Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°1- 1979 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane

ANNA BARBANTINI
UN PLUTEO SIMBOLICO NEL MUSEO DEL CENEDESE

Definito come "appartenente alla prima chiesa paleocristiana di Ceneda" (1), il pluteo è uno dei pezzi più interessanti fra quelli conservati nel Museo del Cenedese. In pietra, che sembrerebbe non di produzione locale (2), misura cm. 68 in altezza e cm. 91,8 in larghezza, con uno spessore di cm. 6,3. Il rilievo, piuttosto basso (appena 1 cm.), è evidenziato dall'incisività della linea di contomo, che riassume in sé l'intera funzione plastica. Sul recto, entro una semplice comice, lo spazio centrale è occupato da una croce latina cereofora: sia l'asta che la traversa, il cui punto di incrocio è segnato da un "bottone" circolare, sono scanalate e hanno le estremità espanse, si da costituire la cosiddetta "croce patente", frequente in ambito ravennate (3). Al vertice dell'asta, l'apice a forma di R che compone il "chrismon". Sul braccio trasversale, due per parte, sono fissate quattro candele accese, cui fanno riscontro, inferiormente, quattro elementi vegetali cuoriformi, penduli. Ai piedi della croce, due colombe, disposte araldicamente in una composizione abbastanza frequente, sono raffigurate nel loro tipico movimento saltellante. Altre due colombe, poste simmetricamente alle prime nei due angoli superiori, sono invece rappresentate ad ali spiegate, quasi che l'artefice avesse voluto coglierle in volo. Due fiori quadripetali completano il quadro, inserendosi quale riempitivo fra gli altri elementi. A questa composizione schematica, abbastanza rigida, corrisponde il verso del pluteo, dove una cornice, questa volta con una modanatura a spigolo vivo, racchiude una coppia di cervi affrontati, con le zampe anteriori


ANNA BARBANTINI - E' laureata in Etruscologia e Antichità italiche presso l'Università degli Studi di Padova. Attualmente lavora presso la Soprintendenza Archeologica per il Veneto e Friuli - Venezia Giulia e si occupa particolarmente di studi e ricerche sull'età romana e altomedievale.


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protese verso l'alto, mentre le posteriori toccano la cornice stessa, quasi alla ricerca di un punto di appoggio, di uno spazio tridimensionale in cui inserirsi. Nel registro superiore, due leoni, pure affrontati, anch'essi con le zampe anteriori verso l'alto, le fauci spalancate e la coda serpentiforme, gli occhi ben aperti (4) e la folta criniera concepita come un collare. La posizione è indubbiamente più rigida rispetto a quella dei cervi sottostanti, ma nessun attributo caratteristico è stato dimenticato. In alto, al centro, l'elemento vegetale cuoriforme altro valore non ha se non quello di riempitivo, a meno che, ma l'ipotesi mi sembra un po' azzardata, non si voglia vederlo in stretta connessione con la raffigurazione dei due leoni, come in alcune composizioni altomedievali e romaniche, dove comparirebbe come simbolo della forza erotica attribuita ai leoni stessi (5). Nonostante le non troppo buone condizioni del pluteo - è infatti spezzato a metà lungo la verticale, con incrinature della pietra in altri punti, e un frammento mancante e uno di integrazione - le immagini sono state quasi totalmente risparmiate, sì da permetterne una lettura completa. La tipologia degli animali è trattata in modo globalmente piuttosto uniforme: essi sono stati ridotti alla loro essenziale e schematica natura. Sono infatti delineate, anche se con un linguaggio assai ridotto, quelle caratteristiche anatomiche necessarie ad indicarne simbolicamente l'idea. Tali annotazioni sono di un'immediatezza forse ingenua e popolare, ma indubbiamente naturalistica e realistica. Particolare rilievo si dà perciò nella raffigurazione delle colombe alla resa dell'occhio che, attraverso il doppio tondo dell'orbita e della pupilla, ne riproduce la stupita, mobile ottusità, o delle zampe, dove è rigidamente delineato il tendine, particolare che, specialmente nelle due colombe ai piedi della croce, riesce a rendere il loro modo di camminare rigidamente saltellante. Ancora, si pone l'accento sul piumaggio minuto, ottenuto con lievi, ondulate piccole incisioni, che, come in una raffigurazione analoga di due colombe di un pluteo del Battistero di Grado (6), "non intendono conferire un senso chiaroscurale, plastico, ma vogliono essere semplici vibrazioni superficiali su sagome nettamente profilate" (7). Forse, maggiore plasticità e morbidezza caratterizzano l'immagine dei cervi, dove il volume è suggerito dal protendersi verso l'alto delle zampe anteriori, in un movimento che si sforza di essere naturale e che comunque meglio si evidenzia che nelle colombe; o nei leoni, pur anatomicamente ben definiti, mancano di spessore, e rientrano in quella bidimensionalità che contraddistingue la produzione scultorea di questo periodo (8). Non si deve dimenticare infatti che, alla luce della nuova filosofia di Plotino, il concetto di visione artistica è mutato: non è più l'occhio, ma l'intelletto che vede l'immagine. Abbandonata quindi l'idea di "mimesis",

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cambia anche il punto di vista prospettico: "si afferma la prospettiva a registri sovrapposti per la quale si disarticola l'immagine ponendo più in alto ciò che è più importante e via via nei registri o fasce quello che è più vicino. Questa prospettiva ubbidisce alle prescrizioni plotiniane, poiché porta davanti agli occhi alla stessa distanza tutti gli elementi di una scena. Le prospettive geometriche ed aeree devono dunque essere escluse dall'immagine, che deve presentarsi all'occhio priva della terza dimensione ossia deve apparire solo con la sua evidenza cromatica superficiale" (9). Non si tratta quindi di un rilievo plastico redatto secondo il criterio classico, ormai superato, dato che il volume viene assorbito dalla linea di contorno e il gioco chiaroscurale si risolve tutto in superficie. E' in questa corrente stilistica che si deve collocare il pluteo che, al carattere puramente figurativo, accosta quello, non meno importante, simbolico. Gli animali qui riprodotti rispondono infatti alla più frequente simbologia cristiana: il leone, che da solo rappresenta la resurrezione di Cristo, se raffigurato a coppie diventa emblema di giustizia, o anche dell'ambiguità di Cristo, ben visto dai buoni e temibile per i cattivi (10). Il cervo, solitamente accompagnato a una sorgente d'acqua, è simbolo dell'anima che aspira ad accostarsi a Dio. Ed è a causa di questo rapporto con l'acqua che nell'iconografia cristiana primitiva è stato identificato con l'anima del battezzato (11). Il cervo quindi si trova designato per la decorazione nei battisteri, ed è frequentemente impiegato in questo senso (12). Ora, non so se tutto ciò possa portare all'affermazione che il pluteo in questione fosse un'opera destinata a un battistero; sta di fatto che in un frammento di mosaico ritrovato in un battistero a Valenza nel 1866 è rappresentato un cervo fra un leone e un leopardo, questi ultimi indubbia allegoria dei nemici, che assalgono il catecumeno e si sforzano di distoglierlo dalla sua via (13). Ma nel caso presente, il motivo dei due cervi affrontati, assai frequente nelle figurazioni cristiane dei primi secoli, ha un altro significato: il movimento delle zampe anteriori verso l'alto deve essere interpretato come gesto di adorazione. Un preciso confronto con un affresco, che reca un'immagine analoga, della chiesa piemontese deIl'XI sec. di S. Maria Oleggio (14) avvalora il fatto: due cervi di profilo, affrontati, saltellanti ai lati di una luminosa finestra a croce (15). La croce è il simbolo di Cristo, Dio vivente; e Dio si manifesta nella luce. E' Egli stesso luce, "lux aetema" (16). Tutto ciò ricollega alla croce cereofora, allegoria appunto della "lux aetema", senza la quale tale raffigurazione di cervi non avrebbe senso. Le due facce del pluteo sono pertanto in stretta connessione tra loro, si da non essere interpretabili se prese singolarmente. Il motivo della croce recante infisse sul braccio trasversale candele accese si riscontra anche su un coperchio di sarcofago ravennate del principio del VI sec. (17), dove appare leggermente semplificato.

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Il confronto iconografico, tuttavia, mi sembra valido, anche per poter azzardare un'ipotesi di datazione. Inoltre, non da sottovalutare è la forma del "chrismon", che qui compare nel tipo con l'apice a R latina (18), forma che è carattestistica di una serie di sarcofagi propriamente ravennati del VI e VII sec. e di altri sarcofagi di questo stile sparsi un po' dovunque nell'Italia settentrionale. Anche il modello di croce patente, i cui primi prototipi risalgono al V sec. assai impiegata nell'area di Ravenna, ebbe la sua più ampia diffusione proprio nei sec. VI e VII (19). Inoltre lo schema compositivo della croce affiancata da due colombe (o, in alcuni casi, da pavoni) è usuale in questo periodo e nel secolo immediatamente precedente (20); è la trasposizione, "lato sensu", del concetto rituale di "guardia della croce" (21), che solitamente colloca ai lati della croce i due maggiori Apostoli, Pietro e Paolo. Composizioni di animali araldicamente disposti ai lati di un segno cristologico, vengono ad avere lo stesso valore (22). Non è superfluo, a questo proposito, un confronto con il già citato pluteo del Battistero di Grado (23), in cui si può riscontrare anche l'identicità stilistica delle colombe del registro superiore. Motivi stilistici e iconografici portano dunque a collocare cronologicamente il pluteo in un periodo che, con una buona approssimazione, va dalla metà del VI alla metà del VII sec., e a inserirlo in ambiente ravennate, anche se la tecnica è forse più provinciale. Senza dubbio circolavano anche per questo tipo di scultura decorativa dei repertori di cartoni, provenienti verosimilmente da centri importanti; quali, ad esempio, Bisanzio, che offrivano tutta una serie di schemi compositivi, di volta in volta liberamente interpretati. L'iterazione costante di questi motivi doveva giocoforza condurre a un impoverimento da un punto di vista tecnico e stilistico, e quindi "al cristallizzarsi delle varie tipologie" (24). Nè bisogna dimenticare d'altra parte che la zona altoadriatica (Ravenna, Concordia, Aquileia, Parenzo, Pola) nel V e nel VI sec. "rientrava da un punto di vista artistico in una "koinè" linguistica che possiamo convenzionalmente definire "paleocristiana-bizantina" (25) e che si estendeva sostanzialmente in tutta Italia. Ceneda, che secondo gli storici più recenti esisteva già nel V sec. - o forse anche prima - come Chiesa battesimale o plebana, e che ricevette la sua prima organizzazione ecclesiastica da Aquileia (26), doveva a ragione inserirsi in questa "koinè" linguistico-artistica e risentire quindi dell'influenza di tutta l'area altoadriatica. Il pluteo simbolico conservato nel Museo del Cenedese viene pertanto ad assumere una importanza notevolissima, quale reale testimonianza di legami artistici inequivocabili.

Anna Barbantini

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NOTE

1) Catalogato col n. 161 nell'inventario del Museo del Cenedese.
2) La pietra, forse appartenente al gruppo delle arenarie, è di un colore grigio perla con una sfumatura azzurrina, e ricorda il marmo bianco tipo Carrara. Mi è stato comunicato che nella zona del Vittoriese e in quella strettamente limitrofa, non si riscontrano cave di questo tipo di pietra, che risulterebbe quindi, a ragione, di importazione.
3) G. BOVINI, Una singolare forma di croce attestata a Ravenna nei secoli VI e VII, in "XXII Corso di Cultura sull'Arte ravennate e bizantina", Ravenna, 1976.pp.119-138.
4) E' nota la tradizione, iniziata da Plutarco e seguita poi da alcuni Padri della Chiesa, quali S. Ilario e S. Agostino, che il leone dorme con gli occhi aperti e i suoi cuccioli nascono con gli occhi aperti. Per questo motivo è simbolo della resurrezione di Cristo e anche, "lato sensu", di vigilanza e di giustizia. Cfr. O. BEIGBEDER, Lexique des Symboles, Zodiaque, 1969, pp. 280-298. 5) O. BEIGBEDER, op. cit., pp. 290-291.
6) II pluteo col monogramma di Probino, vescovo di Grado dal 560 al 571, è decorato da una croce ad estremità espanse a cui si volgono due pavoni contrapposti araldicamente, su un piccolo piedestallo, e due colombe con un ramoscello di olivo.
7) S. TAVANO, Scultura in Friuli. Il tardo Antico, Pordenone, 1979, P. 84.
8) Viene spontaneo un raffronto con gli animali rappresentanti sull'ambone ravennate dell'Arcivescovo Agnello, della metà del VI sec., dove le figure inserite in semplici riquadri "sono ritagliate, quasi semplicemente profilate sullo sfondo". A. HASELOFF, La scultura preromanica in Italia, Firenze, 1930, P. 43, tav. 39.
9) M. CAGIANO DE AZEVEDO, L'eredità dell'antico nell'Alto Medioevo, in "II passaggio dall'antichità al Medioevo in Occidente", Spoleto, 1962, pp. 449-476.
10) O. BEIGBEDER, op. cit., pp. 280-298.
11) Ibidem, pp. 142-145.
12) AA. VV., Dictionnaire d'Archeologie Chrétienne, t. II, Paris, 1914, pp. 3301-3307.
13) Ibidem.
14) N. GABRIELLI, Repertorio delle cose d'arte nel Piemonte: le pitture romaniche, vo.. I, Torino, 1944, p. 42, tav. LVII, 124.
15) Le finestre (come nel tempietto di Cividale, nella cappella di S. Zenone a S. Prassede a Roma, in Galla Placidia, e in S. Giorgio a Salonicco) incorniciate da coppie di Santi o Apostoli simboleggianti la luce eterna di Cristo che deve essere adorata. Lo stesso valore allegorico si ha se al posto dei Santi, sono raffigurate coppie di cervi o agnelli. H. P. L'ORANGE, Lux aetema, l'adorazione della luce nell'arte tardo-antica ed altomedievale, in "Rend.della Pont. Accad. Romana di Archeologia" 1976, vol. XLVII, pp. 191-202

16) Ibidem.
17) G. VALENTI-ZUCCHINI - M. BUCCI, Corpus della scultura paleocristiana,
bizantina e altomedievale di Ravenna, II. C.N.R., Roma, 1968, p. 50, fig. 37, G. DE FRANCO VICH, Studi sulla scultura ravennate, in "Felix Ravenna", 1959, p. 111, fig. 89-90.
18) II chrismon con l'apice a R latina ( -f- ) rimpiazza la forma con la P greca ( f ) (che era prevalsa nelle sepolture a Roma dalla fine del sec. IV alla metà del V), a partire dalla seconda metà del V sec., e ha un'origine occidentale. AA.VV.,Dictionnaire d'Archéologie Chrétienne, op. cit., sotto la voce Croix.
19) Questa forma tuttavia "si sviluppò anche in età successiva, soprattutto nell'VIII e nel IX sec., allorché la croce, in concomitanza del periodo iconoclasta (726-843) formò oggetto di parecchie composizioni, anche perche era il simbolo del trionfo imperiale sul paganesimo e rappresentava il trofeo della vittoria sulla morte". G. BOVINI, op. cit., pp. 119-13.3.
20) Sarcofago degli Agnelli di G. DE FRANCO VICH, op. cit., fig. 39, del V sec.; capsella eburnea da Samagher della metà del V sec, in A. ANGIOLINI, La capsella eburnea di Pola, Bologna, 1970, altare a cippo nella Basilica Eufrasiana di Parenzo, in G. BOVINI, Le antichità cristiane della fascia costiera istriana da Parenzo a Pola, Bologna, 1974.
21) G. VALENTI ZUCCHINI - M. BUCCI, op. cit., p. 16.

22) Tale schema si trova frequentemente impiegato nella scultura ravennate, soprattutto su sarcofagi. Ma mentre per tutto il V sec. viene relegato nel tergo dei sarcofagi, dalla metà dello stesso secolo in poi si ritrova come protagonista nelle fronti di monumenti totalmente a carattere simbolico, come in questo caso. I
23) S. TAVANO, op. cit.
24) P. A. MARTINELLI, Corpus della cultura paleocristiana, bizantina e altomedioevale di Ravenna, I. C.N.R., Roma, 1968. p. 8.
25) C. GABERSCEK, Tradizioni tardoantiche nella scultura alto medioevale nell'Altoadriatico, in "Aquileia e Ravenna", Antichità Altoadriatiche, XII, Udine, 1978,p. 537.
26) R. BEGHE VOLO - B. SARTORI, Ceneda. La Cattedrale e i suoi vecchi oratori, Vittorio Veneto, 1978.

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