,
Susegana, Conegliano, ecc., dove dominano la robinia ed il carpino nero
la cui diffusione è imputabile al degrado del querceto caducifoglio
troppo sfruttato dall'uomo. Quindi troviamo il carpino un po' dappertutto,
eccetto che negli ambienti aridi dove rimangono gli elementi più
xerofili del querceto, anche se non di quello originario, ed in quelli
più umidi dove prevale il castagno.
In una indagine del Cappuccini (1937) eseguita nelle Prealpi venete poco
37
prima della seconda guerra mondiale, si concludeva di "lasciare intatte
tutte le limitate zone a coltura agraria; analogamente i piccoli boschi
di castagno, che sono disseminati nelle zone eoceniche verso la parte
più bassa delle pendici, dando loro ogni possibili miglioramento;
di promuovere la trasformazione dei prati naturali della parte più
bassa in una ininterrotta fascia di prati coltivati e possibilmente alberati
con piante boschive e fruttifere fino al limite superiore che si aggira
sui 500 metri".
La situazione attuale dei castagneti da frutto delle Prealpi Trevigiane
non è molto confortante anche se si nota un rinnovato interesse
per questa coltura.
Le superfici investite a "frutteto" sono esigue (forse qualche
centinaio di ettari) ed estremamente frazionate.
Talvolta solo due o tre piante isolate di castagno formano un castagneto
da frutto.
Da notare che aziende con almeno 30040 castagni sono pochissime e non
è un caso che quelli meglio curati si trovino in località
come Fais, Maren, Valmareno presso le aziende agricole rimaste, pur con
una densità che non supera le 30 piante ad ettaro.
La grande maggioranza dei popolamenti sembra essere costituita da cedui
composti con una rada fustaia di castagni da frutto la cui produzione
si rivela molto bassa mentre le piante tendono a sfilansi per andare a
cercare la luce sopra il ceduo.
La produzione dei marroni (Combai e Miane) è del tutto insufficiente
ad alimentare un certo commercio e tanto meno un'industria.
Nessuna cura culturale è praticata. Attualmente, a iniziativa della
C.M.P.T., alcuni proprietari più intraprendenti hanno iniziato
interventi di ripristino per cercare di rimettere in buono stato i loro
castagni abbandonati da tempo. Altrove si cominciano a vedere nuovi impianti,
provenienti da ceduazione di vecchie ceppaie, con polloni innestati con
le migliori cultivar disponibili.
Il ceduo, il cui turno si aggira sui 10-15 anni, fornisce abbondante paleria
piccola e grossa impiegata per lo più nei vasti vigneti, tenuti
a palo secco, delle aree collinari e buona parte della legna da ardere
per uso familiare. Il legname delle matricine o delle piante isolate è
utilizzabile in loco a livello di proprietario o al massimo comunale.
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Repubblica fiorentina. Firenze.
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Torino.
VENETO (IL) PAESE PER PAESE. 1982. Volumi 5. Firenze, Bonechi.
Tab. 1 - Superficie (ha) dei boschi di
castagno della Provincia di Treviso
DESTRA PIAVE COMUNI COLLINARI
|
|
Fustaia
|
Ceduo
|
ASOLO
|
non ha boschi a prevalenza di castagno
|
CASTELCUCCO
|
non ha boschi a prevalenza di castagno
|
CORNUDA
|
|
54
|
FONTE
|
16
|
108
|
MONFUMO
|
|
106
|
5. ZENONE DEGLI EZZELINI
|
|
102
|
Totale
|
16
|
370
|
|
|
|
DESTRA PIAVE COMUNI PEDEMONTANI
|
BORSO DEL GRAPPA
|
non ha boschi a prevalenza di castagno
|
CA VASO DEL TOMBA
|
|
357
|
CRESPANO DEL GRAPPA
|
|
120
|
PADERNO DEL GRAPPA
|
|
60
|
PEDEROBBA
|
|
368
|
POSSAGNO
|
|
210
|
Totale
|
16
|
1539
|
|
|
|
SINISTRA PIAVE COMUNI COLLINARI
|
CONEGLIANO
|
non ha boschi a prevalenza di castagno
|
FARRA DI SOLIGO
|
|
44
|
PIEVE DI SOLIGO
|
non ha boschi a prevalenza di castagno
|
REFRONTOLO
|
non ha boschi a prevalenza di castagno
|
S. PIETRO DI FELETTO
|
non ha boschi a prevalenza di castagno
|
TARZO
|
10
|
146
|
VIDOR
|
10
|
108
|
VITTORIO VENETO
|
108
|
54
|
|
|
|
SINISTRA PIAVE COMUNI PEDEMONTANI
|
CISON DI VALMARINO
|
146
|
270
|
FOLLINA
|
137
|
205
|
FREGONA
|
|
27
|
MIANE
|
75
|
303
|
REVINE LAGO
|
173
|
|
SEGUSINO
|
|
32
|
VALDOBBIADENE
|
150
|
443
|
Totale
|
626
|
1805
|
|
|
|
TAB. 2 - Superficie dei castagneti nel 1929
DESTRA PIAVE COMUNI COLLINARI
|
|
Bosco
|
T.Fust.
|
Legn.
|
Fust.
|
Frut.
|
Ceduo
|
|
|
Ettari
|
Ha.
|
mc/ha
|
Ha.
|
Qli./ha
|
ha
|
mc/ha
|
ARCADE
|
273
|
17
|
7
|
|
|
|
|
ASOLO
|
522
|
137
|
3
|
149
|
7
|
135
|
4
|
CORNUDA
|
202
|
|
49
|
|
|
|
|
CROCETTA MONT
|
83
|
|
|
|
|
|
|
FONTE
|
131
|
|
|
|
|
1
|
6
|
MASER
|
290
|
|
|
21
|
4
|
43
|
4
|
MONTEBELLUNA
|
67
|
|
27
|
5
|
7
|
5
|
|
NERVESA
|
349
|
21
|
7
|
|
|
|
|
5. ZENONE
|
135
|
7
|
4
|
43
|
6
|
56
|
5
|
VOLPAGO
|
674
|
30
|
4
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
DESTRA PIAVE COMUNI PEDEMONTANI
|
BORSO
|
271
|
|
3
|
10
|
|
|
|
CAVASO
|
332
|
110
|
2
|
119
|
7
|
36
|
3
|
CRESPANO
|
222
|
69
|
2
|
9
|
10
|
|
|
PADERNO
|
288
|
10
|
2
|
39
|
10
|
44
|
1
|
PEDEROBBA
|
419
|
161
|
3
|
53
|
10
|
84
|
2
|
POSSAGNO
|
299
|
161
|
2
|
48
|
12
|
16
|
2
|
Totale
|
4575
|
723
|
3
|
708
|
6
|
431
|
3
|
|
|
|
|
|
|
|
|
SINISTRA PIAVE COMUNI COLLINARI
|
CAPPELLA MAGGIORE
|
28
|
|
3
|
10
|
|
|
|
CONEGLIANO
|
66
|
1
|
4
|
|
|
|
|
FARRA DI SOLIGO
|
106
|
3
|
?
|
10
|
4
|
10
|
3
|
PIEVE Dl SOLIGO
|
316
|
18
|
?
|
20
|
8
|
4
|
3
|
SARMEDE
|
255
|
|
6
|
10
|
|
|
|
S. PIETRO DI FELETTO
|
183
|
|
36
|
4
|
6
|
3
|
|
TARZO
|
348
|
12
|
4
|
237
|
4
|
16
|
3
|
VIDOR
|
70
|
4
|
3
|
9
|
4
|
3
|
3
|
VITTORIO VENETO
|
951
|
4
|
2
|
82
|
5
|
10
|
4
|
Totale
|
1793
|
42
|
13
|
403
|
49
|
49
|
19
|
|
|
|
|
|
|
|
|
SINISTRA PIAVE COMUNI PEDEMONTANI
|
CISON DI VALMARINO
|
570
|
|
30
|
6
|
207
|
3
|
|
FOLLINA
|
429
|
89
|
2
|
69
|
4
|
17
|
2
|
FREGONA
|
1727
|
24
|
7
|
|
|
|
|
MIANE
|
620
|
|
245
|
5
|
125
|
3
|
|
REVINE LAGO
|
426
|
90
|
4
|
96
|
5
|
15
|
3
|
SEGUSINO
|
374
|
37
|
3
|
10
|
8
|
|
|
VALDOBBIADENE
|
1232
|
159
|
3
|
86
|
8
|
165
|
3
|
Totale
|
7737
|
417
|
3
|
963
|
5
|
578
|
3
|
|
|
|
|
|
|
|
|
TAB. 3 - Rapporto fra le superfici recuperate da boschi
di castagno nel 1929 e nel 1981
DESTRA PIAVE
|
Comuni
|
Catasto forestale Carta forestale
|
|
Fustaie
|
Cedui
|
Fustaie
|
|
Cedui
|
ASOLO
|
282
|
135
|
|
NBC
|
|
BORSO DEL GRAPPA
|
3
|
0
|
|
NBC
|
|
CASTELCUCCO
|
Ad Asolo
|
|
|
NBC
|
|
CAVASO DEL TOMBA
|
229
|
63
|
0
|
|
357
|
CORNUDA
|
49
|
0
|
0
|
|
120
|
CRESPANO
|
78
|
0
|
0
|
|
54
|
CROCETTA DEL MONTELLO
|
0
|
1
|
|
NBC
|
|
FONTE
|
21
|
43
|
16
|
|
108
|
GIAVERA DEL MONTELLO
|
17
|
0
|
|
NBC
|
|
MASER
|
152
|
0
|
|
NBC
|
|
MONFUMO
|
Ad Asolo
|
0
|
160
|
|
|
MONTEBELLUNA
|
27
|
7
|
|
NBC
|
|
NERVESADELLABATT.
|
21
|
0
|
|
NBC
|
|
PADERNO DEL GRAPPA
|
49
|
44
|
0
|
|
60
|
PEDEROBBA
|
214
|
84
|
0
|
|
368
|
POSSAGNO
|
209
|
16
|
0
|
|
210
|
5. ZENONE
|
50
|
65
|
0
|
|
102
|
VOLPAGO
|
30
|
0
|
|
NBC
|
|
Totale
|
1431
|
431
|
16
|
|
1539
|
SINISTRA PIAVE
|
Comuni
|
Catasto forestale Carta forestale
|
|
Fustaie
|
Cedui
|
Fustaie
|
|
Cedui
|
CAPPELLA MAGGIORE
|
3
|
0
|
|
NBC
|
|
CISON DI VALMARINO
|
30
|
207
|
146
|
|
270
|
COLLE UMBERTO
|
NBC
|
|
NBC
|
|
CONEGLIANO
|
1
|
0
|
|
NBC
|
|
CORDIGNANO
|
NBC
|
|
NBC
|
|
FARRA DI SOLIGO
|
13
|
10
|
0
|
|
44
|
FOLLINA
|
158
|
17
|
137
|
|
205
|
FREGONA
|
24
|
0
|
0
|
|
27
|
MIANE
|
245
|
125
|
75
|
|
303
|
PIEVE DI SOLIGO
|
38
|
4
|
|
|
|
REFRONTOLO
|
La Pieve di Soligo
|
NBC
|
|
REVINE LAGO
|
186
|
15
|
0
|
|
173
|
S. PIETRO DI FELETTO
|
36
|
6
|
NBC
|
|
SARMEDE
|
6
|
0
|
NBC
|
|
SEGUSINO
|
47
|
0
|
0
|
|
32
|
SERNAGLIA
|
NBC
|
NBC
|
|
SUSEGANA
|
NBC
|
NBC
|
|
TARZO
|
239
|
16
|
10
|
|
146
|
VALDOBBIADENE
|
245
|
165
|
150
|
|
443
|
VIDOR
|
13
|
3
|
0
|
|
108
|
VITTORIO VENETO
|
86
|
10
|
108
|
|
54
|
Totale
|
1380
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578
|
626
|
|
1805
|
TOTALE GENERALE DESTRA E SINISTRA
PIAVE
|
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2811
|
1009
|
642
|
|
3344
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N B C = non possiede boschi a prevalenza
di castagno
NOTA
Ricerca effettuata con il contributo finanziario delle
Comunità Montane delle Prealpi Trevigiane, del Grappa e del Consorzio
Comuni del Montello. Indagine svolta presso l'Istituto di Selvicoltura
dell'Università di Firenze, coordinata dal Prof. Raffaello Giannini.
*Memoria edita nel vol. XLIV degli "Annali"
della Accademia italiana di Scienze forestali, 1995.
Si ringrazia dell'apporto tecnico e logistico fornito dall'Ufficio Forestale
Regionale di Treviso diretto dal dott. Arduino Graziottin
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