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       LOREDANA IMPERIO  
      
      
      
      IL CASTELLO DEI BRANDOLINI A CISON DI VALMARINO 
      
      Lo sguardo di quanti percorrono la Valmareno, comunemente 
        detta la Vallata, é attratto, quasi inconsciamente, dalla mole 
        del castello Brandolini che, maestoso e dominante, si erge a testimone 
        di passate glorie. 
        Ma la storia del maniero é la storia della Valmareno. 
        Dai reperti archeologici trovati nella zona, sappiamo che il sito fu abitato 
        in epoche antichissime. 
        Vi risiedettero paleoveneti, romani o forse indigeni romanizzati e ostrogoti, 
        documentati dal ritrovamento di monete di Teodato (536) e Vitige (542). 
        Che queste popolazioni prediligessero i luoghi d'altura, le cosiddette 
        coste, per i loro insediamenti non deve meravigliarci e si spiega, con 
        maggior chiarezza, esaminando il toponimo che indica la valle. 
        Il termine Mareno deriva dalla radice indoeuropea che ha dato origine 
        al sassone mersc, al franco marés (da cui il francese marais), 
        al veneto mara, al longobardo mar e tutti questi vocaboli significano: 
        palude, stagno, acquitrino. 
        Quindi, i primi insediamenti umani, nei luoghi ove oggi sorge il castello 
        Brandolini, furono dettati dalla necessità di evitare una zona 
        resa acquitrinosa dal dilagare dei corsi d'acqua. 
        E probabile che l'importanza strategica del sito sia stata valorizzata 
        dai romani se, come ritenuto da alcuni storici, la strada che sale al 
        Praderadego sarebbe stata un tratto orientale della Claudia Augusta Altinate. 
      
       
      LOREDANA IMPERIO. Storica medievalista, la sua attività di ricerca 
      é rivolta, in special modo, all'ordine monastico cavalleresco dei 
      Templari. Autrice di numerosi saggi, pubblicazioni, interventi anche relativi 
      alla storia locale. É presidente del Circolo Vittoriese di Ricerche 
      Storiche.
 
       
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      Delle dominazioni franche e longobarde sopravvive il ricordo 
        nel culto dei santi guerrieri e nei numerosi toponimi. Precisiamo, a questo 
        proposito, che la chiesa sita nel castello Brandolini é sempre 
        stata intitolata a uno di questi Santi militari: San Martino. 
        Durante l'alto Medioevo sorsero numerose fortificazioni nei punti nevralgici 
        per la difesa della Valmareno e la principale di esse dovette essere il 
        fortilizio di Costa, sostituito in seguito dal castello Caminese, sulle 
        cui residue fondamenta sorse l'attuale castello. 
        É probabile che prima dell'antico maniero, detto Castello di Costa, 
        vi sia stata eretta una torre, all 'epoca delle invasioni degli Ungari 
        nella prima metà del X secolo, poiché per sfuggire alle 
        rapde scorrerie e ai saccheggi di queste popolazioni che non conoscevano 
        le tecniche di assedio, l'unico sistema di difesa era l'incastellamento. 
        Per contrastare il dominio acquisito da alcune famiglie di origine franca 
        e longobarda che si arrogarono privilegi di natura feudale, praticando 
        la 
        quasi ereditarietà del feudo, l'imperatore Ottone I il Grande, 
        prese a favorire 
        i vescovi conti ed a concedere loro, sempre più, le prerogative 
        feudali; fu così 
        che con il diploma del 6 agosto 962 egli concesse al vescovo di Ceneda 
        Sicardo tutto il territorio della Valmareno. 
        Sembra che verso il Mille i presuli cenedesi abbiano infeudato la Valmareno 
        ai conti di Porcia, loro avogadori, quindi ai conti di Colfosco, ma tali 
        ipotesi non sono suffragate da documenti. 
        Il primo dato certo é che Sofia di Colfosco, all'atto del suo matrimonio 
        con Guecello da Camino nel 1154, gli portò in dote e, in seguito, 
        in eredità il feudo di Colfosco, la Valmareno e la contea di Zumelle. 
        Quindi il fatto che Sofia portasse in dote la Valmareno significa che 
        l'ipotesi di una infeudazione della Valmareno ai Colfoso non é 
        poi così priva di fondamento. 
        L'arrivo dei monaci Cistercensi, nel 1146, e l'erezione del loro cenobio 
        al centro della valle, con la conseguente bonifica delle paludi circostanti 
        e l'inizio della lavorazione della lana, crearono le condizioni favorevoli 
        per un maggiore popolamento della zona. Favorito dai da Camino, il cenobio 
        si sviluppò e tra il 1260 e il 1268 l'abate Tarino vi eresse una 
        chiesa dedicata a santa Maria, della quale possiamo ammirare ancora lo 
        splendido chiostro. L'attuale basilica fu iniziata nel 1305 dall'abate 
        Gualtiero da Lodi e portata a termine, nel 1330, dall'abate Nordio da 
        Treviso. 
        Non sappiamo in quale anno i da Camino costruirono, su un contrafforte 
        del col dei Moi, a 370 metri d'altezza, il castello di Cison, detto allora 
        "Castrum Costae". 
        Certamente esso fu edificato verso la metà del XII secolo, essendo 
        documentato già nel 1198. 
        Gabriele da Camino, nel suo testamento del 1224, lasciava al monastero 
        di Follina il "castrum de Costa" con tutte le sue pertinenze 
        ed il suo castello di Soligo con i poderi. Ma la dipendenza del fortilizio 
        di Cison dall'abbazia 
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        cistercense era solo una misura cautelativa e temporanea, atta a garantire 
        l'esecuzione dei legati "pro anima" da parte degli eredi del 
        caminese (G. B. Verci: Storia della Marca Trivigiana e Veronese, I - XX, 
        Venezia 1786 1791, vol. I, p. 65, doc. LI). 
        Della struttura medievale del complesso caminese fortificato rimangono 
        ora solo le imponenti opere murarie e i segni delle fondazioni sulla roccia, 
        riutilizzate durante le sistemazioni cinquecentesche. E dubbio se l'arco 
        di finestra recante la data 1240 appartenga alla costruzione caminese 
        o sia un elemento di riporto da altra struttura esistente nel circondano. 
        Da alcuni dipinti di epoche successive possiamo dedurre l'aspetto primitivo 
        del castello arroccato sulla sporgenza montuosa, con torre e chiesa castrense. 
        Per circa due secoli e mezzo i da Camino dominarono la Valmareno pur tra 
        lotte politiche ed episodi di belligeranza. 
        Negli ultimi anni del XII secolo i Trevigiani invasero la Vallata e trent'anni 
        dopo essa veniva occupata dai fratelli da Romano. In tale frangente, nel 
        1236, i Caminesi posero i loro castelli, tra cui anche quello di Cison, 
        sotto la protezione dell'imperatore Federico Il giurando fedeltà 
        al suo vicario Ezzelino da Romano. 
        Dopo l'estinzione degli Ezzelini e durante la signoria dei Caminesi sulla 
        città di Treviso, la Valmareno godette di alcuni anni di pace e 
        prosperità. Sebbene nel 1312 Guecellone, figlio di Gherardo da 
        Camino, fosse stato cacciato da Treviso e il Comune in questione rivendicasse 
        la sua sovranità sulla Valmareno, questa rimase nelle mani dei 
        Caminesi. 
        Tra il 1313 e il 1316, per scongiurare il pericolo che Cangrande della 
        Scala, dopo aver conquistato Feltre e Belluno si impossessasse anche di 
        Ceneda e Serravalle, Rizzardo Novello fu obbligato, dal padre, a sposare 
        Verde, nipote di Cangrande. 
        Nel 1319 i trevigiani si allearono al conte di Gorizia contro i Caminesi 
        e occuparono la Valmareno, mentre Guecellone, figlio di Gherardo, si ritirava 
        a Feltre. In seguito, avendo chiesto perdono al vescovo di Ceneda, Manfredo 
        di Collalto, egli ebbe il rinnovo delle investiture della Valmareno, di 
        Serravalle e di Zumelle. 
        Nel 1320 fu eletto, quale presule cenedese, Francesco Ramponi che si stabilì 
        a Serravalle, essendo Ceneda occupata dalle truppe del conte di Gorizia, 
        rinnovando a Rizzardo da Camino l'infeudazione della Valmareno. 
        Dopo alterne vicende militari contro il Patriarca di Aquileia, Rizzardo 
        Novello mori a Serravalle il 3 settembre 1335, lasciando due figlie minorenni 
        e la moglie Verde della Scala, in attesa di un terzo figlio. La vedova, 
        appoggiata dal fratello Mastino Il, che nel 1336 fece occupare la Valmareno 
        e Serravalle, assunse la reggenza a nome delle figlie e del futuro erede, 
        ma la nascita di una terza femmina rinfocolò le pretese di quanti 
        rivendicavano la successione al feudo: i Caminesi del ramo di sotto e 
        il Patriarcato del Friuli. 
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        Il vescovo di Ceneda dichiarò il feudo libero per mancanza di eredi 
        maschi e il 20 ottobre 1337 ne concesse l'investitura ai Procuratori di 
        San Marco, Marco Morosini, Marco Giustiniani e Giustiniano Giustiniani. 
        In seguito il Ramponi infeudò la Valmareno a Rizzardo e Gherardo 
        da Camino del ramo di Sotto. Il Rizzardo in questione, oberato di debiti, 
        vendette il castello di Costa e la curia della Valmareno al patrizio veneto 
        Marin Falier. 
        Dopo la decapitazione per tradimento del doge Falier, il vescovo di Ceneda 
        e Tolberto dei Caminesi di Sotto, chiesero di essere reintegrati nel possesso 
        della Valmareno, ma Venezia ignorò tali richieste ed inviò 
        un proprio podestà a governarla. 
        Dal 1355 al 1413 la Valmareno e il castello di Cison furono contesi dalle 
        armate in lotta nella zona: ungheresi, carraresi, patriarchini, truppe 
        della Serenissima se ne impadronirono a seconda delle alterne fortune 
        della guerra. 
        Nel 1411 Carraresi, Scaligeri, caminesi e ungheresi comandati da Filippo 
        Spano (Filippo Scolari) la saccheggiarono ed Ercole da Camino se ne impossessò, 
        quindi si sottomise a Venezia, ne riconobbe la sovranità e la nominò 
        sua erede universale. Così 4 anni dopo, alla morte del caminese, 
        Venezia riprese il pieno dominio della Valmareno. 
        Nei primi anni del XIV secolo la Serenissima aveva iniziato la sua espansione 
        in Terraferma, potenziata sotto il dogado di Francesco Foscani. Essenziale 
        per questa espansione era il controllo delle vie di comunicazione e dei 
        passi, principalmente della via d'Alemagna che collegava l'Oltralpe con 
        Venezia e l'Adriatico attraverso la stretta di Serravalle e i due passi 
        del S. Boldo e del Praderadego che univano la valle al Cadore. 
        Il castello di Cison e la contea della Valmareno erano, quindi, di rilevante 
        importanza strategica per la Serenissima, la quale essendo, nel 1436, 
        a corto di fondi per pagare due suoi fedelissimi condottieri, Erasmo da 
        Narni detto il Gattamelata, e Conte Brandolini, li ricompenserà 
        concedendo loro il feudo della Valmareno. 
        Il 5 dicembre 1439 il Gattamelata vendette la sua metà del feudo 
        al Brandolini per la somma di 3000 ducati d'oro. 
        Conte Brandolini, non meravigli il suo nome abbastanza comune nel '400 
        e '500 come il femminile Contessina, divenne quindi unico signore della 
        contea della Valmareno e della gastaldia di Solighetto. E pur vero che 
        i Brandolini non erano nuovi a infeudazioni in terra veneta, poiché 
        lo zio del primo signore della Valmareno era stato, a suo tempo, conte 
        di Zumelle. Il personaggio in questione, Brandolino III Brandolini, fu 
        capitano valoroso al servizio di Galeazzo Visconti il quale, per il suo 
        valore nella guerra contro gli scaligeri, gli concesse il castello di 
        Montorio Veronese e successivamente, per le sue imprese nelle campagne 
        militari contro i da Carrara nel 1388, la contea di Zumelle. Egli mori 
        a Treviso 1'8 ottobre 1396 e fu sepolto nella 
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        chiesa di San Francesco. Che l'investitura di questo Brandolino a conte 
        di Zumelle corrisponda a realtà storica é dimostrato dalla 
        scritta presente sulla lastra tombale ove é detto "comes gemellarum", 
        nonché da una frase contenuta in una "informazione per i Provveditori 
        sopra Feudi" del 23 dicembre 1671, redatta dal conte Guido VIII nella 
        quale si afferma che"... la Brandolina famiglia ... si rese gloriosa 
        con le armi e meritevole di molti feudi e giurisdizioni, tanto appresso 
        l 'Imperatore stesso, quanto appresso la Francia, Sede Apostolica, Milanesi 
        ed altri Potentati. Certezza di ciò è lasciata ai posteri 
        dalle istorie, nelle quali si leggono i dominii di Novara, d'Alessandria, 
        d'Arquato, Benevento, Zumelle ed altri luoghi goduti dai miei ascendenti 
        . . . 
        Si ribadisce che la citata informazione era un atto ufficiale diretto 
        ai Provveditori Veneziani e quanto in esso affermato era niscontrabile 
        mediante l'esame dei documenti custoditi negli stessi archivi della Serenissima. 
        Il conte Guido, anch'esso condottiero al servizio di Venezia, nel 1686, 
        non potendo partecipare alla guerra contro i turchi perché infermo, 
        nè inviare i figli ancora troppo giovani, offrì alla Repubblica 
        ben 100.000 ducati, dei quali 60.000 in dono e 40.000 in prestito al tasso 
        del 4%. 
        Per tanta generosità il Senato e il Maggior Consiglio concessero 
        a lui e ai suoi discendenti, in perpetuo, il patriziato veneto. 
        La fedeltà a Venezia fu una costante della famiglia Brandolini 
        e altrettanti duraturi rapporti mantenne con molte delle famiglie ad essa 
        soggette e che, in epoche recenti, vantavano le loro dipendenza dai conti 
        da ben 500 anni. Ricorderemo a Cison i Cecchinel, i Possamai Buso, i Frozza, 
        i Marian e, a Solighetto, i Mazzero. 
        La famiglia de Brandoli, divenuta Brandolini in terra veneta, proveniva 
        da Bagnacavallo (RA) e i suoi componenti erano, da sempre, dediti al mestiere 
        delle armi, in qualità di capitani di ventura e condottieri. 
        Conte Brandolini, che da Signore della Valmareno si farà chiamare 
        Brandolino IV Brandolini, ebbe tre figli maschi: 
        Tiberto VIII avuto da Giovanna dei signori della Tela; 
        Cecco (o Francesco come risulta dai documenti veneziani) avuto dalla seconda 
        moglie Filippa degli Alidosi; 
        e l'illegittimo Ettore. 
        Tiberto, rimasto orfano di madre in tenera età, crebbe tra i soldati 
        e fu, come suo padre, capitano della Serenissima. Era genero del Gattamelata 
        avendone sposato la figlia Romagnola. Passato al servizio di Francesco 
        Sforza, come condottiero, ricevette dal duca la signoria di Castellarquato. 
        Per la sua defezione dalla fedeltà alla Serenissima, il padre lo 
        privò del diritto di successione alla signoria della Valmareno 
        (1456) che destinò al secondogenito Cecco, essendo già morto 
        l'altro figlio Ettore. 
        Il Brandolini, tuttavia, lasciò al figlio Tiberto tutti i suoi 
        beni in Bagnacavallo e in Forlì. Pertanto dopo la morte di Conte 
        Brandolini la casata 
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      continuò dividendosi in due rami: quello di Tiberto 
        VIII a Bagnacavallo e quello di Cecco Il a Cison di Valmanino. All'estinguersi, 
        nel 1783, del ramo romagnolo, per antico e mutuo accordo, i loro possessi 
        confluirono nel ramo veneto della famiglia. 
        Le due branche della casata furono sempre unite e i Brandolini veneti 
        arruolarono costantemente, come soldati nella loro formazione militare 
        detta banda Brandolina, uomini di Bagnacavallo. Questa compagine militare 
        fu operante, come i suoi condottieri i conti Brandolini di Cison, sino 
        al 1700. 
        Il complesso fortificato di epoca caminese fu trasformato dai conti Brandolini 
        nella prima metà del Cinquecento, con l'aggiunta dell'ala rinascimentale 
        e l'innalzamento delle mura e dei bastioni esterni. 
        Fu il conte Antonio Maria Brandolini (+ 1530) che volle la caratteristica 
        facciata da elegante dimora di patrizio veneto, scandita da bifore e tnifore 
        a doppio ordine e la sistemazione del bel parco con fontana, negli spalti 
        antistanti, all'interno dei bastioni. La raffinatezza regnante alla corte 
        di Antonio Maria ci appare evidente anche dalle balaustre, finemente lavorate, 
        dei balconi, dall'elegante statua del satiro della fontana e, all'interno, 
        dai grandi camini del salone principale con le iniziali del committente 
        AMB e il grande stemma della famiglia sormontato dalla corona regale dei 
        Lusignano, per privilegio di Caterina Cornaro (1454 - 1510) regina di 
        Cipro. 
        Purtroppo gli stemmi affrescati sulla facciata dell'ala cinquecentesca, 
        a causa del degrado stanno scomparendo e, in mancanza di un sollecito 
        restauro, diverranno sempre meno leggibili. Sembrano tuttavia corrispondere 
        ai blasoni del ramo della famiglia proseguito a Bagnacavallo che ornavano 
        il loro palazzo in quella città e attualmente sono custoditi presso 
        il Municipio di Bagnacavallo. 
        Sebbene sia da scartare l'ipotesi che il progetto dell'ala cinquecentesca 
        del castello di Cison sia opera di Jacopo Sansovino, che all'epoca della 
        costruzione (ca. 1510 - 1525) non era ancora giunto a Venezia, tuttavia 
        l'armonia e l'eleganza della fronte cinquecentesca ci parlano di un progettista 
        di notevole livello. 
        I conti, al di qua del ponte e ai piedi del castello, avevano strutturato 
        il borgo. Quest'ultimo era la sede dei servizi civili, sociali e religiosi; 
        attorno alla piazza si trovano la chiesa, la loggia del tribunale, il 
        palazzo di rappresentanza, i magazzini e le scuderie. 
        La loggia, ora adibita a teatro e centro sociale, fu voluta da Brandolino 
        VIII al suo rientro dalla guerra di Candia (1643), allo scopo di suscitare, 
        nell'animo dei suoi sudditi, la passione per le leggi, poco rispettate 
        a quei tempi; da tale luogo il Cavalier di Corte leggeva i proclami del 
        suo signore al popolo. 
        É bene ricordare che i Brandolini furono, come buona parte dei 
        condottieri e capitani di ventura, amanti della cultura e dell'arte, quindi 
        mecenati e committenti di pittori, scultori e architetti. 
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        Le case, i palazzetti, la chiesa di Cison di Valmarino conservano tuttora 
        un che di aulico, ma improntato ad una sobria eleganza; c'é il 
        rococò, ma non é mai sovrabbondante o indisponente. 
        Le lastre tombali che si trovano all'esterno e all'interno della cappella 
        di San Martino nel castello, sono di notevole pregio artistico. 
        Il bassorilievo di Brandolino III Brandolini, conte di Zumelle é 
        uno dei più ragguardevoli monumenti sepolcrali del Trecento, espressione 
        del gotico fiorito veneziano, ma di autore ignoto. Splendidi i particolari 
        dell'armatura e finemente cesellati lo stemma e il vestiario. 
        Interessante anche la lastra tombale della seconda moglie di Conte Brandolini, 
        Filippa degli Alidosi, con incisi il blasone della defunta e del marito. 
        Il castello subì una nuova e significativa ristrutturazione con 
        l'aggiunta dell'ala barocca edificata nel XVIII secolo. Un primo progetto 
        fu redatto da Gerolamo Fnigimelica ripreso, verso il 1710, dal conte Ottavio 
        Scotti, architetto trevigiano. Lo Scotti, esponente di rilievo della cosiddetta 
        "scuola di Treviso" operò in maniera rilevante nella 
        sinistra Piave, e di lui ricorderemo anche il progetto per la cattedrale 
        di Ceneda e la loggia Comunale di Conegliano. 
        L'architetto Scotti rispettò le strutture preesistenti nella parte 
        alta del castello, utilizzò i vari dislivelli e concepì 
        un corpo a "C" posto a Sud dell'ala rinascimentale e strutturato 
        in modo da delimitare il cortile d'onore. Di particolare effetto il monumentale 
        scalone d'onore. La cappella comitale, di chiaro influsso francese, é 
        stata preda di successive spoliazioni che vi hanno lasciato solo gli affreschi 
        di Egidio Dall'Oglio. 
        Nel castello si possono ammirare stucchi e decorazioni di epoca barocca 
        e neoclassica. Nel salone principale e nel corridoio dell'ala settecentesca 
        si trovano dipinti, olio su tela, stemmi bipartiti che ricordano i matrimoni 
        della casata e, sebbene le date non siano sempre esatte, il loro interesse 
        dal punto di vista araldico é indiscutibile. 
        Il primo di questi blasoni che riporta, nel cartiglio, la data errata 
        1435 mentre dovrebbe essere 1432, ricorda le nozze di Tiberto Brandolini 
        con Romagnola Gattamelata, figli dei primi conti della Valmareno: Conte 
        Brandolini ed Erasmo da Narni detto il Gattamelata. 
        Lo stemma, bipartito, reca alla destra le tre cavezze o trecce del Gattamelata 
        e sulla sinistra lo stemma del Brandolini: 
        di rosso con tre bande d'argento caricate di scorpioni, al capo del secondo 
        di tre trecce di rosso ordinate in fascia. 
        Ricorderemo che lo stemma dei Brandolini, prima della fratellanza d'armi 
        di Conte Brandolini con il Gattamelata, era solo "di rosso con tre 
        bande d'argento caricate di scorpioni". L'unico dei molti Brandolini 
        che userà l'antico stemma del ramo di Bagnacavallo, senza le trecce 
        del Gattamelata, sarà il Vescovo di Ceneda Sigismondo Brandolini 
        Rota (1823 
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      - 1908) che ne farà apporre un esemplare sopra il 
        portone d'ingresso del seminario di Vittorio Veneto. in piazza della Cattedrale 
        a Ceneda. 
        Tra i grandi artisti che, ospiti del castello di Cison vi lasciarono le 
        loro opere, ricorderemo il pittore fiammingo Anton van Dyck (1599 - 1641) 
        che stabilitosi a Genova, dal 1623 al 1627, viaggiò per le corti 
        italiche toccando i vari centri accademici del paese sino a Palermo. 
        Poiché i critici sono concordi nel ritenere Tiziano il grande ispiratore 
        del ritrattista delle Fiandre, é plausibile ritenere che il ritratto 
        del condottiero Brandolini da lui dipinto sia stato eseguito a Venezia 
        o nel castello di Cison, in occasione di un soggiorno dell'artista nella 
        città lagunare. 
        Purtroppo oggi non é possibile ammirare tale capolavoro poiché, 
        misteriosamente, é finito in una collezione privata americana. 
        L'altro grande artista che dipinse, nel 1585, una pala d'altare per la 
        cappella di famiglia del castello, fu Jacopo Ponte detto il Bassano. 
        La tela ad olio rappresentai il notissimo episodio di San Martino, cui, 
        come già detto, é intitolata la chiesetta comitale, che 
        dona il suo mantello al mendicante. Il dipinto ha una singolare valenza 
        iconografica, poiché sembra che nel Santo a cavallo e nel guerriero 
        inginocchiato a destra, siano ravvisabili Francesco Maria Brandolini e 
        suo padre Brandolino V, che alcuni storici definiscono VII. 
        La complessità dell'albero genealogico di questa famiglia e la 
        mancanza di dati certi su taluni suoi membri prima del 1400, rendono difficile 
        stabilire una successione esatta. Inoltre, i pochi storici che ne hanno 
        scritto sono spesso in contrasto nel numerare i componenti della casata 
        aventi lo stesso nome. 
        Un altro pittore che, dai libri operai, risulta agli stipendi di casa 
        Brandolini é l'austriaco Mathias Gremsel di Graz, del quale ricordiamo 
        il quadro raffigurante "San Giorgio che uccide il drago, la Sacra 
        Famiglia e i ritratti di Guido VIII (o IX) e Brandolina", dipinto 
        forse nel 1686. 
        Brandolino VII Brandolini (1687 - 1765) fu il mecenate di Egidio Dall'Oglio, 
        l'artista di Cison formatosi alla scuola del Piazzetta, assieme a Tiepolo 
        e Maggiotto, che decorò in stile rococò l'arcipretale di 
        Cison, la chiesetta di San Martino nel castello, il palazzo dei Zuliani 
        a Ceneda, ora sede della Curia Vescovile e la cattedrale di Belluno. 
        Altro artista che eseguì committenze artistiche per i Brandolini, 
        fu Marco Casagrande (1804- 1893) che scolpì, in stile neoclassico, 
        statue, busti e bassorilievi raffiguranti membri della casata. 
        Ricorderemo inoltre lo stupendo mausoleo di Guido VIII Brandolini eseguito 
        dallo scultore Pietro Baratta che si può ancora ammirare nell'arcipretale 
        di Cison di Valmarino. 
        Il castello subì danni notevoli nell'incendio divampato nell'ala 
        cinquecentesca, il 5 luglio 1872, che ne lasciò in piedi solo le 
        mura. In quell'incendio bruciò anche il teatro barocco fatto costruire, 
        nel 1683, dal conte Guido 
       25 
       
        VIII e del quale Egidio Dall'Oglio aveva decorato il sipario e la scena. 
        Negli anni 1868 - 1869 subirono trasformazioni il cortile centrale, il 
        giardino e la collina della quale si provvide al rimboschimento. 
        All'epoca dell'invasione austriaca nel 1917 il castello fu adibito ad 
        ospedale militare per gli Austriaci. 
        Durante il ventennio l'edificio fu spogliato degli arredi, delle opere 
        d'arte e della biblioteca ed adibito a colonia elioterapica. In seguito 
        i conti Brandolini vendettero il castello che ora é proprietà 
        dei Reverendi padri Salesiani. 
        Per quanti desiderassero approfondire l'argomento Brandolini, si rinvia 
        al volume degli Atti, pubblicato dal Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche 
        in occasione del Convegno "I Brandolini, da capitani di Ventura a 
        nobili feudatari", e dal quale sono tratte le notizie del presente 
        articolo.  
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
       
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