ANNA BARBANTINI
UN PLUTEO SIMBOLICO NEL MUSEO DEL CENEDESE
Definito come "appartenente alla prima
chiesa paleocristiana di Ceneda" (1), il pluteo è uno dei pezzi più interessanti
fra quelli conservati nel Museo del Cenedese. In pietra, che sembrerebbe
non di produzione locale (2), misura cm. 68 in altezza e cm. 91,8 in larghezza,
con uno spessore di cm. 6,3. Il rilievo, piuttosto basso (appena 1 cm.),
è evidenziato dall'incisività della linea di contomo, che riassume in
sé l'intera funzione plastica. Sul recto, entro una semplice comice, lo
spazio centrale è occupato da una croce latina cereofora: sia l'asta che
la traversa, il cui punto di incrocio è segnato da un "bottone" circolare,
sono scanalate e hanno le estremità espanse, si da costituire la cosiddetta
"croce patente", frequente in ambito ravennate (3). Al vertice dell'asta,
l'apice a forma di R che compone il "chrismon". Sul braccio trasversale,
due per parte, sono fissate quattro candele accese, cui fanno riscontro,
inferiormente, quattro elementi vegetali cuoriformi, penduli. Ai piedi
della croce, due colombe, disposte araldicamente in una composizione abbastanza
frequente, sono raffigurate nel loro tipico movimento saltellante. Altre
due colombe, poste simmetricamente alle prime nei due angoli superiori,
sono invece rappresentate ad ali spiegate, quasi che l'artefice avesse
voluto coglierle in volo. Due fiori quadripetali completano il quadro,
inserendosi quale riempitivo fra gli altri elementi. A questa composizione
schematica, abbastanza rigida, corrisponde il verso del pluteo, dove una
cornice, questa volta con una modanatura a spigolo vivo, racchiude una
coppia di cervi affrontati, con le zampe anteriori
ANNA BARBANTINI - E' laureata in Etruscologia
e Antichità italiche presso l'Università degli Studi di Padova. Attualmente
lavora presso la Soprintendenza Archeologica per il Veneto e Friuli -
Venezia Giulia e si occupa particolarmente di studi e ricerche sull'età
romana e altomedievale.
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protese verso l'alto, mentre le posteriori toccano la cornice stessa,
quasi alla ricerca di un punto di appoggio, di uno spazio tridimensionale
in cui inserirsi. Nel registro superiore, due leoni, pure affrontati,
anch'essi con le zampe anteriori verso l'alto, le fauci spalancate e
la coda serpentiforme, gli occhi ben aperti (4) e la folta criniera
concepita come un collare. La posizione è indubbiamente più rigida rispetto
a quella dei cervi sottostanti, ma nessun attributo caratteristico è
stato dimenticato. In alto, al centro, l'elemento vegetale cuoriforme
altro valore non ha se non quello di riempitivo, a meno che, ma l'ipotesi
mi sembra un po' azzardata, non si voglia vederlo in stretta connessione
con la raffigurazione dei due leoni, come in alcune composizioni altomedievali
e romaniche, dove comparirebbe come simbolo della forza erotica attribuita
ai leoni stessi (5). Nonostante le non troppo buone condizioni del pluteo
- è infatti spezzato a metà lungo la verticale, con incrinature della
pietra in altri punti, e un frammento mancante e uno di integrazione
- le immagini sono state quasi totalmente risparmiate, sì da permetterne
una lettura completa. La tipologia degli animali è trattata in modo
globalmente piuttosto uniforme: essi sono stati ridotti alla loro essenziale
e schematica natura. Sono infatti delineate, anche se con un linguaggio
assai ridotto, quelle caratteristiche anatomiche necessarie ad indicarne
simbolicamente l'idea. Tali annotazioni sono di un'immediatezza forse
ingenua e popolare, ma indubbiamente naturalistica e realistica. Particolare
rilievo si dà perciò nella raffigurazione delle colombe alla resa dell'occhio
che, attraverso il doppio tondo dell'orbita e della pupilla, ne riproduce
la stupita, mobile ottusità, o delle zampe, dove è rigidamente delineato
il tendine, particolare che, specialmente nelle due colombe ai piedi
della croce, riesce a rendere il loro modo di camminare rigidamente
saltellante. Ancora, si pone l'accento sul piumaggio minuto, ottenuto
con lievi, ondulate piccole incisioni, che, come in una raffigurazione
analoga di due colombe di un pluteo del Battistero di Grado (6), "non
intendono conferire un senso chiaroscurale, plastico, ma vogliono essere
semplici vibrazioni superficiali su sagome nettamente profilate" (7).
Forse, maggiore plasticità e morbidezza caratterizzano l'immagine dei
cervi, dove il volume è suggerito dal protendersi verso l'alto delle
zampe anteriori, in un movimento che si sforza di essere naturale e
che comunque meglio si evidenzia che nelle colombe; o nei leoni, pur
anatomicamente ben definiti, mancano di spessore, e rientrano in quella
bidimensionalità che contraddistingue la produzione scultorea di questo
periodo (8). Non si deve dimenticare infatti che, alla luce della nuova
filosofia di Plotino, il concetto di visione artistica è mutato: non
è più l'occhio, ma l'intelletto che vede l'immagine. Abbandonata quindi
l'idea di "mimesis",
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cambia anche il punto di vista prospettico: "si afferma la prospettiva
a registri sovrapposti per la quale si disarticola l'immagine ponendo
più in alto ciò che è più importante e via via nei registri o fasce
quello che è più vicino. Questa prospettiva ubbidisce alle prescrizioni
plotiniane, poiché porta davanti agli occhi alla stessa distanza tutti
gli elementi di una scena. Le prospettive geometriche ed aeree devono
dunque essere escluse dall'immagine, che deve presentarsi all'occhio
priva della terza dimensione ossia deve apparire solo con la sua evidenza
cromatica superficiale" (9). Non si tratta quindi di un rilievo plastico
redatto secondo il criterio classico, ormai superato, dato che il volume
viene assorbito dalla linea di contorno e il gioco chiaroscurale si
risolve tutto in superficie. E' in questa corrente stilistica che si
deve collocare il pluteo che, al carattere puramente figurativo, accosta
quello, non meno importante, simbolico. Gli animali qui riprodotti rispondono
infatti alla più frequente simbologia cristiana: il leone, che da solo
rappresenta la resurrezione di Cristo, se raffigurato a coppie diventa
emblema di giustizia, o anche dell'ambiguità di Cristo, ben visto dai
buoni e temibile per i cattivi (10). Il cervo, solitamente accompagnato
a una sorgente d'acqua, è simbolo dell'anima che aspira ad accostarsi
a Dio. Ed è a causa di questo rapporto con l'acqua che nell'iconografia
cristiana primitiva è stato identificato con l'anima del battezzato
(11). Il cervo quindi si trova designato per la decorazione nei battisteri,
ed è frequentemente impiegato in questo senso (12). Ora, non so se tutto
ciò possa portare all'affermazione che il pluteo in questione fosse
un'opera destinata a un battistero; sta di fatto che in un frammento
di mosaico ritrovato in un battistero a Valenza nel 1866 è rappresentato
un cervo fra un leone e un leopardo, questi ultimi indubbia allegoria
dei nemici, che assalgono il catecumeno e si sforzano di distoglierlo
dalla sua via (13). Ma nel caso presente, il motivo dei due cervi affrontati,
assai frequente nelle figurazioni cristiane dei primi secoli, ha un
altro significato: il movimento delle zampe anteriori verso l'alto deve
essere interpretato come gesto di adorazione. Un preciso confronto con
un affresco, che reca un'immagine analoga, della chiesa piemontese deIl'XI
sec. di S. Maria Oleggio (14) avvalora il fatto: due cervi di profilo,
affrontati, saltellanti ai lati di una luminosa finestra a croce (15).
La croce è il simbolo di Cristo, Dio vivente; e Dio si manifesta nella
luce. E' Egli stesso luce, "lux aetema" (16). Tutto ciò ricollega alla
croce cereofora, allegoria appunto della "lux aetema", senza la quale
tale raffigurazione di cervi non avrebbe senso. Le due facce del pluteo
sono pertanto in stretta connessione tra loro, si da non essere interpretabili
se prese singolarmente. Il motivo della croce recante infisse sul braccio
trasversale candele accese si riscontra anche su un coperchio di sarcofago
ravennate del principio del VI sec. (17), dove appare leggermente semplificato.
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Il confronto iconografico, tuttavia, mi sembra valido, anche per poter
azzardare un'ipotesi di datazione. Inoltre, non da sottovalutare è la
forma del "chrismon", che qui compare nel tipo con l'apice a R latina
(18), forma che è carattestistica di una serie di sarcofagi propriamente
ravennati del VI e VII sec. e di altri sarcofagi di questo stile sparsi
un po' dovunque nell'Italia settentrionale. Anche il modello di croce
patente, i cui primi prototipi risalgono al V sec. assai impiegata nell'area
di Ravenna, ebbe la sua più ampia diffusione proprio nei sec. VI e VII
(19). Inoltre lo schema compositivo della croce affiancata da due colombe
(o, in alcuni casi, da pavoni) è usuale in questo periodo e nel secolo
immediatamente precedente (20); è la trasposizione, "lato sensu", del
concetto rituale di "guardia della croce" (21), che solitamente colloca
ai lati della croce i due maggiori Apostoli, Pietro e Paolo. Composizioni
di animali araldicamente disposti ai lati di un segno cristologico,
vengono ad avere lo stesso valore (22). Non è superfluo, a questo proposito,
un confronto con il già citato pluteo del Battistero di Grado (23),
in cui si può riscontrare anche l'identicità stilistica delle colombe
del registro superiore. Motivi stilistici e iconografici portano dunque
a collocare cronologicamente il pluteo in un periodo che, con una buona
approssimazione, va dalla metà del VI alla metà del VII sec., e a inserirlo
in ambiente ravennate, anche se la tecnica è forse più provinciale.
Senza dubbio circolavano anche per questo tipo di scultura decorativa
dei repertori di cartoni, provenienti verosimilmente da centri importanti;
quali, ad esempio, Bisanzio, che offrivano tutta una serie di schemi
compositivi, di volta in volta liberamente interpretati. L'iterazione
costante di questi motivi doveva giocoforza condurre a un impoverimento
da un punto di vista tecnico e stilistico, e quindi "al cristallizzarsi
delle varie tipologie" (24). Nè bisogna dimenticare d'altra parte che
la zona altoadriatica (Ravenna, Concordia, Aquileia, Parenzo, Pola)
nel V e nel VI sec. "rientrava da un punto di vista artistico in una
"koinè" linguistica che possiamo convenzionalmente definire "paleocristiana-bizantina"
(25) e che si estendeva sostanzialmente in tutta Italia. Ceneda, che
secondo gli storici più recenti esisteva già nel V sec. - o forse anche
prima - come Chiesa battesimale o plebana, e che ricevette la sua prima
organizzazione ecclesiastica da Aquileia (26), doveva a ragione inserirsi
in questa "koinè" linguistico-artistica e risentire quindi dell'influenza
di tutta l'area altoadriatica. Il pluteo simbolico conservato nel Museo
del Cenedese viene pertanto ad assumere una importanza notevolissima,
quale reale testimonianza di legami artistici inequivocabili.
Anna Barbantini
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NOTE
1) Catalogato col n. 161 nell'inventario del Museo del Cenedese.
2) La pietra, forse appartenente al gruppo delle arenarie, è di un colore
grigio perla con una sfumatura azzurrina, e ricorda il marmo bianco
tipo Carrara. Mi è stato comunicato che nella zona del Vittoriese e
in quella strettamente limitrofa, non si riscontrano cave di questo
tipo di pietra, che risulterebbe quindi, a ragione, di importazione.
3) G. BOVINI, Una singolare forma di croce attestata a Ravenna nei secoli
VI e VII, in "XXII Corso di Cultura sull'Arte ravennate e bizantina",
Ravenna, 1976.pp.119-138.
4) E' nota la tradizione, iniziata da Plutarco e seguita poi da alcuni
Padri della Chiesa, quali S. Ilario e S. Agostino, che il leone dorme
con gli occhi aperti e i suoi cuccioli nascono con gli occhi aperti.
Per questo motivo è simbolo della resurrezione di Cristo e anche, "lato
sensu", di vigilanza e di giustizia. Cfr. O. BEIGBEDER, Lexique des
Symboles, Zodiaque, 1969, pp. 280-298. 5) O. BEIGBEDER, op. cit., pp.
290-291.
6) II pluteo col monogramma di Probino, vescovo di Grado dal 560 al
571, è decorato da una croce ad estremità espanse a cui si volgono due
pavoni contrapposti araldicamente, su un piccolo piedestallo, e due
colombe con un ramoscello di olivo.
7) S. TAVANO, Scultura in Friuli. Il tardo Antico, Pordenone, 1979,
P. 84.
8) Viene spontaneo un raffronto con gli animali rappresentanti sull'ambone
ravennate dell'Arcivescovo Agnello, della metà del VI sec., dove le
figure inserite in semplici riquadri "sono ritagliate, quasi semplicemente
profilate sullo sfondo". A. HASELOFF, La scultura preromanica in Italia,
Firenze, 1930, P. 43, tav. 39.
9) M. CAGIANO DE AZEVEDO, L'eredità dell'antico nell'Alto Medioevo,
in "II passaggio dall'antichità al Medioevo in Occidente", Spoleto,
1962, pp. 449-476.
10) O. BEIGBEDER, op. cit., pp. 280-298.
11) Ibidem, pp. 142-145.
12) AA. VV., Dictionnaire d'Archeologie Chrétienne, t. II, Paris, 1914,
pp. 3301-3307.
13) Ibidem.
14) N. GABRIELLI, Repertorio delle cose d'arte nel Piemonte: le pitture
romaniche, vo.. I, Torino, 1944, p. 42, tav. LVII, 124.
15) Le finestre (come nel tempietto di Cividale, nella cappella di S.
Zenone a S. Prassede a Roma, in Galla Placidia, e in S. Giorgio a Salonicco)
incorniciate da coppie di Santi o Apostoli simboleggianti la luce eterna
di Cristo che deve essere adorata. Lo stesso valore allegorico si ha
se al posto dei Santi, sono raffigurate coppie di cervi o agnelli. H.
P. L'ORANGE, Lux aetema, l'adorazione della luce nell'arte tardo-antica
ed altomedievale, in "Rend.della Pont. Accad. Romana di Archeologia"
1976, vol. XLVII, pp. 191-202
16) Ibidem.
17) G. VALENTI-ZUCCHINI - M. BUCCI, Corpus della scultura paleocristiana,
bizantina e altomedievale di Ravenna, II. C.N.R., Roma, 1968, p. 50,
fig. 37, G. DE FRANCO VICH, Studi sulla scultura ravennate, in "Felix
Ravenna", 1959, p. 111, fig. 89-90.
18) II chrismon con l'apice a R latina ( -f- ) rimpiazza la forma con
la P greca ( f ) (che era prevalsa nelle sepolture a Roma dalla fine
del sec. IV alla metà del V), a partire dalla seconda metà del V sec.,
e ha un'origine occidentale. AA.VV.,Dictionnaire d'Archéologie Chrétienne,
op. cit., sotto la voce Croix.
19) Questa forma tuttavia "si sviluppò anche in età successiva, soprattutto
nell'VIII e nel IX sec., allorché la croce, in concomitanza del periodo
iconoclasta (726-843) formò oggetto di parecchie composizioni, anche
perche era il simbolo del trionfo imperiale sul paganesimo e rappresentava
il trofeo della vittoria sulla morte". G. BOVINI, op. cit., pp. 119-13.3.
20) Sarcofago degli Agnelli di G. DE FRANCO VICH, op. cit., fig. 39,
del V sec.; capsella eburnea da Samagher della metà del V sec, in A.
ANGIOLINI, La capsella eburnea di Pola, Bologna, 1970, altare a cippo
nella Basilica Eufrasiana di Parenzo, in G. BOVINI, Le antichità cristiane
della fascia costiera istriana da Parenzo a Pola, Bologna, 1974.
21) G. VALENTI ZUCCHINI - M. BUCCI, op. cit., p. 16.
22) Tale schema si trova frequentemente impiegato nella
scultura ravennate, soprattutto su sarcofagi. Ma mentre per tutto il
V sec. viene relegato nel tergo dei sarcofagi, dalla metà dello stesso
secolo in poi si ritrova come protagonista nelle fronti di monumenti
totalmente a carattere simbolico, come in questo caso. I
23) S. TAVANO, op. cit.
24) P. A. MARTINELLI, Corpus della cultura paleocristiana, bizantina
e altomedioevale di Ravenna, I. C.N.R., Roma, 1968. p. 8.
25) C. GABERSCEK, Tradizioni tardoantiche nella scultura alto medioevale
nell'Altoadriatico, in "Aquileia e Ravenna", Antichità Altoadriatiche,
XII, Udine, 1978,p. 537.
26) R. BEGHE VOLO - B. SARTORI, Ceneda. La Cattedrale e i suoi vecchi
oratori, Vittorio Veneto, 1978.
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