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 Rassegna Bibliografica  
 San Pietro di Barbozza attraverso sette secoli, a cura 
        di Giancarlo Follador, Feltre, Giugno 1996, due voli., pagg. XII, 458. 
        536.  Le Pro Loco - una bella istituzione, tutta basata sul volontariato e sullo 
        spirito di iniziativa di gruppi di paese, o di quartiere, o di città, 
        desiderosi di promuovere le attività, le feste, 1 'animazione turistica, 
        in sintesi la vita della loro terra - ci hanno ormai da tempo abituati 
        ad iniziative brillanti e indovinate.
 Ma quella della Pro Loco di San Pietro di Barbozza rappresenta, anche 
        in questo contesto apprezzabile, qualcosa di veramente eccezionale.
 Non s'era mai visto finora - infatti -un organismo di questa natura promuovere 
        l'edizione di una storia di paese. E di pervenire al risultato, tra l'altro, 
        con un'opera di grande dignità editoriale.
 Per lo più, i committenti più frequenti di opere di questo 
        tipo sono stati finora i Comuni, o le Parrocchie. Sono così apparse 
        - in buon numero anche dalle nostre parti - "storie" di paesi 
        e di centri anche piccolissimi che, in genere sinteticamente, narrano 
        vita, morte e miracoli del luogo e di tutto il territorio in cui è 
        inserito, spesso affastellando dati, notizie, fiabe, storia e cronaca, 
        senza un minimo di discernimento critico: racconti in genere messi insieme 
        da praticoni volenterosi, ma spesso privi di adeguata preparazione scientifica, 
        nonché della severa umiltà che è propria degli studiosi 
        seri.
 Ne sono uscite di tutti i colori. Anzi, a ben vedere, di un solo colore: 
        quello
 grigio-cenere della modestia e della povertà culturale. Storie 
        come accumulazione di storiette e storielle, senza una visione d'insieme, 
        un giudizio di sintesi, una valutazione di uomini e fatti, un disegno, 
        uno stile. In genere opere che nulla danno e nulla tolgono alla vita culturale 
        del paese di cui trattano. In breve: opere del tutto inutili.
 La colpa - perchè di colpa si tratta -di questo fenomeno ricade 
        in gran parte sugli Enti che sponsorizzano tali pubblicazioni, o accettando 
        le autocandidature, o addirittura affidando direttamente l'incarico di 
        redigere "la storia del luogo" a personale improvvisato e del 
        tutto inadeguato. C'è, per il vero, qualche eccezione, ma rara, 
        purtroppo, come le mosche bianche.
 La Pro Loco di San Pietro di Barbozza può vantarsi di essere responsabile 
        di una di queste meritevoli eccezioni.
 Partendo da una posizione di vantaggio, perché poteva contare sulla 
        presenza in loco di uno studioso che aveva già dato eccellente 
        prova di sè in tutta una serie di pubblicazioni su storia, personaggi 
        e costume della sua terra, il valdobbiadenese, la Pro Loco, ovviamente 
        su impulso del suo Presidente, Gianantonio Geronazzo, ha fatto intelligentemente 
        la sua scelta, affidando l'incarico a detto studioso, Giancarlo Follador.
 Follador, componente del Comitato di Redazione del Flaminio, autore già 
        di numerosi contributi apparsi sulla rivista, ha, in materia di storia 
        e di storiografia, idee chiare.
 Per lui la storia, che è vista "da
 fuori" per l'inevitabile separazione dei tempi, deve essere sentita 
        "da dentro", nel rispetto della proporzione degli eventi e della 
        cultura entro la quale essi hanno avuto luogo. E chi la racconta, la storia, 
        deve far cogliere il senso delle cose e dei fatti, e il valore degli uomini, 
        sulla misura del mondo in cui nel corso dei secoli hanno maturato il senso 
        della loro presenza, e ne hanno lasciato il segno. Una piccola realtà 
        vive nella sua storia piccoli fatti e piccole cose. E gli uomini che l'hanno 
        vissuta ne condividevano le dimensioni e l'orizzonte. Lorenzo il Magnifico, 
        Leone X, Carlo V, Federico il Grande, lo stesso Napoleone, tanto per fare 
        degli esempi, in che misura hanno influito sulla vita dei nostri piccoli 
        paesi? Quanto sono stati presenti nella coscienza degli uomini di qui? 
        Che ne sapevano di greci e romani e longobardi, quelli di San Pietro di 
        Barbozza? E in che misura li hanno "sentiti" come loro ascendenti 
        culturali, posto che lo siano stati?
 Che senso ha narrare la storia di un piccolo paese partendo dalla cosiddetta 
        "notte dei tempi", se questo significa popolare quella notte 
        di fantasmi e di leggende, e quindi creare dei falsi che con la storia 
        niente hanno a che fare?
 A queste domande si può dare una sola risposta, perfino ai limiti 
        dell'ovvio: la storia di un luogo è la storia degli uomini che 
        l'hanno abitato, e degli eventi da essi vissuti; e per narrarla c'è 
        un'unica guida: l'insieme dei segni da essi lasciati, documento della 
        loro realtà e della loro coscienza.
 Ecco: il documento, il segno diretto agli e degli uomini vivi, la sola 
        guida di
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 chiunque voglia scrivere la storia. E la cosa va detta e ripetuta anche 
        e soprattutto di fronte ai lavori di tanti cosiddetti storici che per 
        comporre le loro opere si avvalgono del lavoro altrui (magari senza nemmeno 
        dirlo), costruendo libri sui libri, provando i fatti con le parole degli 
        autori del passato, considerati tanto più autorevoli solo quanto 
        più antichi (mentre spesso si tratta di improvvisatori fantasiosi, 
        spericolati compositori di leggende).
 Sulla base di queste idee, Follador ha impostato la sua ricerca sui documenti 
        che nel corso dei secoli hanno registrato la voce del quotidiano della 
        sua terra. E ha rovistato archivi pubblici
 - di Stato e Parrocchiali - e privati, ha indagato e trascritto documenti 
        su documenti, traendone storie drammatiche e divertenti, popolate di uomini 
        e donne, giovani e vecchi, amministratori e amministrati, giudici e imputati, 
        preti e fedeli. Tutti sconosciuti, ma tutti accomunati dalla medesima 
        appartenenza culturale, idonei a rappresentare, nel loro insieme, fisionomia 
        e storia della gente di San Pietro di Barbozza. L'impresa, nel momento 
        progettuale, sembrava impossibile, perchè la realtà socio-culturale 
        di una comunità, per quanto piccola, còlta nella sua secolare 
        evoluzione storica, è come un prisma, piccolo. ma dalle molte facce. 
        E ogni faccia è come una specie di microcosmo, brulicante di persone 
        e di cose.
 Ma - dice argutamente Danilo Gasparini nella sua presentazione del libro, 
        opportunamente intitolata "Istruzioni per l'uso" - "Tramontati 
        gli eruditi di un tempo a ciò deputati, maestri,
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 parroci, farmacisti e medici (con tutto il rispetto per le categorie), 
        da anni circolano talentuose "bande" di nouveaux historiens 
        preparati, competenti, insistenti, "furegoni", che costruiscono 
        la storia, o meglio le storie con i documenti, garanzia provata, quest'ultima, 
        di qualità". Bande, aggiungiamo, particolarmente nutrite e 
        attive nel trevigiano del nord. Bande che si formano per l'occasione di 
        una storia da indagare e poi si sciolgono. Per dar vita ad altre bande. 
        Tra l'altro, con efficace e variopinta rotazione di "condottieri".
 Già in precedenza organizzatore di altri gruppi di lavoro per la 
        stesura di "storie" di altri paesi della zona, questa volta 
        Follador si è particolarmente impegnato in questo lavoro preparatorio 
        (si trattava della storia del suo paese), mettendo insieme ben diciotto 
        studiosi e ricercatori, in genere giovani, con il compito di realizzare 
        un progetto di respiro veramente notevole.
 Ne è riuscita un'opera di tutto rispetto, fatta di ben quarantuno 
        saggi, che percorrono in lungo e in largo spazio e tempo (sette secoli, 
        dice il titolo) di San Pietro di Barbozza, registrandone voci, umori, 
        costumi, fisionomie, eventi.
 Com'è inevitabile, tra saggio e saggio c'è qualche divario 
        di interesse e di valore, ma sarebbe improprio e in sostanza ingeneroso 
        fermarsi su questo aspetto del lavoro, mentre ci sembra giusto rilevare 
        la grande serietà con cui tutti i temi sono stati affrontati, e 
        la correttezza scientifica dell'impostazione comune per cui ad ogni saggio 
        fa seguito una adeguata, e talora imponente, appendice documentaria (per 
        avere
 un'idea: su 990 pagine del libro, quelle di testo sono circa 400: delle 
        rimanenti, una novantina sono di foto, le altre di documenti). Autori 
        dei testi: Giancarlo Follador (ben ventuno, più la trascrizione 
        del documento del testo di Caniato), Bruno Brunoro (tre), Giampiero Nicoletti 
        (due), i seguenti con un contributo ciascuno. Nell'ordine: Mario Gatto, 
        Renato Ponzin, Simonetta Fraccaro, Giuliano Galletti, Mauro Pitteri, Luciano 
        Caniato, Vittoria Barbieri, Vincenzo Lozza, Lucio De Bortoli, Giorgio 
        Mori, Giampietro Callegaro, Aladino Vedova, Fulvia Dal Zotto, Mauro Pizzaia, 
        Giorgio Mies.
 Il rischio, che Follador e collaboratori hanno consapevolmente affrontato, 
        era la disomogeneità; un lavoro a diciotto mani è difficile 
        che riesca armonico e unitario. Di fatto, in alcuni saggi la quantità 
        di documenti appare sovrabbondante e sproporzionata in rapporto all'importanza 
        del testo; in altri il testo è un po' troppo sintetico; e non manca, 
        qua e là, l'impressione di ripetitività e! o di superfluità 
        di certi temi.
 Ma le note positive sono largamente prevalenti, sicchè condividiamo 
        il suggerimento del prefatore, di fare del libro uno strumento di studio, 
        a valere come esempio e stimolo per ricerche e approfondimenti cui invitare 
        le scuole dell'intera zona, presso le quali gli autori dei saggi potrebbero 
        essere chiamati per conversazioni e dibattiti sul tema.
 Resta un'osservazione complessiva. Tra l'impostazione annalistica e quella 
        monografica, connotati che contraddistinguono le due grandi famiglie della 
        storiografia di ogni tempo,
 l'opera di cui trattiamo sceglie, seguendo un orientamento oggi diffuso, 
        anzi prevalente, la terza via, che è quella di un insieme di testi 
        monografici cronologicamente ordinati.
 Sui quali, dice Gasparini nella prefazione, il lettore può fare 
        zapping, e scegliere il suo percorso di lettura, sul filo dei temi a lui 
        preferiti.
 Considerando che questo sarebbe possibile solo al lettore in possesso 
        di una preparazione culturale superiore, non ci si deve nascondere il 
        rischio che il lettore - diciamo così - comune si trovi in difficoltà 
        nella scelta dei brani da leggere e si senta, alla fine, dissuaso dall'impresa.
 Resto dell'idea che un libro di storia debba lasciare spazio anche alla 
        narrazione annalistica, sia pure sintetica (a introduzione dell'insieme, 
        o nelle pagine finali) dei fatti. Tale tipo di narrazione, tra l'altro, 
        servirebbe da "legante" dei temi sviluppati nei saggi monografici, 
        offrendo un percorso di lettura semplice, capace di interessare anche 
        lettori improvvisati e incompetenti in materia.
 Penso che non ci sarebbe, per San Pietro di Barbozza, difficoltà 
        alcuna di reperire lo studioso, o gli studiosi, che si facciano carico 
        di questa ulteriore impresa: gli autori del libro di cui stiamo parlando, 
        in primis il loro coordinatore, hanno tutti i titoli per intraprenderla, 
        e per condurla brillantemente a termine.
 Il vivo apprezzamento con cui salutiamo l'opera conclusa, si accompagna 
        quindi ad un cordiale "arrivederci" alla prossima.
 Aldo Toffoli
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