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      A CURA DI GIANCARLO FOLLADOR  
      
      JACOPO BERNARDI. SCELTA DI LETTERE ALLA MADRE CATERINA SORANZO. 
       
        Il 9 ottobre 1897, all'età di 84 anni, in Follina, suo paese natale, 
        rendeva l'anima al Creatore forse uno dei più straordinari uomini 
        della Pedemontana: 
        l'abate Jacopo Bernardi. 
        Di questo personaggio hanno scritto, allora, in tanti, sviscerando tutti 
        gli aspetti di una vita poliedrica e tanto dinamica da lasciar traccia 
        per lungo tempo nella memoria. In questi ultimi tempi, dopo un periodo 
        assai lungo di dimenticanza, soprattutto l'Università di Padova 
        ha messo in atto un tentativo di riscoperta dell'uomo e soprattutto delle 
        sue relazioni sociali. 
        Quest'anno cade il centenario della sua scomparsa e, da quanto si è 
        a conoscenza, dovrebbero essere messe in cantiere delle iniziative atte 
        a rendere pubblici gli ultimi studi, editi ed inediti, di questo prete 
        follinese che tanta traccia ha lasciato di se stesso nelle biblioteche, 
        nei seminari, da Vittorio Veneto, a Venezia, a Pinerolo in Piemonte. 
        Ma, forse, fra tutti gli aspetti in cui il Bernardi può essere 
        studiato, vagliato e radiografato, ne esiste uno lasciato fino ad oggi 
        accantonato e cioè quello interessantissimo e vivo, sentimentale, 
        romantico e decadente con la madre Caterina Soranzo. 
        Sono 520 lettere conservate presso l'archivio dell'Abbazia di Follina, 
        le quali meritano di essere portate alla luce per capire l'anima più 
        nascosta di un Jacopo diverso: fanciullo in Seminario a Ceneda, universitario 
        a Padova, insegnante sempre a Ceneda, predicatore a Firenze, relatore 
        in tanti convegni, esule a Pinerolo, viaggiatore nel nord dell'Europa. 
        Sono 520 pensieri alla madre, anzi confessioni che si possono fare solo 
        alla madre, non al proprio padre, non ad un amico, non ad un professore 
        emerito. 
        C'è tutta la spontaneità di un figlio che prima è 
        fanciullo, poi adulto, ma che resta sempre fanciullo: per una madre, la 
        quale sente verso questa sua creatura un attaccamento quasi morboso: il 
        suo Jacopo. 
        E Jacopo, in queste lettere, asseconda la madre nei desideri di avere 
        informazioni continue, di saperlo in salute (freddo e caldo), che non 
        soffra di persecuzioni politiche. Jacopo conosce la madre e risponde ad 
        ogni appello con quella gentilezza che nasce dal cuore: in ogni momento 
        della sua vita non è in grado di dimenticarla. Spesso sembra che 
        esista una vera e propria patologia psicologica nei confronti di questa 
        donna la quale riesce a coinvolgere quel figlio che fin dalla sua infanzia 
        è diventato importante. Gli altri, in famiglia, lavorano, amministrano 
        beni; Jacopo, per la madre è al di là dei mattoni di una 
        fabbrica, vive, forse, quel mondo, che lei, una Soranzo, ha sempre solo 
        sognato, nonostante le accortezze di un marito, più portato agli 
        affari che a comprendere la sua sensibilità. 
        E Jacopo scrive. Illustrare l'intero percorso dei rapporti tra madre e 
        figlio rivelato da queste 520 lettere sarebbe come dar forma a un ampio 
        libro di memorie: ma questa non è la sede per tale lavoro. 
        Sono sufficienti alcuni accenni per dimostrare il senso di questo straordinario 
        carteggio il quale merita di essere edito, letto e compreso anche per 
        conoscere famiglie e personaggi che hanno lasciato un segno. Fra i tanti 
        lo scultore Gaetano Bianchi, il conte Vincenzo Brandolini, Paolo Bemardi, 
        Filippo Vedovati, Giovanni Ancillotto, Eugenio Modenese, Domenico Rosina, 
        Vettor Gera, Sigismondo Brandolini, Balbi Valier, il cardinale Monico, 
        Giuseppe Bianchetti, Monsignor Artico, Bortolo Colles e poi, nella maturità, 
        il Paravia, Domenico Capretta, Tommaseo... L'elenco sarebbe interminabile, 
        data la vastità dei rapporti epistolari. Basta citare quanto il 
        Bernardi ha scritto, da osservatore, durante il Concilio Vaticano. La 
        sua produzione è stata impressionante, quasi da grafomane, in quella 
        sua minuta e correttissima scrittura, sempre eguale dagli anni del seminario 
        fino alla maturità. E' difficile, oggi, comprendere il gusto di 
        questo uomo intento a scrivere in ogni momento, in qualsiasi occasione, 
        disponibile anche alle occasioni più estemporanee. 
        Ci sembra interessante, anche per stimolare un lavoro sistematico di pubblicazione 
        di questo carteggio, riportare alcune lettere. 
       
        Carissima madre. 
        Nuovo incontro e nuova lettera e ciò a tua tranquillità. 
        Ma sembra che tu 
        non presti fede alle mie lettere. T'assicuro che se avessi conosciuto 
        in me un principio di qualche male da pensarvi, ci avrei pensato, poichè 
        non sono poi così stupido da gettare la mia salute. 
        La Vimena di cui mi chiedesti nell'altra tua, non è ancora rimpatriata, 
        ma la si attende di giorno in giorno. E' certo che Monico venendo, di 
        che non si dubita, si tratterrà che per 3 (tre) giorni. Fa di ciò 
        avvertito mio padre. 
        T'abbraccio. 
        Il figlio Giacomo. 
      (Senza data, scritta in seminario di Ceneda, 1823?) 
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        Carissima madre. 
        Questa volta voglio parlarti o scriverli da scuro. Attenta. Si approssimava 
        il tempo delle nozze di mio fratello, ho io in questa circostanza da fare 
        qualche componimento, ho da restarmi muto? Chiamerò la poesia a 
        stuzzicare le orecchie di sempre simili cantaruole. 
        Senti, se va bene, così si faccia, se no, si tralasci. Ho io scarabbocchiato 
        una letterina, che mi par proprio adatta all'evento, e questa, come vedrai, 
        consacrata alla sposa; se vi va a genio io penso di stamparla, quando 
        voi altri avrete il dinaro, se non vi piace abbrucciatela, che per me 
        è lo stesso. Affinchè possiate meditarla ve la spedisco 
        in buona copia, come, cioè, me lo permette il diabolico mio carattere. 
        Mi darete la risposta. 
        Si appese il quadro nel mio stanzino? Se no ancora, fallo appendere, perché 
        non mi si dica spensierato in tutto e che di nulla mi curo. 
        Desidero poi, che almeno si scorga l'ordine anche esterno dello studio. 
        Non so se ti spedirò roba sporca; se avrò tempo, lo farò 
        ed allora la riceverai da Ottimo. A mio fratello io feci il prestito di 
        una svanzica, mi disse di restituirmela: non la vidi a comparire; se si 
        fosse a caso dimenticato, glielo ricorda. Non ho altro per ora. 
        Salutami chi non mi vuole male. Tutti voi vi abbraccio di cuore. 
        Il tuo figlio Giacomo. 
      (Senza data, scritta in Seminario di Ceneda, 1823-24?) 
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        Carissima madre. 
        Eccoti finalmente nuove di me. 
        I tempi sono tristi veramente, ma la mia salute è buona. Il freddo 
        è alquanto pungente, ma cerco di guardarmi. Voi pure farete lo 
        stesso. Non mi dici di Cisone per la futura Quaresima e della intenzione 
        che avrebbe l'arciprete di Follina. 
        Vedremo: la ripetizione di una predica mi costerebbe assai poco, e verrei 
        in quel caso a passare la sera con voi. Ancora però tutto è 
        indeciso. 
        Io prego il Signore per voi; voi pregatelo per me. 
        Vi abbraccia il tuo figlio Giacomo. 
      (Senza data, scritta in Seminario di Ceneda, 1823-25) 
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        Carissima madre. 
        Non voglio poi tenermi pago, che quasi ogni ordinario o frutta o pane 
        od altro mi mandi e ch'io mal e mai contracambi. Tu ridi e ti fingi ch'io 
        scherzi. Apri il cestello e vedrai e crederai al frutto se non presti 
        fede alle parole. L'altro ieri da un chichessia mi fu presentato un dono 
        di.... volli far parte con te ed ecco il cestello far viaggio per venire 
        alla Follina. Non posso nulla dare del mio, dò quello d'altri, 
        ma che a me appartiene; il cuore poi che dona, quello sì è 
        tutto di me, e quanto sopravanzi il piccolo presente nel desiderio potrei 
        dirtelo. Mangia intanto e, assaggia il liquore facendo un brindisi alla 
        mia salute. Se darai due otre buzzoladi alla mia balia mi sarà 
        cosa grata; e questo per far vedere, ch'io non ho perduta la di lei memoria. 
        Non nomino la cognata poichè mi ha dimenticato. La camicia in cui 
        è involto il tutto è netissima, tranne alcune macchie di 
        frutta. Poichè Ottimo sconquassò il cestello e rovinò 
        la robba e la frutta, che l'altro dì mi spedisti. No vorrei che 
        ora facesse lo stesso della bottiglia. Non ti pare, ch'io ti mandi una 
        montagna, dalla sua piccola testa cioè. 
        Non voglio dopo una lettera scherzevole venire a malinconie; ho delle 
        novità luttuose, ma che a noi non spettano, perciò le tralascio.. 
        Chi sa che mia zia Cornelia te le faccia intendere, sono anzi sicurissimo. 
        Pensavo a Moretti, oh che cervello! 
        Se i paragoni non fossero odiosi io ne avrei trovato uno somigliante; 
        quello di sua 
        Zitto che non mi senta, se no mi fulmina. 
        Saluta chi mi ricorda, e pria la famiglia. 
        Il tuo Giacomo Bernardi. 
      (Senza data, scritta in Seminario di Ceneda 1 823-25) 
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        Carissima madre. 
        Ti scrivo dal mezà de' signori Andreatta, ove felicemente giunsi 
        dopo un viaggio, che fu piuttosto lunghetto che no. La Piave era grande 
        e dall'un de' capi 
       Vedremo: la ripetizione di una predica mi costerebbe assai 
        poco, e verrei in quel caso a passare la sera con voi. Ancora però 
        tutto è indeciso. 
        Io prego il Signore per voi; voi pregatelo per me. 
        Vi abbraccia il tuo figlio Giacomo. 
      (Senza data, scritta in Seminario di Ceneda, 1823-25) 
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        Carissima madre. 
        Non voglio poi tenermi pago, che quasi ogni ordinario o frutta o pane 
        od altro mi mandi e ch'io mal e mai contracambi. Tu ridi e ti fingi ch'io 
        scherzi. Apri il cestello e vedrai e crederai al frutto se non presti 
        fede alle parole. L'altro ieri da un chichessia mi fu presentato un dono 
        di.... volli far parte con te ed ecco il cestello far viaggio per venire 
        alla Follina. Non posso nulla dare del mio. dò quello d'altri, 
        ma che a me appartiene; il cuore poi che dona, quello sì è 
        tutto di me, e quanto sopravanzi il piccolo presente nel desiderio potrei 
        dirtelo. Mangia intanto e, assaggia il liquore facendo un brindisi alla 
        mia salute. Se darai due o tre buzzoladi alla mia balia mi sarà 
        cosa grata; e questo per far vedere, ch'io non ho perduta la di lei memoria. 
        Non nomino la cognata poichè mi ha dimenticato. La camicia in cui 
        è involto il tutto ènetissima, tranne alcune macchie di 
        frutta. Poichè Ottimo sconquassò il cestello e rovinò 
        la robba e la frutta, che l'altro dì mi spedisti. No vorrei che 
        ora facesse lo stesso della bottiglia. Non ti pare, ch'io ti mandi una 
        montagna, dalla sua piccola testa cioè. 
        Non voglio dopo una lettera scherzevole venire a malinconie; ho delle 
        novità luttuose, ma che a noi non spettano, perciò le tralascio.. 
        Chi sa che mia zia Cornelia te le faccia intendere, sono anzi sicurissimo. 
        Pensavo a Moretti, oh che cervello! 
        Se i paragoni non fossero odiosi io ne avrei trovato uno somigliante; 
        quello di sua 
        Zitto che non mi senta, se no mi fulmina. 
        Saluta chi mi ricorda, e pria la famiglia. 
        Il tuo Giacomo Bernardi. 
      (Senza data, scritta in Seminario di Ceneda 1823-25) 
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        Carissima madre. 
        Ti scrivo dal mezà de' signori Andreatta, ove felicemente giunsi 
        dopo un viaggio, che fu piuttosto lunghetto che no. La Piave era grande 
        e dall'un de' capi giungeva all 'altro, quand 'io passai il ponte, presso 
        il quale minacciava di portar via colla veemenza sua le nuove opere, che 
        si vanno costruendo.. 
        La signora Costanza che tratto tratto emette dal cuor suoi sospiri più 
        dolorosi, pur fa mostra di portar sulla fronte quella santa rassegnazione, 
        da cui fu penetrata nei giorni della lunga e crudele malattia dell'affettuosissimo 
        sposo suo. 
        Nientemeno la tradiscono gli smunti colori del volto e quegli occhi, che 
        aspettano le tenebre della notte per bagnare il guanciale delle br lagrime. 
        Io fui sul cader della sera ad una chiesuccia ove nel casto e maestro 
        de' giovanetti Andreatta recitavasi una novena alla Vergine; terminata 
        la breve funzione passai alla sacrestia e nel baciar quelle fronti innocenti 
        d'orfanelli fanciulletti, mi sentii commuovere l'anima tutta e per poco 
        non le bagnai di pianto. Accompagnaili a casa unitamente al maestro loro 
        e per quel tratto di via, io era col cuore sopra quegli unici conforti 
        della vedova madre, quelle speranze della deviziosissima famiglia. Oh!, 
        perchè il Cielo volle sì presto invidiare alla terra l'anima 
        benedetta di un uomo sì utile alla società, sì necessario 
        alla famiglia a cui fu barbaramente (perdoni il Cielo stesso all 'espressione) 
        rapito? 
        A rivederci quando mi verrà dato restituirmi alla patria che spero 
        in breve, salutami distintamente gli agenti Andreatta e pria dell'altrui 
        il signor Pietro. 
        T'abbraccia, cioè v'abbraccia tutti. 
        Il tuo figlio Giacomo. 
      (Senza data, scritta da Ceneda 1830?) 
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        Madre carissima.. 
        Quanto mi fu doloroso e l'annuncio dello aggravarsi della malattia del 
        signor Domenico Rosina e quella della sua morte non posso dirvelo a parole. 
        Ove non m'avessero diviso codesti monti sarei senza fallo venuto a Follina 
        ad accogliere almeno l'ultimo respiro dell'amico, e se ci fu circostanza 
        in che mi rammaricossi di trovarmi impedito de' miei desiderii, questa 
        fu certamente al capellano ho risposto a mezzo della posta, e da non molto 
        ho scritto anche a mio padre, non so poi il motivo per cui le mie lettere 
        non siano giunte, a chi erano indirette. Forse a quest'ora lo saranno. 
        Ritorno a Rosina: mi dici che la sua morte fu quella del giusto, e doveva 
        esserlo; ch'io non conobbi uomo che più di lui sentisse la carità 
        comandateci da Gesù Cristo e nella carità siccome vi è 
        tutto lo spirito dell'adempimento della legge, così v'è 
        una grande raccomandazione appresso il padre delle misericordie. 
        Iddio lo abbia nella gloria sua, e di là prieghi per noi che ci 
        troviamo nelle angustie di questa terra. Arreca li miei conforti alla 
        signora Lucietta, e le dì che glieli avrei portati personalmente, 
        se la distanza che ne separa non si fosse frapposta. 
        Poiché non ho potuto rendere all'amico un tributo presente, glielo 
        renderò a Belluno, ed invio tosto un articolo necrologico al conte 
        Freschi, poi mi riservo di parlarne all'Ateneo di Treviso. 
        Saluta tutti di casa ed ama il tuo figlio. 
        Giacomo 
        Belluno, 5 gennaio 1844. 
       
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        7 agosto 1849. 
        Proseguo, madre carissima, nel darti mie nuove. Ne' passati giorni ad 
        ogni istante pensavo a voi, e l'angoscia che per il mio individuale riguardo 
        era nulla affatto, la sentivo gravissima per la condizione degli animi 
        vostri e pe' duri avvenimenti che mi circondavano. Ora che sembranmi superati, 
        ti dirò che a più doloroso e tremendo spettacolo niuno avrà 
        assistito nè potrà assistere appresso giammai. Che non mi 
        vengano a vantar più la civiltà progredita! Se intendesi 
        per civiltà l'abuso della forza e l'estinzione d'ogni sentimento 
        d'umanità concederò codesto tristissimo progredimento del 
        secolo decimo-nono; altrimenti non io ma i più terribili fatti 
        lo impugnano. 
        Ma non ritento una corda che troppo dolorosamente risponderebbe - e perdona 
        questo sfogo ad un cuore amorosissimo del comun bene -. Di questi giorni 
        cessarono gli studi miei, poichè volgerò ad altra opera 
        che forse in alcuni momenti gravissimi non tornò inopportuna; ora 
        riprenderolli, giacchè m'aveggo che il turbine da cui fummo travolti 
        in qualunque maniera e per quel tanto che lo permetterà il Signore 
        appianerassi. 
        Oggi v'è perfetto silenzio. Saranno li miei passi non diversi da 
        quelli di colui che visita una vigna non guari fiorente colpita da pienissima 
        grandine e da fulmini che qua e là consunsero le abitazioni e le 
        piante, per non lagrimare non ci vorrebbero nè occhi, nè 
        cuore. Rassicura de' loro cari tutti li conoscenti ed amici nostri. Tante 
        cose ad essi e a' congiunti. 
        Abbiatevi un bacio del vostro Giacomo. 
      (Lettera spedita da Treviso) 
       
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        Mia carissima madre. 
        Mi addoloro per te. Se ti darai animo io sarò lieto. Non sarà 
        nulla, ma nulla affatto. 
        Lo spero. In qualunque caso per ora, sinchè le cose non sono terminate, 
        io non vengo costà. Per me non vi date pensiero di sorta. Iddio 
        Signore mi benedirà e confido che benedirà pure voi tutti. 
        Ti scriverò in breve. 
        T'abbraccia afffettuosissimamente il tuo figlio Giacomo. 
        Firenze, 28 aprile 1851. 
      (La lettera è di pochi giorni dalla perquisizione 
        nella sua abitazione in Follina da parte della polizia austriaca) 
       
        9 
        Genova, 28 dicembre 1851. 
        Carissima madre mia. 
        Eccoti un nuovo segno del mio ben essere, dopo quello che ti sarà 
        pervenuto da Venezia e per altro mezzo egualmente affettuoso e cortese 
        di questo. Così avrai frequenti i conforti della mia lontananza 
        e ti risarciranno se talvolta rimani per qualche giorno di più 
        oltre l'usato delle mie nuove. Veggo di qua la neve sui lontani monti 
        e m'avviso che la Follina pur essa avrà la sua. A Genova, invece 
        non ce n'è neppur segno. Le giornate corrono licentissime e il 
        giardino che fiancheggia la modesta, ma bella casetta della mia dimora 
        è verdeggiante di aranci e tutto adorno di camelie che fioriscono 
        all'aria aperta. Questa davvero è una scena affatto nuova per me. 
        Lietissima se qui con me fossero la famiglia e i più cari amici 
        miei. Dirai loro questo mio desiderio e li metterai a parte di quegli 
        auguri di tutte felicità che dipartendosi dal profondo dell'anima 
        mia vengono ad essi. Ti raccomando le copie della Pubblica Beneficienza 
        per Milano. Bacia tutti della famiglia e col cuore sulle labbra te, madre 
        mia, il tuo figlio Giacomo. 
       
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        Carissima madre mia. 
        Questa volta non avrai per fermo a lamentarti. Non hai ricevuto appena 
        l'invio che ti feci l'altro ieri d'un mio librettino, che ti scrivo in 
        risposta all 'ultima tua. Spero che questa volta mi scriverai del passaporto 
        ottenuto e del giorno in che la giovane famiglia partirà di costà 
        per venirmi a vedere, che molto lo bramo, giacchè io non posso 
        fare altrettanto. Anzi, vorrei che Bernardino facesse di recarmi alcuni 
        libri. Egli si rammenterà che nelle lezioni di letteratura, ch'io 
        gli dava, quando in compagnia del buon Domenico Cristofoli, si raccoglievano 
        nella mia cameretta, pigliava un'antica edizione di Dante e per modo ch'essi 
        procedevano nella lettura, io andava confrontando e correggendo una moderna 
        edizione che tenevo fra le mani. La moderna edizione, in parte corretta, 
        l'ho presso di me. Vorrei quell'antico. E' un volume piuttosto grosso 
        e Bernardino vedrà di trovarlo e recarmelo. Un'altra edizione di 
        Dante, antica e pregiata, la prestai un tempo al Segusini. Aveva i commenti 
        del Se... Bernardino, potrebbe procurare di riaverla in mio nome. Altra 
        cosa vorrei che mi recasse, sono alcuni opuscoli della vita di Lorenzo 
        Da Ponte e di alcune sue poesie. Uno scartafaccio di mio carattere che 
        lo riguarda ed alcune lettere del Da Ponte dirette al Gamba. Tutto questo 
        dovrebbe trovarsi nella biblioteca della mia camera, nell'ultimo scaffale 
        a mano diritta e propriamente nel canto di esso. S'è possibile 
        che Bernardino trovi luogo da collocarli, affine di portarmeli, mi farà 
        piacere. Attendo pertanto un tuo riscontro a mia regola e se la famigliola 
        si mette in viaggio, che mi scrivano da Milano, ove per lo meno fermerannosi 
        un giorno. Il mio solito albergo a Torino è quello dell'Angelo, 
        vicino alla strada ferrata. Io sarò là ad aspettarli. Bernardino 
        già sarà fatto destro viaggiatore, nè gli mancherà 
        il mezzo di farsi intendere anco co' servitori di piazza. Si ricordi però 
        di non mettere in larga mostra le catene d'oro. De resto non c'è 
        nulla a temere. Invierai l'acchiusa al suo destino. 
        Saluta i parenti e gli amici e credi all'immanchevole affetto del tuo 
        figlio Giacomo. 
        Pinerolo, 30 settembre 1856. 
       
        11 
         
        (poesia medita alla madre) 
        A mia madre 
        nel suo onomastico 
        1860 
      O Madre mia, se tu sapessi in core quanto affetto mi parli 
        in questo dì, sapresti insieme in qual preghiera amore dolcemente, 
        pensando a te, s'aprì. 
      Oh! Lo sai ben, che ad ogni madre è noto quello che 
        pensa ed ama il suo figliuol, ed il secreto più riposto e il voto 
        e contare anche i palpiti ella suol. 
      Dunque il mio pur contato avrai che sale nel giorno del 
        tuo nome, al mio Signor: 
        E gli dier, per volar tant'alto, l'ale 
        gratitudin di figlio e vivo amor. 
       
      Nota 
      Non è questa la sede di fornire la 
        bibliografia relativa al Bernardi ma merita riportare solo alcune frasi 
        di A. Centelli. Illustrazione Italiana, 17 ottobre 1897: "Nacque 
        in Follina nella provincia di Treviso, il 18dicembre del 1813, ebbe dalla 
        madre sua le prime ispirazioni a quei nobili sentimenti di schietta religione 
        e d'amor patrio, che con diligenza coltivò e tradusse in atto poi 
        e sempre in tutti gli scritti espresse con pura ed elegante frase. La 
        morte di tanta madre egli pianse in un carme, che certo, come dice Vincenzo 
        De Castro, non morrà, e consacrò alla sua memoria anche 
        un volumetto, pubblicato a Pinerolo (Tipogr. Chiantore) col titolo: Affetti 
        e dolori sul sepolcro di una madre, ove si legge pure una bellissima lettera 
        del Mercantini a lui diretta" 
       
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